Davos e dazi

Quindi, ricapitolando, Donald Trump nuovamente alla Casa Bianca, Elon Musk a braccia tese verso Marte, un piccolo gruppo di miliardari hi-tech che plaudono e sostengono il neo presidente Usa pregustando sicuramente profitti di notevole entità, una parte di mondo politico-economico-accademico si ritrova a Davos, nella quiete un po' inquietante della Svizzera in febbrile attesa del verbo del tycoon-presidente.
Perché mentre nello studio ovale, studio nel quale tutto si decide in punta di penna e Trump lo sta ampiamente dimostrando, si cambia la geografia (toponimi nuovi nell'area del Golfo del Messico ora d'America), la sanità (si abbandona l'Oms rischiando finire in fondo alla fila per la fornitura di informazioni utili e vaccini anti pandemia, perché l'Organizzazione mondiale della Sanità quello fa), si da il via alla caccia all'immigrato laddove precedenti amministrazioni lo tutelavano ossia chiese, centri di accoglienza e ospedali nel resto del mondo ci si trova a fare i conti con la preoccupazione perle conseguenze che avrà il nuovo corso americano su paesi e continenti.
Oltre a quanto detto sul congresso di Davos inevitabilmente pesa la questione dei dazi che gli Usa vorrebbero aumentare dal 10% al 15% del pil di ogni paese.  Questione che sarà presente in tuttigli incontri in agenda in Svizzera.
I dazi non sono politica interna americana ma riguardano il mondo intero, tutto il sistema di scambi commerciali vigenti.
Le voci che fuoriescono da Davos sono contrastanti perché a parlare sono i top manager e gli esperti sia americani che europei che asiatici.
Chiaro che la voce americana spinga verso un aumento dei dazi perché l'obiettivo di Trump e "un'economia americana che cresca e diventi prosperosa", libera da vincoli storici con partner altrettanto storici visti oggi come insostenibile peso.
La voce degli altri paesi coinvolti è invece quella della preoccupazione, quella che deriva da un problema di aumento dell'inflazione, dalla perdita del valore economico a volte congiunto di intere aree come ad esempio UE e Giappone-Corea del Sud.
La voglia, la bramosia della nuova amministrazione americana di recidere ogni vincolo con il passato (rimane nell'ombra anche la questione Nato che sicuramente da qualche parte nell'agenda è evidenziata) scuote i corridoi del Congress Centre con stato d'animo alterni, con l'euforia come detto di chi vive e lavora dall'altra parte dell'oceano Atlantico e l'incredulità e l'incertezza di chi vive e lavora in Asia o in Europa perché è fuori di dubbio che nell'ultimo triennio l'uscita del mondo intero, dei rapporti economici e politici, dall'emergenza COVID ha dovuto fare i conti con un mondo più turbolento, complesso.
A Davos 2025 forse ci sarà il primo passo per capire dove porterà l'economia globale la nuova amministrazione americana.
E speriamo non sia sulla rotta verso Marte.

Commenti