Chi è Bernhard Carl Trautmann?
Sicuramente un uomo che ha vissuto due vite.
Nella vita del giovane Bernhard il calcio fa solo in tempo ad entrare che subito è ora di pensare a salvare la propria vita.
Bernhard è nato nell'autunno del 1923 a Brema, nord della Germania, del Reich Nazista, particolare non trascurabile.
È biondo e alto, tratti spigolosi, è un adolescente che ama il calcio come tutti i suoi coetanei e prova ad entrare nel Tura Brema come mezzala, puntando sulle gambe, sulla velocità.
È un'adolescenza subito bloccata.
Bernhard non ha tempo di capire se il calcio gli piace, se il ruolo se lo può sentire addosso, i gerarchi al potere decidono per lui e per gli altri adolescenti tedeschi, e non.
Bernhard non ha scelta deve arruolarsi e partire per il fronte; la cartolina recita Fronte Orientale a cercare di forzare le linee di Stalin. Bernhard è giovane, spara, schiva, sopravvive. Viene catturato come tutti i soldati che hanno cercato di entrare nel cuore sovietico. Dopo tre anni di guerra e prigionia Bernhard decide che le gambe da mezzala sono ancora buone per correre e corre, scappa dalla prigionia sovietica, corre più che può schivando, sparando. Spara per paura e non saprà mai chi o cosa ha colpito, spara alla cieca e corre.
È di nuovo Reich, finalmente, ma non ci sono i campi da calcio, non c'è più nulla di quello che ha lasciato. Non c'è la maglia del Tura ma una Croce di Ferro, per aver corso e sparato.
Ma la sua gioventù è ancora patrimonio dei gerarchi e decidono un'altra volta per lui: Fronte Occidentale, foreste, torbiere, massacri. La fatica quotidiana per sopravvivere, non importa da che lato del fronte ci si trova.
Bernhard sa che tutto questo un giorno finirà e tornerà a giocare a Brema; ricostruirà magari da solo il campo ma lo farà.
Bernhard sa che è dalla parte sbagliata del fronte, ormai è un veterano. Capisce la follia del suo Reich e la crudeltà che stanno compiendo, da una parte e l'altra del fronte.
E così forse inconsciamente il paracadutista Trautmann cede le armi agli alleati e finisce in Gran Bretagna nel campo di prigionia di Ashton-in-Makerfield.
Dei mille del suo battaglione sopravvivono in novanta, abbastanza per capire fino a che punto altri hanno rubato gli anni della sua gioventù.
Nel campo di prigionia Bernhard gioca nuovamente a calcio, per passare un tempo altrimenti infinito. La divisa non è comoda ma in questo campo di prigionia in Gran Bretagna Bernhard scopre un aspetto nuovo della sua giovane vita.
Si improvvisa atleta e non si sente più completamente straniero, non si sente odiato soprattutto. Spesso lui e gli altri compagni di prigionia ricevono la visita degli abitanti del luogo che portano quello che può servire per vivere, cibo, coperte, poche cose ma grandi.
Bernhard guarda oltre la rete gli abitanti di questa contea nel cuore di Inghilterra vivere come se loro, i prigionieri, non fossero li.
E allora Bernhard diventa Bert, ragazzone biondo che parla con un accento durissimo.
Si mette in porta; ho corso troppo finora.
Gioca e osserva.
E decide.
Bert, per tutti ormai, viene liberato nel 1948 a guerra finita. Nonostante i rancori ancora vivi in buona parte dell'Europa e in Gran Bretagna, decide di fermarsi nel Great Manchester, Lancashire.
Ad osservare i detenuti di guerra anche alcuni osservatori delle squadre di calcio locali, non ultimi i due Manchester, United e City.
Viene ingaggiato dal St.Helenstown per iniziare una nuova vita a 25 anni.
Non corre però, in una foresta nelle Ardenne ha deciso che non correrà più: portiere. E lo fa con discreti successo.
È alto, indossa un maglione blu a collo alto senza numero e para con le grandi mani nude.
In fondo lui è stato paracadusta in passato, sa come lanciarsi e cadere.
Nel 1949 non dice no con quel suo accento così duro all'offerta del Manchester City in First Division, l'antenata dell'attuale Premier League.
Bert Trautmann prima che soldato decorato del Reich era uno sportivo, lo è stato per sopravvivere e li ha scelto per ricominciare a vivere. Lo sport, il calcio.
Farà il secondo ad un monumento come Franco Swift.
Bert è contento, per la prima volta si sente a casa anche se deve fare i conti con ferite ancora fresche; in tanti tifosi scendono in piazza per protestare contro di lui perché "il tedesco" non lo vogliono.
Bert si chiede se forse quelle corse al fronte siano state inutili perché ci sono ferite che faticano a rimarginarsi.
Parla con la società, ferma nel suo intento e si convince a rimanere.
L'esordio fra i pali dei Citizens è un assolo di fischi e protesta per il passato del vecchio parà.
Negli spogliatoi Bert confida che forse non è stata una scelta giusta rimanere in Gran Bretagna.
Ma non tutti gli abitanti del Great Manchester sono ululano la loro rabbia.
In difesa del portierone tedesco arriva la voce del Rabbino Capo di Manchester, assertore del fatto che tutti devono e possono perdonare, anche il passato di Bert, obbligato a sua volta ad eseguire in cambio della sua sopravvivenza.
Sono parole che cambiano le giornate di Bert, dei Citizens.
Ora davvero la carriera di Bert inizia. Inizia con lo stesso look di prima.
Swift lascia la porta del Manchester City rivale nelle mani grandi e nude di Bert, che fra i pali sembra freddo ma è un po' folle come tutti i portieri prima e dopo di lui.
Lavorando sodo Trautmann rimane l'unica garanzia del City e nel 1956 raccoglie tutti insieme i frutti dei suoi sacrifici.
Il 5 Maggio del 1956.
Volando a mani nude fra i pali trascina i suoi alla finale di FA Cup contro il Birmingham.
La gara fondamentale si gioca a Wembley, lo stadio della nazionale.
L'accento è sempre duro ma ora Bert comanda la difesa, urla ai compagni e fra i pali allunga braccia e gambe a respingere gli assalti degli avversari e tiene la porta inviolata e il vantaggio della sua squadra
Quello che lui e Wembley non si aspettano accade nei minuti finali dell'incontro.
Bert sa volare, lo ha fatto di notte, al buio, col sole, lo fa anche a Wembley.
Deve difendere il vantaggio, ha solo il maglione a collo alto e le mani nude e grandi. Il Birmingham si riversa in avanti, attacca le linee compatte della difesa del City. Bert gioca d'anticipo e vola, non ha paura, sa come si fa.
Vola a braccia larghe verso l'attaccante, allarga le braccia per rimpicciolire la porta. Vola a pelo d'erba sul prato di Wembley. Vola a testa bassa e non vede la coscia dell'attaccante, robusta, tornita. La sente addosso con tutta la forza, sul collo.
Bert sviene, atterra sul prato di Wembley, che ora non fischia più l'avversario tedesco, ora trepida.
Trautmann viene rianimato coi sali; rassicura il medico, i compagni e gli avversari.
Continua la gara massaggiandosi di continuo il collo, ma non esce dal campo. Al fischio finale esulta, abbraccia i compagni che lo sorreggono stremato. Ha vinto la FA Cup, tedesco in terra britannica. Sale anche lui sul palco, camminando piano, tenendosi il collo.
Alza il trofeo, è il suo primo trofeo, è la vittoria della sua seconda vita.
A fine stagione verrà premiato come Giocatore dell'anno, primo straniero a riuscirci.
Tre giorni dopo la finale i dolori continuano forti.
In ospedale Bert scopre che il suo collo è rotto, l'impatto con la coscia dell'avversario gli ha dislocato cinque vertebre, tante, ma per pochi cm non è stato uno scontro mortale.
Rimarrà fuori dai campi molti mesi ma rientrerà fra i pali dei Citizens, ne diverrà il portiere più forte, perché Trautmann è davvero un gran portiere, di quelli senza paura.
Si ritira nel 1964 entrando di diritto nella Hall of Fame del Manchester City col suo predecessore Swift.
L'aver scelto di giocare all'estero probabilmente ha pregiudicato la possibilità di difendere i pali della nazionale tedesca.
Il calcio lo ha salvato due volte e per ricompensarlo Bert decide di allenare; allena in Gran Bretagna e in Germania solo squadre di livello medio basso; troppo difficile forse trasmettere lo stile Trautmann.
Allena anche nazionali asiatiche e africane, ai quattro angoli del mondo per cercare una nuova sfida, per scordare il figlio scomparso troppo presto.
Finisce i suoi giorni al caldo della Spagna a raccontare dei voli da parà e a quelli a Wembley.
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