14 novembre 1951

La guerra è lontana solo qualche anno, il paese in fondo è giovane, troppo per alcuni aspetti. Non c'è la ricchezza allegra che accarezzerà il paese qualche decennio dopo piuttosto c'è una seriosa laboriosità, tipica di chi ha voglia di rimboccarsi le maniche per disegnare al meglio il proprio futuro.
Nelle terre umide del Delta del Po la guerra è stata superata guardando avanti, solo avanti. Guardando negli occhi madri, padri, figli, fratelli e lavorando sodo. I campi sono stati ripuliti dalle scorie del conflitto, bonificati dalle mine e dalle granate e inesplose, interrate nel fondo melmoso e denso del Delta.
Il 1951 sta finendo.
Osservo aggrottando la fronte la statua dell'Arcangelo Michele che tiene sotto il suo piede la testa sofferente di Lucifero. Non sono sicuro di capire bene il suo significato, ai miei occhi di bambino quello che sta sotto è la vittima.
L'arcangelo, lo scoprirò crescendo è un angelo speciale, come scriverebbe Fleming, "con la licenza di uccidere". Michele non è il solo sono sette gli arcangeli, un po' come i samurai.
La statua dell'Arcangelo Michele è ai piedi dell'altare maggiore della chiesa del mio paese da quando ne ho memoria. Lo osservo ogni volta che vado in chiesa con la mamma. La statua è grande, è molto più alta di me e sopra la testa dell'Arcangelo, molto sopra, ogni volta guardo una linea nera, che corre lungo tutto il muro perimetrale dell'edificio. È un nero brutto, seccato dal tempo. Sembra dentro il muro.
"Chi è quello che è steso per terra"
Credo di chiederlo ogni volta alla mamma o al papà, loro sono sicuro che lo sanno e ogni volta me lo spiegano.
Era un angelo un po' vanitoso che ha fatto un errore e dal cielo è caduto e per questo è diventato il più cattivo di tutti. Michele però lo ha preso e lo ha battuto. 
Strano, a me sembrava davvero che il cattivo con la faccia sofferente fosse quello buono.
La chiesa come in tutti i paesi e le città, è sempre al centro, punto di ritrovo della comunità, luogo di raccolta della comunità. La chiesa di Loreo è detta arcipretale, a "capo" di una parrocchia, è sorta nel 1675 e parla del paese, di Venezia sua dominatrice e della storia recente del paese stesso. La guerra l'ha risparmiata.
A novembre il Polesine è avvolto dalla nebbia, dalla brina che ricopre di bianco i campi; le stalle sono piene e calde, e case racchiudono famiglie strette attorno al fuoco del camino. I pioppeti sembrano spettri e filtrano intermittenti le luci dei pochi mezzi che circolano su strade bianche e poco asfaltate. Il Polesine è sostanzialmente acqua, umidità, casolari e golene. Visto dall'alto è un reticolo di righe azzurre, quadrati verdi, marron e rossi. Il Polesine è parte integrante della provincia di Rovigo, quella provincia che divide il Veneto dall'Emilia Romagna; a dividere le due regioni c'è solo il Po.
A guerra finita i polesani si sono rimboccate le maniche per riprendere possesso della loro terra, per riempire di bambini e animali le fattorie, tornare a pescare lungo gli argini di fiumi, canali e collettori.
Anche chi aveva dovuto ricominciare da zero, da una forma di povertà dignitosa cercava di ritornare alla vita di prima. I miei genitori sono degli anni '30, il conflitto li ha travolti bambini. La mamma e i tanti fratelli al riparo del casello ferroviario, casa destinata dalle ferrovie al nonno all'epoca dipendente delle ferrovie presso la stazione di Loreo, il papà con la sua mamma (il nonno paterno se ne era andato che il mio papà aveva pochi mesi) e il fratello nella piccola casa in campagna, appoggiata sull'argine del Naviglio, circondata dai campi, dai fienili e dalle stalle.
Stringo la mano al papà mentre passeggiamo sul sagrato della chiesa per andare a trovare il mio amico Carlo, gli chiedo perchè le pareti dell'edificio e di quelli attorno hanno quella brutta riga nera, molto più in alto di quanto possa essere una persona normale.
Mi risponde sempre allo stesso modo, che è una storia lunga. Io rispondo piegando la testa di lato e dicendo si con un movimento della testa.
A novembre quando i giorni non sono velati di nebbia lungo il fiume Po piove, ogni tanto in maniera eccezionale, spesso allagando appena le aree golenali. 
Negli anni della mia adolescenza mi piaceva andare nell'area golenale più vicina a casa mia, nel comune di Porto Viro e osservarla allagata dall'alto della strada con emersa solo la parte superiore del camino della vecchia fornace.
La fornace nell'immediato dopoguerra cuoceva i mattoni necessari alla ripresa di tutti i paesi vicini. Per tutti era il momento di ricostruire e costruire edifici nuovi per dimenticare il ventennio passato. 
Con le piogge autunnali l'area attorno ad essa si allagava non impedendo mai di continuare la sua opera. 
Il signor Vanni chiama mio padre, Mario, gli chiede di dargli una mano con gli animali; devono spostarli da vicino l'argine e riportarli nelle stalle. Altri nelle fattorie vicine fanno lo stesso nel novembre del 1951. Il grano viene spostato nel paino più alto dei fienili (generalmente costruzioni a due piani molto più alti dei piani delle abitazioni).
Mio padre ha 17 anni, lavora da quasi sempre e so dai suoi racconti che aiutare quei vicini di casa gli piaceva, del resto il feeling con gli animali del mio papà si è conservato negli anni.
Il signor Vanni dice che sta piovendo troppo, da troppi giorni, anche la radio lo ha detto. La radio nel '51 è privilegio di pochi ma dove è presente fa sentire unito il paese.
Piove da giorni e il 12 e il 13 novembre la piena del Po attraversa il territorio della provincia di Mantova; allora non era come oggi. Oggi in primis abbiamo una formidabile attività di prevenzione della Protezione Civile (nata così come come la conosciamo oggi dopo il sisma in Friuli nel 1976) anche se non sempre basta a prevenire gli effetti disastrosi di una calamità naturale (è un discorso molto più ampio da fare e dai risvolti amministrativi e politici).
Il Genio Civile di Rovigo, competente nel territorio del Polesine agisce secondo i protocolli vigenti all'epoca. Il mio papà me lo ha spiegato tante volte per farmi capire perchè fosse potuto capitare una cosa simile. La mia mamma ha sempre ascoltato e annuito.
Piove tanto sul Polesine la mattina del 14 novembre 1951, i tanti signor Vanni che abitano il territorio chiedono ai sindaci che da soli intraprendono un'attività enorme per innalzare gli argini dei fiumi, il più possibile, sotto la pioggia fredda.
Mio papà racconta, vedo le sue mani che si cercano, si stringono mentre mi racconta che dove adesso c'è il muretto di mattoni che delimita il canale allora c'erano grossi sacchi di sabbia, messi ad uno ad uno, uno sopra l'altro anche da lui, dai suoi amici, da persone che forse non conosceva.
La radio fatica a parlare, arriva la notizia che il fiume ha rotto gli argini a Malcantone, nel comune di 
Occhiobello, Altopolesine.
Papà mi racconta che i sacchi erano fatti con lenzuola, stracci, che la juta non si trovava facilmente, che sugli argini la sabbia era spesso portata dagli uomini del paese con le carriole.
Ho sempre visto negli occhi di mio padre dolore vero quando mi raccontava.
Dopo l'Altopolesine la piena del fiume Po si prende quelle terra che tanti anni prima le appartenevano e prosegue la sua corsa verso il mare, il punto più critico: un'onda di piena, acqua e fango, non viene sempre ricevuta dal mare, che vive di vita propria, che vive in funzione delle maree e che può respingere indietro l'ondata di piena con risultati ancora più drammatici.
Seduto sulla panca della chiesa lascio che le gambe a penzoloni si muovano da sole, ci gioco mentre la mamma posa su uno degli altari laterali un centro fatto ad uncinetto. Osservo il quadro della Madonna solo sfiorato da quella linea brutta e nera nel muro.
Il papà ha aiutato la nonna a spostarsi in un'altra casa, non più sull'argine del canale. Nei campi attorno c'è il silenzio degli animali ormai chiusi nelle stalle.
L'onda di piena entra velocemente nelle case, nei fienili, nelle scuole, nelle chiese, ovunque, paese dopo paese, accompagnata dalla pioggia più fredda di altre volte.
Passiamo vicino alle scuole del paese, sono alte, le guardo. Papà vede che le osservo interessato, curioso.
"Sono alte tre metri, sono tante alte, quella volta ci sono passato sopra col canotto."
Sospira, sa che non gli chiederò mai il perchè, sa che conosco la storia della mia terra, anche quella del 14 novembre 1951. 
L'acqua arriva con tutta la sua potenza quando il mattino è già iniziato, quando non tutti erano pronti e lontani, al sicuro. Arriva anche a Loreo, con tutta la sua drammaticità.
Rompe gli argini, sposta i sacchi di sabbia, li porta lontani per poter entrare nelle case, nelle botteghe sotto i portici, nei bar. Chi può è salito ai piani più alti, chi ha potuto ha legato gli animali che non scappassero travolgendo le persone, di fatto condannandoli, chi ha potuto ha cercato rifugio nei camion, riempiti si gente in fuga lungo gli argini ma all'oscuro di dove fosse la direzione per la salvezza (sono tanti i fatti di cronaca legati all'alluvione del Po).
I miei genitori si sono salvati come tutti i miei familiari, vivendo un lungo periodo da sfollati (la mamma nella veneta Pianiga, vicino Venezia e il papà a Gorizia, Friuli) prima di riprendere la vita di sempre nel nostro Paese.
Oggi è un giorno particolare, il 14 novembre se non lo vedo lo chiamo, parliamo. Mi ripete sempre una cosa che mi fa riflettere.
"Sai cosa ricordo di più dell'alluvione, di quando le acque sono arrivate a Loreo? Le urla degli animali impauriti del signor Vanni che abbiamo dovuto legare nelle stalle..."
Cammino ancora un pò per i portici ormai rimessi a nuovo, come rimesso a nuovo è il muretto di mattoni che ancora oggi è l'argine del Naviglio.
Anche il Genio Civile, gli enti preposti al soccorso hanno avuto un giusto restauro negli anni a seguire, anche se qualche problema  di troppo ancora c'è.
La facciata della chiesa è pulita, restaurata, anche internamente la chiesa ha avuto negli anni notevoli lavori di restauro e recupero. 
Non c'è più la linea scura, di un nero cattivo, è stata tolta, eliminata.
Era il segno di dove si fosse fermata l'acqua il 14 novembre1951: tre metri, più dell'altezza di un soffitto.






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