Scrivo, ritorno a farlo. Di quel che mi passa per la testa perché ne avverto il bisogno, perché l'ho sempre fatto per sopravvivenza e vivere, perché qualcosa da dire o raccontare l'ho sempre trovato. Avrei voluto farlo anche questa estate, almeno in questo inizio di estate, mentre osservavo il mare da un terrazzo assolato.
Invece non ci sono riuscito,non per volontà ci mancherebbe, per un senso di vuoto e di colpa che non provavo da tanto tempo ormai.
Da anni e non è eanche una metafora del tempo passato. Tanto, troppo. Colpevolmente per colpa mia, la maggior parte della colpa almeno.
Il senso di colpa davanti al mare calmo è arrivato all'ora di pranzo, via telefono, come un tempo.
E le parole hanno fatto fatica ad essere contenute, sono uscite,hanno fatto il loro percorso e il loro dovere e poi il silenzio.
Calmo come il mare davanti cui stavo.
Una marea silenziosa ha portato a riva ricordi, immagini, suoni che tutt'ora sono impalpabili eppure tangibili se così si può dire.
Mi sono seduto su un sasso, un po' sbilenco, un po' riscaldato dal sole.
Ho chiuso telefono, parole, voce e pensieri.
Nulla.
Non sono più stato capace di riempire il foglio che avevo davanti. È rimasto sempre bianco, senza soluzione alcuna.
Eppure di spunti di pensieri ne ho sempre, tutt'ora, forse un po' più smart, più veloci e leggeri da essere impaginati diversamente. È mancato l'input giusto, forse la paura di scrivere, di scrivere qualcosa di sbagliato. Di più, la paura di venire letto per sbaglio o per volontà. Troppo pesante il ricordo di telefonate, di parole, di urla davanti il mare piatto.
Mi manca, mi è mancato, mi è mancata si, lei, l'ispirazione, la voglia.
Forse è ora di guardare il foglio bianco e iniziate a riempirlo.
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