Il momento attuale

Pace fatta, forse. Accordi trovati, forse. Futuro? Incerto, mai come ora. Sulla sabbia ricoperta di sfollati e macerie di Gaza, della Striscia, si discute anche un certo tipo di futuro, un futuro che parlerà ancora di politica, di economia, di strategie. Un futuro che inevitabilmente porterà con sé polemiche, "j'accuse" da parte di tutte le parti coinvolte. In tutto quello che si può chiamare "prima" e in tutto quello che si potrà definire "dopo".

Si parte però dall'oggi, un presente difficile da vivere e decifrare; il presente parte però da un lontano 1948, dalle scorie della Seconda Guerra Mondiale e della follia nazista, dalla Shoah che ha segnato oltremodo il destino di tutti gli ebrei d'Europa e non solo, dalla necessità per il nuovo mondo di dare una terra, dei confini precisi, un luogo definito ai sopravvissuti, a chi è rimasto in vita.

La Terra Promessa quindi che la Società delle Nazioni, antesignana dell'attuale Onu, cede ai sopravvissuti all'Olocausto dando vita così allo stato di Israele, ignorando quasi o semplicemente fingendo di ignorare la Palestina ed i palestinesi (e il giudizio dei britannici, responsabili del protettorato di Palestina fino a quel momento). Ignorando quello che una convivenza forzata, decisa a tavolino avrebbe significato non solo per i due popoli ma per gli equilibri dell'intera area.

La storia prima del 7 ottobre 2023 era già piena di pagine grondanti sangue, di giorni di rivolte, arresti ed invasioni, di Intifada, di terrorismo. La storia aveva già contribuito a delineare equilibri e squilibri ma nell'arco di due anni ha travolto e spazzato via popoli e buon senso, diplomazia e buona politica. Dopo l'agguato di Hamas ad Israele, lo spettacolo lugubre, inumano del rilascio di una parte di ostaggi in mano al gruppo terroristico Tel Aviv ha accelerato, travolgendo e stravolgendo vite e storie.

Fino al giorno 9 ottobre 2025, forse. Il presunto giorno uno di un nuovo giorno; un giorno che dovrebbe riannodare la storia con le persone, con gli sfollati e con chi potrà riportare a casa i propri cari in un modo o nell'altro. E' anche il giorno uno sul quale punta forte il premier Netanyahu per poter proseguire la personale storia nel mondo politico israeliano. Carriera politica altrimenti appesa ad un filo se non già terminata.

Ad osservare il nuovo scenario mediorientale l'Occidente, apparentemente disinteressato, non coinvolto ma dalla parte di Israele che l'economia comunque ha il suo peso specifico sempre, in tempo di pace ma soprattutto in tempo di guerra.

E osserva interessato Trump mio cui sogno di fregiarsi del Nobel per la Pace è naufragato per colpe proprie sicuramente, per la reale situazione geopolitica mondiale e ultima ma non ultima per decisione dei giurati per loro stessa ammissione. Con "buona pace" del tycoon americano.

Sarà Tony Blair, ex premier britannico ben prima della Brexit, a coordinare, supervisionare, volgarmente diremmo gestire il piano di pace appena concordato ed accettato dalle parti coinvolte? Pare di sì ma pare anche non essere un nome che incontri i favori delle parti, non palestinesi almeno. Si siederanno nuovamente attorno ad un tavolo Trump, Netanyahu, Blair, Abu Mazen e gli emiri per dissipare gli ultimi dubbi? Forse no ma forse anche si perché questa tregua sembra sottile, debole e delicata, appesa ad un filo.



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