Giana Erminio, o Erminio Giana

Giana Erminio, o Erminio Giana.
Oggi a leggere il nome per esteso, nome e cognome per la precisione, viene da pensare al calcio nostrano, quello professionistico si, ma di terza serie, quello al limite della categoria.
La Giana ha i colori bianchi e azzurro e uno stemma nero.
È la squadra di calcio della cittadina di Gorgonzola, provincia milanese, di fatto terza squadra professionistica della Città Metropolitana di Milano dopo Inter e Milan.
La Giana è entrata nei professionisti nel 2014 per la prima volta e in un lustro non ne è mai uscita, a dimostrazione che l'aria di Gorgonzola forgia il carattere di chi ci vive e ci lavora, carattere coriaceo, forte, come il formaggio famoso nel mondo con lo stesso nome.
Da Gorgonzola, dai campi da calcio della Giana e le nebbie e l'umidità della Martesana idealmente c'è una linea che si arrampica verso Nord Est, verso il confine fra Trentino e Veneto.
Idealmente dal Naviglio della Martesana si arriva a Rovereto, in provincia di Trento.
L'aria è più fresca, a tratti rarefatta e la nebbia lascia prepotente il posto alla neve, a filari di mele. 
A sud di Rovereto ci sono i 1865 metri del monte Zugna e poco più in là il Passo Buole.
Nomi che profumano di rocce, di vento gelato, di montagna. 
La Giana è stata fondata come Unione Sportiva Argentia nel 1909, conoscono poco i suoi fondatori i monti che dividono Veneto e Trentino, le mele coltivate a contatto con la neve. Conoscono appena la storia degli altri abitanti del Regno d'Italia.
Conoscono i ritmi lenti e cadenzati della campagna lombarda, le rane che gracchiano nei fossi, l'odore umido delle acque pigre del Naviglio.
Il calcio è lo sport di moda, dal sapore inglese, che loro, gli inglesi attraccano in qualunque posto portando con loro una palla di cuoio e in ogni porto trovano giovani e meno giovani disposti a dare con loro calci a quella palla. E così la passione si diffonde anche nella terraferma, nelle città più grandi e nelle periferie.
Anche a Gorgonzola il nuovo sport affascina giovani e meno giovani. 
E nasce l'Unione Sportiva Argentia.
Non si pensa solo al calcio nell'Europa di inizio secolo. 
Tutt'altro; a est soffiano venti di ribellione contro l'Impero Austro Ungarico. Venti di ribellione che non possono non portare ad un conflitto e quello che deflagra nel cuore dell'Europa in breve darà vita alla Prima Guerra Mondiale.
E tarpa le ali a quello sport nuovo, che profuma di Inghilterra, di cuoio. Necessariamente lo sport, tutto, passa in secondo piano.
I Savoia entrano in guerra e inviano sugli altipiani del Nord-est migliaia di soldati, giovani e non giovani con divise di feltro pronti a rispondere al fuoco nemico dal loro fossato in trincea.
L'esercito italiano invia truppe di alpini, giovani, giovanissimi, armati delle parole del Re, illusorie e tristi, con un nemico a volte invisibile da colpire e tenere nel mirino.
Vengono attrezzati campi, baracche e depositi dagli stessi soldati. In pochi mesi dal 1915, lo Zugna diventa una immensa trincea italiana, con strade, teleferiche, fossati e camminamenti.
Nella bellezza della montagna, a cavallo fra due regioni, a metà fra Vallarsa e Vallagarina, quelle serpentine fatte dall'uomo sono sfregi che il tempo non cancellerà mai, anzi ne conserverà il ricordo.
Ci sono migliaia di ragazzi nati alla fine del 1800 passati in poco tempo, il tempo di una decisione Reale e poco regale, dal calciare la.palla in fondo alla campagna, a stringere forte fra le mani il fucile a baionetta, con il mento affondato nel fango del trincea, immobili sia che piova o ci sia il sole.
Fermi immobili dentro la montagna a ripensare al mare, ai campi da coltivare, magari agli spettacoli al tabarin.
Solo il tempo di alzarsi, raggiungere la baracca, leggere o mandare lettere o telegrammi e il saper scrivere e leggere era vera ricchezza anche nel cuore dell'esercito. 
Sfiniti riprendevano il loro posto in trincea a tenere nel mirino il loro coetaneo austroungarico, oltre i reticolati e il fango, la neve e qualche crostone di roccia.
Era guerra immobile, di pazienza e di assalti e ritirate, non casa per casa almeno.
Gli austroungarico non superano lo Zugna per un anno intero. Nella tarda primavera del 1916 però la stanchezza, la voglia di concludere le ostilità favoriscono l'assalto avversario passato alla storia come Strafexpedition. 
Gli assalti sono cruenti, corpo a corpo quasi e durano settimane.
Nel maggio del 1916 un giovane sottonenete italiano si alza dalla trincea, è stanco, è sporco di fango e nell'aria sangue sporca l'aria come la polvere da sparo.
Ha solo diciannove anni ma da un anno intero è sullo Zugna, si sposta verso il Passo Buole e rientra. Spara, forse uccide, forse ha ucciso, non lo sa con precisione.
È un alpino del 4° Reggimento del Battaglione alpino Aosta.
Chiuso in trincea pensa alla Martesana, così diversa da quella montagna lì che non ha neanche mai studiato a scuola.
Spara, ricarica, spara, non ha più pallottole, c'è fumo tutto attorno. I pennacchi dei generali austroungarici in lontananza si agitano come draghi a comandare le truppe nell'assalto contro gli italiani. Sono più di uno, il sottotenente li vede attraverso il fumo dei fucili, degli obici che oggi urlano rabbioso contro il cuore della montagna. 
Sembra un terremoto, trema tutto attorno a lui, nel petto. Passa all baionetta e corre. Corre come il maestro gli ha insegnato sul campaccio dell'Unione Sportiva Argentia a Gorgonzola, giù, in campagna. Corre come se dovesse fare gol fra i reticoli. Salta corpi, di nemico e commilitoni, ma non è abituato al corpo a corpo, nessuno fra i migliaia di giovani in uniforme lo è.
Il sottotenente vede il drago davanti a sé, scarta di lato, inciampa su qualcosa, corse qualcuno, cade, cadendo vede la baionetta sfiorare lo stivale nero tenebra del drago.
Prova calore, dolore. Si stende sulle alture dello Zugna. La roccia è calda come la campagna di Gorgonzola.
Tira ancora un calcio al pallone e lo vede superare il pennacchio del drago.
Lo Zugna nonostante le perdite numerose resiste e gli austroungarici non sfonderanno mai le nostre linee.
Nell'estate del 1916 lo Zugna all'interno degli equilibri del conflitto diventa marginale e resta in mano italiana per i successivi due anni.
A Gorgonzola la vita è andata avanti coi ritmi della periferia milanesi. Da un po' di giorni c'è una famiglia che non riceve notizie dal figlio, arrampicato sulle montagne trentine a sparare ai crucchi, come erano conosciuti gli austroungarici.
Il perché è chiaro a tutti ma nessuno lo vuole ammettere fino a che un ufficiale del Regio Esercito porta la triste comunicazione; vostro figlio è morto per servire la Patria. Illogica frase per giustificare la morte in guerra. Con la freddezza tipica del mondo militare il Re consegna alla famiglia del caduto una medaglia d'argento e 250 lire, che dovrebbero ripagare della perdita del loro caro.
La madre e il padre del sottotenente cercano di riprendere la loro vita anche dopo la fine del conflitto, dopo le ferite che la guerra ha lasciato dentro e attorno alla loro vita.
Vedono altri giovani rientrati dalla Guerra, dalle trincee degli altipiani. Provano a ricostruirsi una vita ancora giovane, anche riprovando a dare calci ad un pallone, quel pallone che sta riprovando ad entrare nella routine del paese.
L'Unione Sportiva Argentia gioca nei campi privi di erba di Gorgonzola nei campionati regionali e provinciali.
La mamma del sottotenente Erminio Giana li osserva quando può; osserva i coetanei di Erminio correre dietro quel pallone in pantaloncini corti e scarpe chiodate. Hanno le gambe rovinate dalla sabbia e dalle erbacce.
A casa ne parla con il marito, da buona religiosa chiede consiglio al parroco che non può non approvare la sua decisione.
È il 1932.
Si reca nella sede dell'Unione Sportiva Argentia e dona le 250 lire che il Regno le ha donato per la vita di Erminio.
Con quei soldi possono comperare i terreni per allenarsi e non rovinarsi più le gambe sulla sabbia.
La squadra accetta ad una condizione; dall'anno successivo, il 1933 la squadra di Gorgonzola si chiamerà Giana Erminio e in segno di rispetto e lutto per la famiglia e la memoria del sottotenente indosserà una divisa nera coi bordi bianchi.
Ecco, ora Erminio è davvero tornato a casa con gli amici di sempre, a guardare scorrere pigro il Naviglio.
Dal 1947 il nome Giana Erminio sarà definitivo, cambierà solo anni dopo i colori della divisa negli attuali bianco e azzurro, disputando fino a tutto il primo decennio del nuovo secolo i campionati dilettantistici lombardi.
La Giana è l'unico caso di squadra con un nome ed un cognome e un posto particolare nella storia bellica del paese.


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