Mané saltella sulle gambe storte, con i crampi allo stomaco.
Rio de Janeiro e l'Atlantico sono qualche chilometro più a sud di Pau Grande.
L'uccellino saltella sulle due gambe da rami a ramo in cerca di cibo; Mané lo osserva e saltella sulle gambe storte.
L'uccellino è piccolo, spelacchiato, un po' nero un po' marron, ma saltellando nella foresta sa dove trovare il cibo.
A Mané brontola lo stomaco.
Papà era un indio, abituato a vivere la foresta, era un indio Fulniô e la mamma mulatta. Gente che ha dovuto fare i conti con fame e pochi soldi fin da subito. E con la povertà i figli, e per risolvere i problemi, tutti i problemi della famiglia Dos Santos, cachassa. Rimedio indio per una vita misera.
Mané con la cachassa sente meno i morsi della fame, sente caldo anche senza scarpe.
Mané osserva l'uccellino saltellare e saltella pure lui.
Il papà se ne va troppo presto e a Mané non resta che qualche minuto con la mamma, la cachassa e il tabacco. Non importa se ha solo quattro anni.
Quando non saltella per Pau Grande va a scuola, lo fa controvoglia. Dopo la terza media Mané rincorre l'uccellino nella foresta, fumando il tabacco indio.
Il garrincha è piccolo, appunto nero o marrone, un mulatto come il giovane Mané.
Nel '47, a quattordici anni è alto solo 162 cm e pieno di problemi fisici.
Guardando l'ennesimo salto del garrincha, Mané decide che vuole lavorare. Aiutare la madre e bere cachassa come i grandi al bar. Mané sa già qual'è la sua strada.
Sbagliando.
Trova lavoro bella fabbrica tessile della zona. Il signor Boboco, il suo caposezione lo osserva, è severo e si chiede se quello scricciolo magro, leggermente strabico, con una forma grave di scoliosi sia davvero in grado di lavorare.
Il ragazzo ci prova però, con buona volontà.
Dopo il lavoro Mané corre per rientrare a casa coi piedi scalzi per non sciupare le uniche scarpe buone, inseguendo dal basso il garrincha, solo qualche metro sopra di lui.
Quando la voglia di essere un ragazzino come gli altri lo colpisce, di ferma a giocare a pallone per strada, non importa quanto distante sia da casa sua.
Il signor Boboco lo osserva da lontano.
Il ragazzino beve come un adulto, ha un ginocchio valgo ed uno affetto da varismo, non può correre a lungo.
Anche il signor Boboco sbaglia.
Mané corre sulla fascia, non si accorge di come i sassi lacerino i piedi, più probabilmente non gli importa. Corre sregolato, sembra sempre sul punto di cadere ma non cade mai. Corre dritto verso l'avversario e quando sembra perdere il contrasto si evolve in una serie di finte e dribbling, fatte di saltelli e scarti.
E ride Mané, non sembra far fatica,non sente le botte e gli insulti degli avversari, palla al piede vuol dire felicità, non quella chiusa nei sorsi di cachassa o nelle nuvole di fumo.
La felicità di giocare a calcio.
Ogni partita dura una vita e Mané rientra tardi, coi piedi che fanno male e un sorso di cachassa bevuto.
La mamma non si arrabbia più, ora che il papà non c'è più tutti sono più slegati fra loro.
E Mané beve e si ferma sotto un albero. Osserva l'uccellino, vede una ragazza e se ne innamora.
E poi il lavoro; il signor Boboco lo ha notato e gli offre un ingaggio con il club della fabbrica.
Mané accetta, a patto che il signor Boboco gli compri un paio di scarpe da calcio.
Il signor Boboco non può rifiutare e regala un paio di scarpe a Mané. Mané che intanto rimane solo.
Nel 1949 la madre muore e lui è lasciato solo in balia della cachassa, che per gli indios cura tutti i problemi.
Nel frattempo Mané corre con quella sua corsa storta e sgangherata. È bravo, il migliore della regione e titolare della sua squadra.
Mané finisce le gare dolorante e stanco.
Beve e il signor Boboco sa che Mané non rimarrà a lungo nella sua squadra.
Le offerte arrivano, arrivano al campo anche osservatori delle squadre di Rio de Janeiro: Vasco da Gama, Fluminense e Sai Cristovao.
Mané però è particolare, lo sa anche il signor Boboco.
Rinuncia al Vasco perché non ha le scarpe adatte, al Fluminense e al Sai Cristovao per disinteresse.
La cachassa entra sempre più spesso nelle giornate di Mané che sembra trovare se stesso sul campo da calcio e fra le braccia di una donna.
Nel 1951 il signor Boboco sa che non ha più molte occasioni per vendere il ragazzo e guadagnarci prima che l'alcol prenda il sopravvento.
L'occasione ha il nome del Cruzeiro di Sul di Petropolis, e per Mané è l'occasione per guadagnare il primo vero stipendio da calciatore.
Nella zona è famoso ormai: gioca all'ala destra, quando corre non lo ferma nessuno e se ci provano Mané scarta a destra e poi a sinistra. I tifosi lo acclamano, anche i rivali, le donne pure e quel ragazzino mulatto dal fisico infelice finisce sempre più spesso le serate nei locali di Petropolis.
Mané sa che il garrincha cambia ramo di continuo, deve farlo, lo fa per sopravvivere.
Mané prova a fermarsi, è il 1952.
Sposa Maira Marques e dribbla sull'ala destra. Sull'entusiasmo del matrimonio accetta l'offerta di Araty Viana e passa un provino con il Botafogo di Rio de Janeiro, i bianconeri del grande Milton Santos che al provino di Mané viene dribblato.
Il suo parere è positivo, non può essere altrimenti, anche se il grande Nilton non sa come può quel ragazzino sgraziato, con sei centimetri di differenza fra una gamba e l'altra, essere così bravo e veloce.
A 19 anni è un professionista per il calcio brasiliano anche se la paga accettata è come quella di un operaio.
Non è un Botafogo di grandi campioni quello del 1953 ma il campionato basta a fare di Mané l'idolo dei tifosi.
Osservano il ragazzino ingobbirsi, piegare innaturalmente le gambe per scherzare l'avversario, per dribblarlo senza replica.
È un idolo e nonostante Nair gli regali più volte la gioia di diventare padre, Mané si innamorerà di un'altra donna, Iraci Castillo, arriverà a fermarsi da lei dopo gli allenamenti e alla fine dalle due donne avrà dieci figli.
E continuerà a bere, a dimenticarsi la strada di casa e a dormire appoggiato ai tavoli dei bar.
In campo Mané cambia, respira l'odore del campo e corre e non lo ferma nessuno.i
I tifosi impazziscono e anche la nazionale lo chiamerà a se, nel 1955. Esordisce contro l'Uruguay in una gara in quegli anni non banale per i brasiliani.
Gioca e trionfa Mané;corre e salta e alla fine in verdeoro giocherà i Mondiali del '58, del '62 e del '66. Vincerà i primi due, dominando la fascia, trovando sempre la traiettoria precisa per l'ennesima rete dei compagni.
I tifosi che lo vedono saltellare senza fatica lo adorano e iniziano a chiamarlo Garrincha, come l'uccellino.
Mané ora è Garrincha, come l'uccellino.
Però lo spirito indio del padre lo condizionerà ancora.
Rifiuta gli interventi chirurgici perché le guaritrici di Pau Grande gliele sconsigliano e gioca condizionato dalle infiltrazioni.
E col gioco aumenta il dolore sul fisico imperfetto di Garrincha, che inizia a vincere anche col Botafogo e ad innamorarsi.
Anche solo per una notte come nel 1959 durante una tournée amichevole, che mette incinta una cameriera svedese.
Riesce con l'aiuto del compagno Nilton Santos a pagare i debiti dei tanti locali di Rio che lo hanno ospitato nelle serate alcoliche.
Ma Garrincha in fondo è Mané; forse sa che la vita è una e deve viverla.
Il suo calcio per il popolo brasiliano è divertimento, compensa la classe e le reti di Pelé, ma per lui è divertimento, come l'alcol e le donne.
In fondo dribbla la fame, i crampi allo stomaco.
Nel frattempo l'artrosi si complica, le infiltrazioni no bastano e Garrincha deve riposare almeno un giorno dopo le gare.
Sul campo le giocate a Garrincha riescono sempre, sempre uguali per la gioia dei tifosi, anche rivali. Al rientro negli spogliatoi Garrincha zoppica vistosamente, ogni giorno di più e negli anni bui della dittatura fascista , 1964, accetta un contratto "una tantum" col Botafogo.
Piegato dai dolori trova rifugio nella nuova moglie, che lo accompagnerà negli ultimi scampoli di football verdeoro. Nel 1965 Mané beve cachassa e osserva il garrincha. Lo nota giorno dopo giorno fermo sullo stesso ramo, che non saltella più.
Nell'agosto del 1965 n derby contro il Flamenco segna la sua ultima rete in bianconero.
Garrincha continuerà a giocare in Sud America, dividendosi fra comparsate con Flamengo, gli argentini del Boca Juniors, ancora Brasile col Vasco da Gama e gli uruguaiani del Nacional Montevideo.
Zoppica, taglia ancora verso l'interno ma li scatto esplosivo ora è un ricordo.
Finisce in Italia con la nuova moglie Elza Soares, cantante, sposata nel '66 in Bolivia.
Lei è sulla rampa di lancio per il successo (peraltro è ancora attiva come cantante in Sud America), Garrincha alla fine della sua parabola sportiva.
In Italia Garrincha gioca a calcio e beve, ormai una cosa sola. Gioca con tutti; squadre di operai o di macellai, tornei di spiaggia e campionati dilettantistici regionali, nel Lazio.
Si allena anche con i biancocelesti laziali ma ormai è l'ombra del Garrincha verdeoro.
Segue ancora la moglie al rientro in Brasile; l'Olaria gli regala l'occasione di tornare sul campo di gioco ma l'uccellino ora è sempre più fermo sul ramo e quella del 23/8/1972, ironia della sorte contro il Botafogo, sarà la sua ultima partita ufficiale.
Pochi anni dopo anche con la cantante Elza Soares il matrimonio finisce; Mané è l'ombra di se stesso, vittima di un alcolismo iniziato troppo presto.
Provano a convincerlo ad insegnare a saltellare ai bambini ma il richiamo dell'alcol è più forte.
Inizia ad avere problemi di cirrosi, sviene nei locali, si addormenta dove capita.
Indossa la maschera di Garrincha, quello che ormai non è più; appare solo, spaesato, vestito di verdeoro fra la folla.
Ha 14 figli, sparsi nel mondo e perduti nella memoria. Ha pochi soldi per vivere e soprattutto Garrincha, la gioia del popolo brasiliano vive da solo.
Il 20 gennaio 1983 un edema polmonare chiude per sempre le ali dell'uccellino nero e marrone.
Il garrincha si è appoggiato nell'ultimo nido in silenzio, senza più il rumore caldo degli applausi attorno.
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