Helmut nasce ai confini romeni, forse più vicino all'Ungheria che a Bucarest. Nasce in Transilvania, a Semlac.
È un ragazzino che ama il calcio come moltissimi altri suoi coetanei bella Romania degli anni '60/'70.
L'ingresso prepotente dello Stato nello sport ha fatto moltiplicare osservatori, scuole calcio e allenatori.
Helmut, che di cognome da Ducadam, è alto quasi un metro e novanta, è potente ed è quasi normale che finisca in porta nelle partitelle a calcio.
Lui lo fa e si diverte e si applica anche per strada.
Con altri amici finisce per essere tesserato per l'Ut Arad, cittadina poco lontana da Semlac, nel cuore delle montagne Transilvane dove fa freddo e buio presto, piove e quando non piove c'è nebbia.
Ducadam si allena a parare anche nel fango, nell'umidità di Arad.
È bravo, ha un fisico potente ed un ottimo senso della posizione. Ormai è pronto per la prima squadra e a vent'anni, nel 1979, il giovane Helmut esordisce in serie A.
Lo fa bene, senza paura soprattutto, caratteristica questa che lo fa entrarenellorbita della miglior squadra di Romania del periodo, la Steaua Bucarest, squadra dell'esercito.
La Stella, Steaua appunto.
Vi arriva nel 1982 lasciando alle spalle il sicuro confine ungherese, le montagne e il mito del Conte Dracula.
Gli emissari dell'esercito lo segnalano al colonnello Jenei che in quegli anni sta mettendo a punto la sua squadra, la squadra cara al regime Ceausescu.
Gli manca il portiere.
Jenei punta forte sul ragazzone alto e robusto con baffi folti che ne camuffano l'età.
A Bucarest Helmut cambia stile di vita, metodi di allenamento ed è in contatto praticamente ogni giorno con quel regime che ad Arad ha sempre vissuto da lontano, quasi nascosto fra i monti transilvani.
È un successo, una folgorazione; Jenei, il colonnello, con il secondo Anghelescu capiscono che la rosa è pronta.
La Steaua può iniziare a brillare, arriverà fino al confine ungherese.
Addirittura di più, più in là, ma non ancora nel 1982.
Helmut Ducadam firma e diventa un soldato,un dipendente dell'esercito, con tutti i vantaggi che in quegli anni scavavano un solco fra i calciatori e i cittadini comuni.
Il calcio però accomuna miserie e ricchezze e le gesta dei calciatori con le stellette attirano l'attenzione di quasi l'intera Romania.
Helmut è la saracinesca perfetta che il colonnello Jenei ha messo alla porta della sua Steaua.
Non più solo il patria ma in Europa, dove i Ceausescu mettono i loro occhi avidi.
I primi allori Helmut li raccoglie nel biennio 84-86, con la doppietta in campionato e la coccarda della Coppa nazionale.
Assaggia la nazionale ma i gettoni resteranno solo due, troppo diversa la nazionale dalla Steaua.
Helmut indossa una divisa marchiata Adidas, attillata che ne aumenta la percezione della stazza imponente. Spesso sceglie il colore verde, come il supereroe Hulk.
È davvero imbattibile Helmut; para e rilancia l'azione immediatamente, si tuffa, si rialza e fa ripartire la squadra. Soprattutto Helmut para i rigori.
Come in strada, come ad Arad, anche a Bucarest che in fondo è un campo da calcio come tutti gli altri.
Helmut ha ora il suo castello come il Conte di Transilvania, e come in tutti i castelli dentro ci costruisce una favola, destinata a rimanere nella storia del calcio europeo.
C'è un anno preciso in cui la storia di Helmut Ducadam da Semlac cambia, svolta completamente, è il 1986.
In cassaforte c'è già lo scudetto ma la squadra del colonnello Jenei vola in Europa, in Coppa dei Campioni e punta a fare quanta più strada possibile. Via via la convinzione nei calciatori è aumentata così dopo i danesi del Veijle al primo turno e la nobile decaduta Honved, ungherese, il turno successivo anche la fortuna recita il suo ruolo e ai quarti di finale a soccombere sono i finlandesi del Kuusysi.
In semifinale il sorteggio riserva agli uomini di Jenei i belgi dell'Anderlecht, al canto del cigno della loro parabola europea.
Helmut sembra essere più possente nelle notti europee, veste la divisa verde dell'Adidas e vola fra i pali.
In Belgio la Steaua cade di misura ma Helmut ha le mani grandi, enormi, e tiene a galla per la gara di ritorno i suoi.
E infatti al ritorno Bucarest è un fortino, così sicuro da sembrare irraggiungibile per i belgi. 3-0 Steaua e a sorpresa il colonnello Jenei porta i suoi alla prima finale di Coppa dei Campioni.
Ducadam con le braccia e le mani grandi abbraccia il suo allenatore.
A casa ha segnato sul calendario la data e il luogo della storia: 7 Maggio 1986, Siviglia.
E a Siviglia il 7 Maggio 1986 la Steaua trova i favoritissimi catalani del Barcellona per i quali la Coppa dei Campioni sarebbe il primo storico successo. In Spagna per altro.
I romeni però non hanno paura, convivono con il terrore di regime da sempre e affrontano a viso aperto gli avversari.
Ducadam osserva i compagni e urla ai compagni. Ha portato sulle sue spalle i compagni in finale preservando il lavoro dei Lacatus, dei Belodedici, non può mollare adesso, adesso che è Maggio e il caldo è tepore mediterraneo anche nella bolgia del Sanchez Pizjuan. L'umidità di Arad sembra lontana.
Pur nella divisa verde Adidas attillata stasera Helmut non è Hulk, è come Superman. Vola da un palo all'altro come un bambino in un parco, afferra palloni su palloni agli uomini dell'inglese Venables. Afferra la palla e scappa, corre al limite dell'area per lanciarla il più lontano possibile. Una, due, tre volte.
Helmut ha costruito un muro invalicabile come il Conte Vlad in Transilvania.
Non bastano novanta minuti, non bastano trenta minuti di supplementari. Decide tutto la lotteria dei rigori.
A centrocampo il colonnello Jenei parla coi rigoristi, li sceglie, li studia, li incita.
Ad Helmut non dice nulla, lo guarda nei baffi folti e non dice nulla. Sa che non servono parole; Helmut va ad aspettare il suo turno dietro la porta, sotto la curva.
Annusa l'aria mediterranea, il rumore della curva che aspetta solo il rigore, attaccante e portiere.
Helmut sulla strada era imbattibile, li prendeva tutti.
Ad ogni rigore catalano si ferma sulla linea di porta e si china leggermente in avanti e aspetta, prima Alexanco poi Pedraza, i catalani sono bloccati. Helmut non si scompone, resta concentrato e serio coi baffi folti e la maglia verde attillata. Si ricomincia: Helmut ferma il tiro di Pichi Alonso, la Steaua con Lacatus e Balint è avanti incredibilmente.
L'ultimo rigore catalano tocca infine a Marcos Alonso. È l'ultima speranza blaugrana.
Ducadam è sulla linea di porta, il blaugrana ferma la palla sul dischetto, esattamente al centro e indietreggia di tre passi. Il portiere in maglia verde attillata è chino con i guantoni chiusi a pugni sulle cosce.
Il fischio dell'arbitro arriva fragoroso a rompere il silenzio di quel duello. Marcos Alonso calcio angolato, all'angolo destro, rasoterra.
Helmut è alto, possente, sembra scendere giù al rallentatore. La palla spagnola vale tutto l'oro del mondo, l'ossigeno per rimanere ancora in partita.
Ducadam è veloce e vorace nel bloccare la palla e stringerla fra le mani.
È sua, è Steaua la Coppa dei Campioni '85-'86: ha parato tutti e quattro i rigori del Barcellona.
Corre.
Corre gioiendo, saltando, guarda l'arbitro più volte per essere sicuro che sia davvero finita.
E nella notte di Siviglia il colonnello Jenei e la sua truppa alzano la Coppa dei Campioni, più in alto di tutti in Europa.
Godono anche i Ceausescu per un'altra mostrina da appuntarsi al petto.
Helmut Ducadam diventa l'Eroe di Siviglia, entra nella storia della manifestazione, è diventato come Superman, di acciaio, imbattibile.
È un eroe, torna a Semlac terminato il campionato, torna da eroe e torna per giocare come da ragazzo.
Gioca anche, portiere.
Il destino che l'ha proiettato all'improvviso sul tetto d'Europa altrettanto improvvisamente li presenta il conto.
Helmut sta giocando con amici quando si prepara alla parata. Al momento del tuffo sulla sinistra non sa che Siviglia è stata la sua ultima gara. Cade a terra pesantemente sul lato sinistro. Sente male, una fitta lungo il braccio sinistro. Si rialza dolorante, non da peso.
Il dolore nei giorni a seguire persiste, aumenta. Torna a Bucarest: aneurisma al braccio sinistro, si rischia di dover amputare.
Intervenendo in tempo Helmut salva l'arto ma deve rinunciare alla sua porta. È un dipendente dell'esercito, viene lentamente accantonato, senza più gloria sportiva. Lo invitano a Tokyo per la Coppa Intercontinentale come riserva ma deve assistere alla sconfitta dei suoi compagni contro gli argentini del River Plate.
La sua è stata un'assenza chiaccherata, sempre ad un passo dalla leggenda: infortunio diplomatico, spedizione punitiva del regime. Leggende appunto allimentate dal silenzio di Helmut, uomo pratico e poco propenso alla parola anche dopo la notte del Sanchez Pizjuan.
È solo Dicembre quindi ma dalla notte del 7 Maggio sembrano passati anni.
L'esercito dopo la gloria sportiva lo lascia senza stipendio: il Superman che ha eretto un muro contro il Barcellona è ferito, non vola più.
Il ritiro è datato per gli almanacchi 1989, come il regime che gli ha regalato la notte più bella.
Resta solo una cosa da fare, rientrare alla base, da dove tutto era partito e trovare un lavoro, fra i monti della Transilvania.
Diventa poliziotto di frontiera a Nadlac, vicino dove è nato e dopo una breve carriera in divisa il problema al braccio lo fa andare in pensione.
Sì è arrangiato da solo Helmut, ricominciando a bloccare, non più tiri insidiosi ma persone, mezzi lungo un confine.
Negli anni della divisa diventa presidente del piccolo club del Vagonul, ad Arad, togliendosi lo sfizio di fare la riserva e giocare qualche scampolo di incontro. Il pallone è in fondo parte della vita di questo Superman coi baffi folti ora grigi, che da Eroe lo ha reso mortale come kryptonite.
Sarà, nel nuovo secolo un discusso oligarca di nome Becali a riportarlo alla ribalta e alla Steaua; lo farà per un paio di anni addirittura presidente. L'esperimento, forse più la provocazione di un personaggio troppo sopra le righe finisce. Il club dopo qualche querelle sull'uso del nome con il Ministero della Difesa, cambia denominazione, stadio, quasi vita.
Helmut Ducadam rimane come suo ambasciatore.
Anche se lo stato si è divertito a dimenticarsi di lui il pallone no e la figura possente anche se un po'appesantita dagli anni del Superman romeno è sempre riconoscibile.
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