“Se i giovani si organizzano, si impadroniscono di ogni ramo del sapere e lottano con i lavoratori e con gli oppressi, non c'è più scampo per un vecchio ordine fondato sul privilegio e sull'ingiustizia.”
Ecco, la frase si perde indietro nel tempo, negli anni '70, anni politicamente e socialmente difficili per l'Italia. L'ha detta un signore che in questi giorni avrebbe compiuto 100 anni, un uomo irripetibile. L'uomo, le sue idee, la capacità di unire e di rispettare il rivale: Enrico Berlinguer da Sassari.
Una affermazione forte, decisa, un invito già a quei tempi a dare fiducia ai giovani, a staccarsi da quel mondo, il vecchio ordine, ancorato al dopoguerra, qualcosa di oramai vetusto.
Gli anni erano gli anni '70, stragi ed estremismi, economia in recessione, pericolo di stagflazione (la contemporanea presenza in un mercato di un aumento dei prezzi e della mancata crescita economica), crisi petrolifera e venire nominati Segretario del PCI voleva dire diventare subito la voce di milioni di operai, lavoratori comuni.
Enrico lo sapeva, nell'immediato dopoguerra aveva sposato le ideologie della sinistra entrando nella Federazione dei Giovani Comunisti Italiani. Da quel momento in poi avrebbe guidato la Sinistra, quella vera, quella autentica e vicina ai suoi elettori, fino alla scomparsa nel 1984 dopo un malore durante un comizio a Padova, e non poteva essere altrimenti. Nonostante il malore terminò l'intervento perché ad ascoltarlo c'erano i suoi elettori, quelli per cui Berlinguer era la Sinisrra, l'unica ammessa e ammissibile. Morì a 62 anni, pochi, lasciando un partito forte che dopo di lui si scoprì debole, molle.
Berlinguer era un uomo minuto, magro, che quando sorrideva lo faceva trasmettendo felicità. Aveva il piglio tipico dei sardi, quel piglio capace di smuovere le montagne e le masse.
Soprattutto per quei tempi in cui la Sinistra era legata a doppio filo (da Togliatti in poi) all'Unione Sovietica seppe imporre il cambiamento, il distacco dall'Orso per avvicinarsi all'eurocomunismo, ampliando lo sguardo, i programmi.
Seppe avvicinarsi alla DC, la Democrazia Cristiana, soprattutto di Aldo Moro (sacrificato sul finire degli anni '80 in nome di qualche trama politica che a noi elettori sfuggirà sempre) per avviare quel compromesso storico che ha cambiato gli schemi di quella politica. Soprattutto ha portato il PCI ad essere il secondo partito d'Italia, raggiungendo consensi mai toccato prima e dopo, perché il dopo è un partito vuoto.
Enrico Berlinguer da Sassari aveva capito che il mondo avanzava sempre più velocemente verso il progresso, a più livelli, e che necessitava di un nuovo ordine, di mente fresche e giovani e pure davanti ad un paese in crisi economica invitava i giovani a diventare protagonisti, a svecchiare regole e strategie, soprattutto a non farsi travolgere dai vecchi meccanismi mai tramontati in realtà. Aveva capito tutto questo con largo anticipo e solo il destino, la salute, hanno deciso di impedire il raggiungimento dell'obiettivo.
Se ne è andato l'11 giugno di trentotto anni fa, alla fine della primavera, pochi giorni dopo il suo compleanno (era nato il 25 maggio 1922), parlando alla sua gente, forse un saluto ideale, da un palco, il suo.
Se ne è andato rispettato da tutti i rivali, anche da quella Destra, avversaria di tante battaglie. Alla camera ardente si vide anche Almirante, segretario del MSI, destra, a rendere gli onori al rivale, come giusto che sia.
Da quel manifesto a favore dei giovani ne sono passati di anni; i giovani se possibile sono sempre più più lontano dall'essere protagonisti del nuovo ordine, la crisi petrolifera è presente nelle nostre vite, la stagflazione inizia a fare vedere la sua ombra, la sinistra è diventata mi uscolae non sa più né vincere né convincere.
Manca un Enrico Berlinguer che indichi nuovamente la via.
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