Lev Ivanovic Jascin, il Ragno Nero

Lev Ivanovic Jascin nasce portiere, prima ancora di saperlo.
Ha un'abilità speciale nell'afferrare al volo gli oggetti che i colleghi li lanciano. 
Afferra qualsiasi cosa li capiti a tiro, anche piccola come un dado o una vite.
È alto quasi un metro e novanta, i capelli folti e neri sempre pettinati con la riga di lato.
E gli zigomi sporchi di grasso, le braccia e la schiena si stanno fortificando.
Ha 14 anni e lavora, può fare solo quello, in una fabbrica che produce componenti di metallo. Come i genitori, come altri coetanei.
Fuori dai cancelli c'è la guerra, l'avanzata dei soldati del Reich Nazista che stringono Stalingrado, firmando di fatto la loro fine.
Lavora il metallo Lev ma ha ancora 14 anni e la voglia di giocare a calcio. Se ne accorgono anche i colleghi che lo spingono a provare.
Deve aspettare la fine del conflitto perdendo gli anni più importanti per iniziare la formazione agonistica.
Lev ci prova alla Dinamo Mosca, dipendenza del Ministero degli affari interni.
È alto e robusto ma gli esaminatori della Dinamo lo bocciano per la sezione calcio. Lev è considerato poco portato per le porte da calcio, scelgono, anche se la scelta è in realtà obbligo senza possibilità alcuna di obiettare, con quel suo modo singolare di chinarsi fino ad inginocchiarsi e toccare con le mani il terreno. Inadatto al calcio per il Ministero, adatto invece per le porte da hockey su ghiaccio proprio per la sua postura particolare.
A malincuore Lev nel 1953 difende i pali della Dinamo con la stessa sicurezza con cui in fabbrica afferrava al volo i bulloni in fabbrica. Para e vince la Coppa dell'URSS.
Un piccolo trionfo che catapulta il fascicolo di quel portiere alto e robusto con quella postura particolare sul tavolo della sezione calcio degli Affari Interni.
È tempo di Guerra Fredda, nuova Europa e nuovi equilibri; oltre il confine della Cortina di Ferro lo sport è componente essenziale dello stato, propaganda e lustrino da esibire.
Nel 1954 Jascin passa alla sezione calcio della Dinamo Mosca. 
Il titolare Chomic si infortuna, serve un portiere, è il momento di Lev.
Indossa una maglia nera e pantaloni neri, i capelli ben pettinati e da quel momento non uscirà più dall'undici titolare della squadra moscovita.
Con questo nuovo cambiamento Lev esce definitivamente dalla fabbrica e diventa un elemento dello stato, con la stessa paga di un impiegato statale.
La sicurezza nel privato Lev la sceglie per essere più libero e sicuro fra i pali. 
L'arrivo di Jascin fra i pali della Dinamo Mosca non è che l'inizio; c'è la porta della nazionale da sigillare, da affidare a mani sicure, mani che sono operaie. Il miglior manifesto per l'URSS.
Esordisce con la nazionale nel 1956, giusto in tempo per salire a bordo dell'Antonov che lo porterà coi compagni in Australia, Melbourne, per le Olimpiadi.
Come spesso accadeva durante gli anni della Guerra Fredda del calcio dell'Est non di sapeva che poche, generali, informazioni.
E spesso questo era l'errore che tutti gli avversari commettevano.
Di Jascin poco si sapeva, nulla del suo modo di stare in campo. Tutte componenti che favorirono i russi nel vincere l'oro olimpico nel torneo calcistico.
Lev, proprio per il suo passato da operaio in fabbrica sapeva l'importanza del gruppo, del lavoro a catena. 
Comandava da ultimo uomo la propria linea difensiva, guidando anche con i piedi i propri compagni.
Parava anche, con i piedi, grandi, imponenti. La postura tipica del portiere da hockey era rimasta tale e ne favoriva l'uscita sulle gambe dell'attaccante, il balzo verso il cielo sulle palle alte con le grandi mani coperte da guanti nere di pelle.
La Dinamo Mosca, la grande D bianca ricamata sul petto, con Lev Jascin in porta vive gli anni migliori della sua storia inanellando successi in campionato e secondi posti, coppe nazionali e finali.
Da sicurezza anche in nazionale, probabilmente la più forte e vincente delle rappresentative sovietiche, tanto che ne difenderà i pali per quasi tutta la sua carriera, dal 1956 al 1970.
Jascin è considerato in patria il portiere più forte al mondo; Lev però ha imparato fra il grasso della fabbrica e il sibilo delle bombe a parlare poco e non esporsi troppo.
Per il regime sovietico lui è il migliore, per sua stessa ammissione il migliore al mondo in quello stesso periodo è lo jugoslavo Beara.
Un dissenso che il Soviet ingoia controvoglia perché Jascin è il volto positivo, spendibile ad Ovest del regime socialista.
E Lev Ivanovic Jascin trascina volando fra i pali  l'URSS sul tetto d'Europa al termine del campionato europeo del 1960.
La finale a Parigi al Parco dei Principi vede l'URSS affrontare la Jugoslavia, proprio Jascin contro Beara.
Vincono 2-1 i sovietici, vince Lev che mette il suo sigillo sulla finale.
È un portiere moderno, carismatico anche nella sua sobrietà, nell'essenzialità dei movimenti. 
È il migliore al mondo tanto da vincere nel 1963 il Pallone d'Oro come miglior calciatore europeo, primo ed unico portiere finora a riuscirci.
L'anno dopo perde la finale dell'europeo contro la Spagna, chiudendo un ciclo meraviglioso per la sua nazionale.
Lev continua con la Dinamo; per tutti negli anni ha cambiato nome. Non più Lev Jascin ma Ragno Nero; è un ragno con braccia e gambe grandi, larghe che chiudono lo spazio agli attaccanti. Ipnotizza l'avversario suo calci di rigore. Non è eclatante nei movimenti ma la stazza incute rispetto, forse paura. 
Ne para tanti, anche a campioni affermati come anche l'azzurro Sandro Mazzola.
Non è però l'errore dell'attaccante, è la capacità di Jascin a condizionare il tiro.
Nel 1970 si ritira partecipando da riserva al suo quarto Mondiale.
L'URSS nel 1967 ne aveva riconosciuto la grandezza premiandolo con l'Ordine di Lenin, massima riconoscenza in tempo di pace.
Ad Ovest soffiava un vento rivoluzionario e il Soviet si affidava alle mani sicure di Lev per respingerlo.
Con Jascin inconsapevolmente, fra i silenzi della Cortina di Ferro, era nato il portiere moderno, un portiere vestito tutto di nero.
A ritiro avvenuto Jascin dovette soccombere alla propria salute che per invidia forse lo costrinse all'amputazione di una gamba, complicazione di una difficile emorragia cerebrale.
Lev non demorde né si abbatte anche se non può più chinarsi sulle lunghe leve nella sua posizione preferita.
Il Soviet decide di premiarlo delegandolo ad accompagnatore della nazionale di calcio sovietica alle Olimpiadi di Seul nel 1988, ultimo trionfo del calcio sovietico, ultimo successo del vecchio Ragno Nero ormai ferito.
Nel 1990 all'età di 60 anni cede ad un cancro allo stomaco e se ne va nella notte moscovita.
Se ne va da imbattuto, come chi non smette mai di essere umile e grande.


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