Joseph Mwepu Ilunga

Il suo gesto atletico, tanto sciagurato quanto deciso, è diventato suo malgrado un'icona, destinata a vivere nell'immaginario collettivo per sempre, con una verità diversa dalla realtà.
Il fatto che nello stesso fermo immagine la storia immortali i baffi folti e neri, esterrefatti, del campione brasiliano Rivelino (reduce del Brasile campione del mondo a Messico '70) rende più drammaticamente ironica la foto.
Il 22 giugno 1974 è a modo suo storico, anche se l'evento riguarda una gara dei gironi eliminatori del Campionato Mondiale di calcio, organizzato dalla Germania Ovest.
Si gioca a Gelsenkirchen, al Parkstadion.
Una gara ai fini del risultato, inutile.
Una gara che entra a piedi uniti sulla Storia.

Negli anni '70 il continente africano è un continente che è uscito, o ci sta riuscendo, dalla lunga epoca coloniale. Gli Stati colonozzitari dopo aver saccheggiato di ogni ricchezza, e persone a volte, gli stati sottomessi sotto la guida neanche troppo nascosta della CIA e di tutti i servizi segreti ad essa riconducibili, lasciano il continente ad una pletora di dittatori allevati nelle scuole cattoliche, nelle scuole marxiste in alcuni casi, di stampo militare, con un forte ego e un esasperato culto della personalità.
La maggior parte delle volte la spartizione del continente africana veniva decisa a tavolino nelle capitali europee, chiaramente sotto controllo americano.
La fuga dei paesi europei, Francia, Olanda, Belgio e Portogallo, creò una frattura a volte insanabile fra tutte le etnie, fra tutte le tribù presenti nei territori, spesso contenute dagli stessi paesi con l'uso della forza e della violenza.
Negli anni '70 l'Africa diede vita ad alcune delle figure più drammaticamente famose della storia, dittatori addirittura peggiori dei colonizzatori da loro scacciati o spinti al rientro in patria.

L'ex Congo Belga nel 1971 trovò la sua indipendenza ufficialmente il 27 ottobre quando il Mobutu con un colpo di stato prese il potere istituendo con l'aiuto degli americani e dei belgi, la repubblica monopartitica dello Zaire, stato fondato sugli abusi, sulla corruzione e sul terrore.

Joseph Mwepu Ilunga è un calciatore, gioca difensore, il suo ruolo è terzino destro.
Nello Zaire del terrore di Mobutu il calcio è una vetrina soprattutto politica, abile a cavalcare l'onda dei successi dei "Leopardi" agli occhi del mondo.
Joseph cresce calcisticamente nella scuola cattolica di Lubumbashi militando nelle file del Cercle Sportif Don Bosco.
Gli piace correre sull'erba, cercare di strappare il pallone dai piedi dei ragazzini più grandi.
Ha carattere Joseph, non ha paura di cadere. Si rialza e ricomincia a correre e nel 1969 a vent'anni arriva ad indossare la maglia a strisce bianconere del Tous Puissant Elgebert, più avanti TP Mazembe. 
E qui il giovane Joseph diventa grande, forte e vincente.
Vince tutto in patria e nel continente: il TP è la squadra più forte del Congo Belga. Non solo, il TP domina anche nel continente africano trionfando due volte consecutive nella Coppa dei Campioni d'Africa, 1967 e 1968.
Joseph è il terzino destro più forte della nazione, naturale l'approdo in nazionale.

Mobutu non accetta le sconfitte, nessun dittatore accetta le sconfitte, specie quelle sportive.
Preso il potere nel 1971 cambia il nome alla nazione in Zaire e la maglia ai giocatori della nazionale si calcio impegnata nel triennio che porta al 1974 nelle qualificazioni ai Campionati del Mondo 1974 e alla Coppa d'Africa per nazionali nello stesso anno.
Tutti obiettivi che il dittatore impone di vincere.
Il prezzo da pagare in caso di insuccesso era la vita.

Joseph indossa la maglia verde con il leopardo dorato davanti come se dovesse difendere il neonato Zaire in guerra.
Quello Zaire è in gran parte composto da calciatori del TP e si qualifica facilmente per il mondiale tedesco.

Il mondo impara a conoscere meglio i dittatori mandati al potere dai blocchi che guidano quel mondo. Uganda, Repubblica Centrafricana, Zimbabwe e Zaire sono icone del malgoverno, della corruzione e dello sfruttamento dei propri popoli con la connivenza dei poteri forti.
Mobutu in questo non è da meno dei vari Amin Dada, Bokassa e Mugabe, anzi.
Il suo tipo di malgoverno passerà alla storia anche come Repubblica fondata nella cleptocrazia.

Joseph Mwepu Ilunga sa queste cose, nei ritiri con i compagni di squadra ne parla ma non possono fare nient'altro che ubbidire e cercare di esaudire i desideri del dittatore.
La Coppa d'Africa si disputa a marzo del 1974 quindi pochi mesi prima del mondiale in Germania in Egitto.
I Leopardi sono i secondi favoriti per la vittoria finale, logicamente dopo i padroni di casa.
Mobutu promette soldi e auto, lussi che nessun altro in Zaire si può permettere.
Il 9 marzo Joseph e compagni capiscono che la Coppa possono portarla a Kinshasa ma non per Mobutu ma per il popolo, la loro gente.
La semifinale di disputa al Cairo contro i padroni di casa, favoritissimi.
I Leopardi non mollano nulla, anzi ribattono colpo su colpo agli avversari ed alla fine vincono 2-3 qualificandosi per la finale, sempre al Cairo del 12 marzo contro lo Zambia.
Joseph sa che non può sbagliare nulla sulla fascia destra e gioca un'ottima finale; termina però in pareggio e quindi si ripete due giorni dopo la stessa finale e questa volta i Leopardi portano a casa il trofeo.

Il continente africano vive di equilibri delicati, equilibri con i quali si deve scendere a patti. Lo sanno bene il signor Kissinger, il signor Mitterand, i segretari del Pcus soviet.
Dopo averli messi al potere appare chiaro in quel decennio che alcuni dittatori sono improbabili, ingestibili, assetati di vendetta e potere. Gli ex colonizzatori e quelli nuovi non trovano di meglio che inondare di denaro, armi e lusso questi nuovi presidenti, re, addirittura nuovi imperatori di imperi che non ci sono, dando vita di fatto ad anni segnati dalla crudeltà più assoluta.

In mezzo a questi giochi di potere ci finisce anche il calcio, strumento usato più di altri dalle dittature moderne. E non sono solo i calciatori a pagare gli scarsi risultati e gli insuccessi; si generano spirali di violenza e morte che toccano tutta la cerchia familiare.
A cavallo fra XX e XXI secolo saranno i calciatori libici e iracheni a pagare questo prezzo altissimo. 
Altre dittature conniventi con gli stati più potenti, tenute in vita dagli stessi fino a che sono servite.

I calciatori e i tecnici dello Zaire lo sanno tutto questo; nel continente africano loro nei primi anni '70 sono fra i calciatori più forti, addirittura più forti dei calciatori del Magreb (i migliori per la loro vicinanza alla cultura europea).
Il tecnico è uno jugoslavo, uno dei tanti tecnici giramondo che nel continente africano sono arrivati per insegnare calcio e lo ha fatto bene al punto di essere campione continentale.
Blagoja Vidinic, il suo nome, ha scelto i giocatori più forti e spera quantomeno di non fare brutta figura; il girone è impossibile e anche questo calciatori e tecnici lo sanno già. Scozia, Jugoslavia e Brasile sono avversari grandi come il Kilimangiaro.
Joseph sa che dovrà davvero trasformarsi in leopardo per fermare i vari Dalglish, Surijak, Jaurzinho, tutti attaccanti affermati che giocoforza transiteranno per la sua fascia.
Se lui sarà bravo in avanti i Leopardi possono contare su Ndaye, "l'assassino" il suo soprannome, che in Coppa d'Africa non smetteva più di segnare, e sulla sua spalla, Mavuba.
La Germania anche in estate ha il cielo grigio, colore del ferro. Joseph osserva la struttura del Parkstadion di Gelsenkirchen.
Non riesce a pronunciarlo il nome della città mineraria che lo farà entrare suo malgrado nella storia.

Mobutu guarda nel salone l'esordio con la Scozia, parla al telefono con "l'ultimo Re di Scozia", quell'Amin Dada che con il pugno di ferro governa l'Uganda. Finisce 2-0 per i britannici, i Leopardi hanno retto bene il confronto con dei maestri del football. Il dittatore è soddisfatto nonostante la sconfitta, pensa che l'auto promessa per la vittoria continentale sia il giusto premio per i suoi giocatori. È fiducioso di fare bella figura con la Jugoslavia.
Non sa il dittatore che quella Jugoslavia ha un soprannome pesante, non sa che gli jugoslavi sono considerati per estro e indole "i brasiliani d'Europa".

Non ce la fa Joseph, non ce la fa a rincorrere Surijak, Bajevic e Katalinski; alla fine del primo tempo gli slavi conducono 6-0.
Joseph chiede all'allenatore di contare gli avversari che sembrano di più, tanti di più e sulle fasce passano veloci come treni e come treni sono grossi.
Gelsenkirchen adesso a Joseph sembra buia come una delle miniere che la circondano nel cuore della Ruhr. Il risultato finale è 9-0 per la Jugoslavia e Joseph con i compagni vorrebbe restare lì sull'erba del Parkstadion, magari scendere in una miniera e sparire.
Pensa allo Zaire, a casa sua.

Mobutu è una furia. Pretende di parlare subito con mister Vidinic, vuole la sua testa, urla stridulo insulti, li urla in francese e volano nel salone tazze e ceramiche pregiate.
Urla che è uno sfregio, una vergogna nazionale, che la pagheranno cara.
L'obbligo è di concentrarsi sul Brasile.

Ilunga osserva i baffi di Rivelino, è davanti a lui pronto a calciare la punizione. Si copre con l'avambraccio il petto ma si sente irrequieto. La barriera dei Leopardi si muove, quasi non sente le urla del portiere Kazadi che cerca di richiamarla per posizionarla al meglio.
Joseph vede i riccioli castani del brasiliano Dirceu immobili, il calciatore aspetta il fischio dell'arbitro tenendo le mani appoggiate sui fianchi. 
Sono piccoli, molto più piccoli degli jugoslavi, non usano il fisico per superarlo, fanno sparire il pallone come in un gioco di magia.
L'arbitro sta per fischiare, Joseph sente le gambe muoversi, pulsare, il cielo è sempre grigio sopra la Germania.
Fischio dell'arbitro, il portiere Kazadi urla qualcosa, Joseph ragiona velocemente, è il minuto 85 di una gara già chiusa. 
Joseph non sente mister Vidinic urlare di non farlo e corre, veloce come un Leopardo, e si trova quasi faccia a faccia coi baffi di Rivelino, che lo guarda stupito.
Joseph anticipa l'asso brasiliano e colpisce la palla più forte che può, lanciandola lontana, più lontana per poter respirare.
L'arbitro si avvicina severo e ammonisce il terzino che prova a giustificarsi ma accetta il cartellino. Rivelino sorride, come il Brasile, i commentatori che ironizzano sul calcio africano.
Finisce 3-0 per i verde-oro, i Leopardi tornano a Kinshasa sconfitti ma paradossalmente sollevati.

Mobutu non capisce subito che quel mondiale sarà lo specchio del suo regno. Che finirà fortunatamente solo nel 1997 quando tutti i personaggi che lo hanno tenuto in vita non ci saranno più, così come i fiumi di denaro.

Joseph giocherà, come altri suoi compagni di quella nazionale, solo nel suo club, dimostrando nel continente africano di essere sempre un buon terzino destro anche se il mondo per anni continuerà a farsi beffe di lui.
Lui risponde sorridendo, anche quando sarà anziano, osservando i figli ormai grandi, i nipoti. Attorno a lui.

Dopo la sconfitta con la Jugoslavia il dittatore avevo sentenziato che con il Brasile non si doveva perdere più di 3-0, qualsiasi altro risultato avrebbe comportato la pena di morte per i giocatori della nazionale e le loro famiglie.
Una punizione di poco fuori dall'area affidata a cinque minuti dal termine ai piedi di un Rivelino o di un Dirceu era un gol sicuro.
Fu la paura per la moglie, per i figli, per le famiglie dei suoi compagni a muovere le gambe di Joseph e calciare al rovescio quella punizione.
Fu la sua voglia di vivere e mandare lontano un dittatore che stava soffocando il suo paese.
Tutto questo nessuno a Gelsenkirchen lo aveva capito tranne staff e giocatori dello Zaire, preferendo etichettare i Leopardi come inadatti al gioco del calcio.
Joseph parlò moltissimo tempo dopo di tutto questo, dopo la morte in esilio di Mobutu, rivalutando quel gesto così sconclusionato in un bellissimo gesto rivoluzionario.








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