La tornata elettorale iniziata il 4/3/2018 ha finalmente trovato la sua conclusione nella notte del 13/05, almeno in quelle città che come Udine hanno eletto il proprio sindaco al ballottaggio, sotto un moderato acquazzone, quasi a bagnare non solo simbolicamente il neo eletto primo cittadino.
Come prima logica conclusione, decisamente superpartes, c'è la speranza che "faccia meglio di quello che c'era", e questo credo sia facile visto le macerie lasciate e quanto poco è stato fatto.
La seconda conclusione è meno superpartes ma forse più logica ed immediata: non c'erano davvero valide alternative?
La risposta rischia di essere complessa e comunque è un mesto "no".
Non ce n'erano semplicemente per il fatto che in Friuli Venezia Giulia ci si è candidati controvoglia, per forza maggiore o solo con il celato scopo di strappare una manciata di voti a questa o quella forza politica.
In una campagna elettorale fra le peggiori a mia personale memoria, in regione si è via via giocato a limitare i danni nelle amministrazioni locali, alcune non ancora ripresesi dall'accordo amento nelle Uti, privilegiando la poltrona e la guida in Regione a scapito di tante piccole o grandi guide locali.
Si è guardato a Roma o a Milano per capire come muoversi, cosa dire e a chi farlo dire. E con il risultato elettorale ben stretto in pugno qualcosa di buono si è ottenuto nel Governo regionale, con una guida giovane, apparentemente sicura e comunque navigata, che sembra lontana dalla guida giovane e confusionaria del centrosinistra. Fedriga e il centrodestra sono parsi più convinti, più convincenti e forse il rimedio più giusto al malcontento regionale.
Udine, dicevamo.
Uscire dall'amministrazione Honsell, carica di utopie e sogni sbagliati era doveroso è vitale per una città che sta lentamente morendo.
Si è scelto di farlo puntando sugli insoddisfatti. Da una parte e dall'altra.
A destra hanno puntato su un vecchio cavallo di razza avvezzo alle manovre politiche, scafato e furbo, convinto in cuor suo di lasciare la Provincia per sedersi in Regione.
L'amore per la città, utopia e contentino a favore di popolo, lo ha convinto a "lottare" per Udine; qualche rumors autorevole spiega la candidatura con un diktat uscito pari pari da Arcore.
E a sinistra?
A sinistra si è scelto il cavallo di razza con le spalle più larghe possibile per sopportare e superare la sconfitta. Sconfitta che pareva già certa fin dall'inizio della campagna elettorale.
Troppo grande il gap lasciato dalla precedente giunta di centrosinistra per essere colmato adesso, in questa tornata elettorale.
Ma cosa ha spinto i due candidati, Fontanini e Martines, a dare più volte l'impressione di subire la campagna elettorale, piuttosto che gestirla da soli, secondo le loro reali possibilità?
Forse il clima di impotenza di fronte al momento politico attuale (tutt'ora non si sa chi guiderà il Governo o se si tornerà alle urne), lo scarso appeal del ruolo (forse non ingolosiscono più i 50000€ annui quando con la libera professione o con altri ruoli pseudo istituzionali guadagni di più), la certezza di avere più grande da risolvere che gioie da vivere (su tutte via Mercatovecchio pedonale si o no) e la certezza che la guida della città è effettiva solo i primi due anni; i seguenti due sono in convivenza con l'ombra delle successive elezioni. E legato a questo aspetto la certezza della avere "in casa" il candidato forte, in questo caso il centrosinistra, da spendere nelle prossime elezioni.
Chiaro già così che il buon Fontanini avesse più di una spanna di vantaggio sul rivale.
E quella spanna domenica si è materializzata nella vittoria e nel brindisi notturno dei vincitori sotto una pioggia, non so quanto di buon auspicio.
Buon lavoro dunque al sindaco Fontanini anche se la speranza è quella di non rivedere in Giunta vecchi politicanti già pensionati e richiamati.
In alto i calici, e pazienza se già dal primo istante si sono un po' annacquati.
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