Mantecare

Il dentice mantecato è pietanza nobile, che avvolge il palato con dolcezza quasi femminile.
Eppure a guardarlo bene si parla di un pesce perennemente "accigliato", parente più robusto dell'orata.
Il Mediterraneo è il suo habitat anche se per pescarlo alcune volte bisogna immergersi fino a quasi cento metri, zigzagando fra rocce e sabbia. Un'immersione trattenendo il fiato, quello che manca mentre attraverso il paese sotto il sole rabbioso dell'estate.
Devo attraversare il ponte sul Naviglio e arrivare alla pescheria che si affaccia sulla riva del canale stesso.
Alberi non ce ne sono, oggi che ripercorro il tratto di strada e ieri, e la poca ombra arriva di traverso dai palazzi che si affacciano sulla strada principale. 
nella tasca dei pantaloncini corti ben piegato ho il biglietto della spesa che mamma mi ha preparato e due banconote da diecimila lire per pagare la spesa.
la pescheria non è grande, ha un unico ingresso che si affaccia sulla riva del canale con i serramenti tipici di una vetrina in alluminio giallo, le pareti in anticipo sulle varie normative Haccp ancora lontane dal divenire, interamente rivestite di piastrelle bianche, smaltate, facili da pulire a fine giornata.
Il banco frigo è esattamente davanti all'ingresso, pieno di scatole di polistirolo e ghiaccio; appena mi ci avvicino mi entra forte nelle narici l'odore di pesce e ammoniaca.
Chiedo alla signora Mara il pesce che la mamma mi ha indicato nella lista con la precisa, fondamentale, raccomandazione a farlo eviscerare in negozio: la mamma cucina in maniera stupenda il pesce ma non sopporta l'eviscerare il pesce a casa. Un pò l'odore, un pò che si sporca tutto preferisce che il signor Odone o il figlio Claudio facciano per lei il servizio.
Passo le banconote alla signora spostandomi sul lato del bancone. Dietro il bancone c'è una piccola pedana che mi spiega perchè la signora Mara mi appaia ogni volta molto più alta delle altre donne del paese. Osserva il marito Claudio eviscerare con pochi movimenti il mio pesce. Ne serve un chilo e duecento grammi, massimo cinquecento altrimenti la ricetta non viene bene.
Il dentice può raggiungere un metro di lunghezza per un peso anche di 12 kg; ha carne magra e saporita e con suo aspetto imbronciato in età adulta abbandona il banco e sceglie una vita solitaria, in fondo il Mediterraneo è grande, spazioso a sufficienza per tutti e pure di piccoli molluschi e cefalopodi ce ne sono tanti. Questo qui ha avuto la sfortuna di cadere preda dei palamiti,  delle reti da posta di qualche peschereccio rientrato al porto stamattina prima dell'alba.
Il mio dentice guardandolo so che è un adulto, probabilmente al termine del suo ciclo vitale dato il colore grigio-azzurro (i più giovani sono color marrone).
Fa caldo, afoso e rovente ma il fuoco sotto la pentola va acceso, non resta che spalancare la finestra e creare quantomeno un pò di corrente d'aria.
Il pane è sul tagliere, già tagliato a pezzi un pò irregolari; saranno posati sulla piastra rovente per ultimi, dopo tutta la preparazione.
Afferro il sacchetto con il cartoccio che avvolge la carne del mio dentice e saluto Mara e Claudio ed esco dalla pescheria, salgo in bici e rientro a casa che tutti gli altri ingredienti necessari la mamma li ha tutti in dispensa. E' agosto e un pò di pesce fresco fa piacere mangiarlo.
Osservo la dispensa con tanti barattoli contenenti polveri che so essere spezie necessarie ad insaporire gli alimenti, l'insieme degli odori mi pizzica inevitabilmente il naso, oggi come allora.
Poso sul tavolo il sale e il pepe, unione inscindibile in cucina assieme al "qb" di certe ricette (ma sul qb si possono aprire fior di discussioni essendo un riferimento al gusto personale di chi cucina), le foglie di prezzemolo appena raccolte dall'orto o dall'orto della signora Liliana vicina di casa e amica del cuore della mamma. le sciacqua senza maneggiarle troppo per non sciuparle e alterarne il sapore.
La pentola grande è pronta sul fuoco, un fuoco dolce, delicato, quasi a non voler infierire sul dentice.
Mamma ascolta un pò di musica mentre mi aspetta, sento le note di "Manuela" uscire dalla finestra della cucina e raggiungermi in garage mentre vi poso la bicicletta. Julio Iglesias non lascia mai le onde musicale di casa.
Entro e le consegno il sacchetto; il movimento della mamma è repentino, veloce. Si asciuga sul grembiule stretto in vita le mani, apre il cartoccio, controlla velocemente che il pesce si eviscerato, sorride, mi sorride, e immerge nella pentola bollente quella carne magra e saporita coprendo subito con il coperchio. Vicino alla pentola con il dentice ce n'è un'altra con dell'acqua messa a bollire e sulla base un contenitore di metallo al momento vuoto.
Il caldo è feroce e cedo all'aria condizionata giusto il tempo di finire di preparare il dentice.
Da "Manuela" la radio si sposta su un Vasco Rossi d'epoca e poi su musica più moderna.
Bastano venti minuti per lessare il nostro pesce, mamma mi chiede l'ora, rigorosamente precisa al secondo e dopo la mia risposta spegne il fuoco sotto la pentola con il coperchio, lo toglie, lascia uscire il vapore di condensa e spalanca anche la seconda finestra della cucina. Prende quello che a me sembra un misto fra uno scolapasta ed una schiumarola e raccoglie delicata i pezzi di carne dalla pentola per spostarli nel contenitore di metallo.
Riposa quello strano arnese e armata di due presine improbabili fatte ad uncinetto afferra i manici caldi del recipiente e scola nel lavello tutta l'acqua contenuta, tranne un mezzo bicchiere, e lascia lo stesso nella vasca in ceramica del lavandino; per oggi quella pentola non ci serve più.
C'è un silenzio pigro attorno figlio del caldo anomale di questi mesi e della pigrizia da sopravvivenza che questo comporta. Mi muovo lento per casa mentre aspetto che anche con l'aria condizionata si suda.
Il recipiente di metallo finisce posizionate sopra l'altra pentola presente sul fornello, un piccolo movimento sulla manopola per alzare un pò l'intensità della fiamma. Mi avvicino e guardo la carne del dentice priva di squame, dell'espressione accigliata e della bocca dai denti canini. Ora assieme alla carne cè un pò di sale, un pò di pepe, il prezzemolo tritato fine fine e un pò di olio, circa due dl.
Niente aglio anche se la ricetta quasi lo imporrebbe ma in famiglia non lo amiamo particolarmente.
Col mestolo di legno in mano la mamma mi guarda sorridendo, le sorrido anche io, e inizia a muovere veloce la mano; la carne del dentice che nuotava nel Mediterraneo è stata lessata, è morbida ma per mantecarla va lavorata col mestolo e le braccia. La mamma mulina la mano destra dentro il contenitore posato sopra la pentola. Con la mano sinistra tiene ferma il contenitore e la destra gira così veloce che non si vede quasi neanche il mestolo. 
La radio adesso passa una canzone in inglese che si intitola "Gold"; è il gruppo degli Spandau Ballet e da questo particolare capisco che nei pressi della radio è arrivato mio fratello e vi ha inserito una delle sue musicassette. Alla mamma non dispiace anche se è in inglese, anche se nè io nè lei capiamo il testo; riusciamo ad orecchio a seguire il ritornello e tanto ci basta per il nostro duetto.
Dentro il contenitore gli ingredienti non si distinguono più, tutto assomiglia ad una soffice crema di burro, appena puntinata e irregolare da qualche lembo di carne del dentice.
Si assaggia solo con la punta del mestolo e il sapore deve risultare dolce, non aggressivo come ad esempio quello del baccalà mantecato (il sapore è molto più deciso, regolato grazie all'aggiunta di foglie di alloro e succo di limone), morbido sul palato, quasi una carezza.
Si toglie dalla cottura a bagnomaria (ecco come si chiama la pentola con l'acqua a bollire ed un contenitore sopra) e si copre con un panno. Lo si lascia a riposare; lo sistemiamo nell'angolo più lontano del tavolo. 
Mamma mi chiede nuovamente l'ora, le rispondo con la stessa precisione di prima.
Annuisce anche questa volta; fra poco il papà rientrerà a casa e si cenerà.
Accendo il fuoco sotto la piastra, l'unico utensile rimasto sul fornello, lo accendo basso che riscaldi la superficie con rispetto, lentamente.
il pane già tagliato a pezzi è pronto nella cesta. Lo scalderò un pò appena prima di sederci a tavolo in modo che il crostino sia croccante ma non rovente e bruciato.
In tavola c'è il contenitore con il dentice mantecato, i piatti, le palette per spalmare la crema, un pò di insalata e il bere che il caldo non lascia comunque scampo anche se il pasto è freddo.
Ci sediamo a tavolo, mamma sorride, sorridiamo a che io e mio fratello che sediamo vicini. Il profumo è quello buono dei piatti della festa, anche se non è festa, anche se è un giorno feriale nel mezzo del calendario estivo.
Addento il mio primo crostino; sento le note di "Gold", mia madre che non sa l'inglese ma canta, il profumo del prezzemolo appena colto, il saluto del signor Claudio che ha ancora appeso in pescheria il disegno che gli regalai. 
Guardo una foto, la mamma sorride, sorrido anche io.








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