"Stare bene" significa sentirsi fisicamente, mentalmente ed emotivamente in salute e in equilibrio, ricercando un benessere che include l'armonia interiore e la soddisfazione personale.
Ecco, questo è quanto riporta l'Ai Overview di Google se si cerca di capire come definire il proprio stato d'animo, come definisce una situazione di equilibrio e benessere.
Ovviamente sintetizzata come il migliore dei bignami.
Non l'ho cercato su Google il suo significato ma lo riporto fedelmente qui perché è pur sempre uno spunto.
Il mio stare bene oggi mi sembra lontano, rotolato chissà dove, soprattutto chissà quando, lontano.
C'è qualche ombra che ritorna a trovarmi da un passato che ho colpevolmente dimenticato. Eppure lo ricordavo sempre, dentro di me, in un modo sbagliato purtroppo.
Lo stare bene ha sempre avuto colori pastello e rumori, profumi semplici, familiari. Quelli delle routines quotidiane, per lo più del lavoro.
Ecco, il lavoro. Senza il quale non so stare, che ho scoperto alla fine e mi tiene vivo più di qualsiasi altra cosa. Il lavoro che ha fagocitato, gliel'ho lasciato fare, tempo, affetti, momenti vuoti che non ho saputo né prendermi, né gestire.
E fra un turno e l'altro ho inserito tutto e tutti quando invece avrebbe dovuto essere il contrario.
Dentro il lavoro ho cercato di scordare chi non potevo più vivere tutti i giorni, ho provato a darmi una pausa dentro cui ricavare uno spazio, un tempo per crescere assieme. Ho rinunciato presto ed ho iniziato a costruire altro, altre cose, altri mondi. Fino a scordare qual era il punto di partenza.
Stavo bevendo faticando, quasi fosse una pena da scontare. Sono passati giorni, mesi, anni, sono invecchiato convinto di stare bene, scrivendo, realizzando qualcosa di tangibile, cercando di guardare avanti. Ma facendolo non ho mai guardato indietro a quello che stavo perdendo.
E oggi mi sento schiacciato spalle al muro, incapace di rialzarmi.
Piano piano sono passati i giorni, lavoro certo, non sto più bene. Perché ho perso di vista quello che poteva essere un obiettivo.
Mi trovo solo a pensare ai tanti "non" della mia vita, mi infastidisce l'assurdo ronzio del condizionatore d'aria, la maglietta che sembra strozzarmi, un messaggio nel telefono. Mi sento seccato se penso alla cena, al cibo.
Preferisco non rispondere, eludere, dire che sono stanco, appoggiare distrattamente gli occhiali sul tavolo e nascondermi il volto fra le mani.
So che qualcosa si è bloccato, profondamente dentro di me tanti anni fa e da allora non ho trovato un rimedio. Non ho trovato una soluzione che mi permettesse di andare avanti e risolvere. Qualcosa.
Eludere, ho preferito eludere, scrivere e non parlare, scrivere ed evitare un confronto.
Finché "il tappo non è saltato", ho iniziato a bere malvolentieri il caffé, a leggere meno, a concentrarmi ventiquattro ore su ventiquattro sul lavoro, unico sfogo, lo scudo che mi permette di avere una giustificazione sempre e comunque.
E anche questo a 51 anni scopro che è un problema, che non va bene; si definisce "workaholic" chi lavora incessantemente, chi è fisicamente presente nel posto di lavoro anche oltre il proprio orario di lavoro, chi mentalmente non sa staccare da badge, turni, orari.
Workaholic. Un inglesismo azzeccato anche questo.
Mi sento debole perché è il mio fisico che me lo dice apertamente, senza segreti. Un giorno di febbre improvvisa, la schiena che fa male, un piede che si gonfia... e litigo se mi si chiede di stare a casa, di fermarmi.
Non ne sono capace, eludo anche in questo caso. Fingo che vada bene, che il tempo sistemerà schiena, piede, la febbre. Si, può essere ma non sistemerà più quello che ho lasciato indietro.
E davanti agli occhi dei miei figli vorrei dire tante cose, una ad ognuno di loro, ma non ci riesco, vivo e mi godo il momento per poi eludere la verità, che vorrei stare da solo come un gatto randagio, che mi scuso con loro per come mi sono comportato. Mi godo il momento, si, l'attimo di apparente respiro. E respiro, cerco "lo star bene" finché sono con loro.
Finché sono. Con loro, finché loro mi vorranno poi non lo so quello che succederà e se succederà che non mi vorranno più non potrò dire nulla, solo andare un'ora o forse due prima al lavoro.
E far finta di "stare ben" lavorando.
Commenti
Posta un commento