Il Maestro in panchina

Tempo di Mondiali, di calcio.
Edizione Putin 2018, in quella Russia fino all'altro ieri chiusa in tanti aspetti della sua esistenza.
In quella Russia fredda forse fresca rimessa a nuovo, svecchiata nell'immagine da questa vetrina importantissima, ben oltre l'aspetto sportivo.
Come ogni Mondiale insegna, da quello "Littorio" del '34 dell'immenso Pozzo a quello della Giunta dei militari del '78 col Caudillo pronto ad alzare la coppa dove un mese prima si moriva.
È però tempo di calcio e per una volta attacchiamoci a questo, a tutto tondo alle storie che può regalare.
Siamo solo al terzo giorno ma qualcosa questa edizione putiniana della kermesse ma qualche piccola chicca ce l'ha già regalata.
Sorvoliamo sulla sportività propagandistica del novello Zar con l'emiro Saudita Bin Salman, pronto alla stretta di mano ad ogni gol subiti dalla disperata e disgraziata Arabia Saudita.
Che sia finita 5-0 per i padroni di casa può aiutare a capire l'enorme sforzo dell'emiro.
Il primo clic ce lo hanno regalato i calciatori iraniani, pronti ad acquistare gli scarpini in un qualsiasi negozio di attrezzature sportive e trovatisi dopo il pirotecnico 3-3 "dal sabor iberico", primi nel girone, con i marocchini atterriti da un autogol a gara quasi terminata.
Il bello del calcio giocato, in fondo.
E poi il piccolo fan di Cr7 che vede partire l'autobus coi lusitani, e il suo idolo, partire per l'albergo.
Naturali le lacrime di disperazione, meno normale in un momento di ipertrofia social dei calciatori vedere lo stesso autobus accostare e fermarsi.
A scendere e a regalare cinque minuti di gloria indimenticabile al piccolo fan è proprio Cr7, memore dell'infanzia per nulla dorata che la vita gli aveva regalato.
Sorpresa del piccolo fan, lacrime di gioia, abbracci e foto. Come un papà con suo figlio. E c'è da credere che Cr7 ripeterà l'anomalo rito vista la tripletta realizzata alla Spagna all'esordio nella competizione.
Il bello della vita, più che del calcio in questo caso.
L'ultima immagine forse tocca più delle altre, specie chi come me è un vecchio appassionato di football.
Parlo del Maestro, Maestro davvero con tanto di laurea e insegnamento nelle scuole e Maestro di calcio, Tabarez.
Oscar Washington all'anagrafe.
Ormai stabile come pochi altri ct sulla panchina celeste (dal 2006 come solo il campione uscente teutonico Löw), capace di gestire personalità già forti per componente genetica, e di insegnare vincendo.
Non tanti trofei, ma quelli giusti, che rimangono nei ricordi come certe sconfitte.
Uomo intelligente ha preso per mano un popolo orgoglioso e tignoso (difficile che una gara finisca senza un uruguagio a referto) e dopo quarant'anni ha regalato finalmente sorrisi. Ottimo il quarto posto a Sudafrica 2010, ottima di più la Copia America riportata a Montevideo nel 2011. Ci ha eliminati chiudendo il suo secondo ciclo da Brasile 2014 ed è ripartito qualificandosi per il Mondiale russo.
Fra il 94 e il 96 ha allenato anche in Italia: buona la stagione di Cagliari e, cosa rara, anche il rapporto con Cellino, finita a novembre quella al Milan, dove evidentemente il buon Silvio da Arcore non si era accorto dell'intelligenza del Maestro e richiamò l'Arrigo da Fusignano a concludere una delle prime stagioni horror del Milan di Berlusconi.
Tabarez ripartì coi club, qualche passa falso, poi il progetto Celeste, con giocatori allevati e fatti diventare campioni (alcuni: Godono, Forlan, Cavani e Sanchez).
E lo spessore dell'uomo lo si è visto in panchina dopo i successi del biennio 2010/11.
Non ci sono state sconfitte sportive ma fisiche. Il fisico del Maestro si è rivoltato contro con un nome quasi affascinante, imbroglione, quale "sindrome di Guillain-Barré", ovvero il sistema neurologico che si rivolta al corpo che lo ospita.
Vederlo prima camminare quasi ricurvo di se stesso, poi col deambulatore ed infine a dirigere allenamenti e gare con una sedia elettrica ha colpito molto, molti appassionati di calcio e non.
L'uomo non è più giovane ma con l'intelligenza e la tenacia di un Perboni ha saputo guardare in faccia la sindrome che voleva vincere. E la cosa che ha sempre colpito il Maestro in questa sua fase calante di vita è il rispetto dei suoi tifosi e dei suoi calciatori. Mai una dichiarazione contraria, un gesto di stizza verso il Mister.
È rimasto una guida e quando giovedì l'incontro con l'Egitto de " l'hombre vertical" Cuore, privo del suo Faraone Salah, volgeva quasi ad un noioso 0-0 ecco che il giovane Gimenez gonfia la rete per il successo uruguagio.
E in questo istante di una gara che tramonta, di una rincorsa festosa con t-shirt che si allargano in mille mani, il Maestro ha segnato il suo gol più bello.
Il gol ai Mondiali è di tutta l'equipe, lo staff ed è anche del Maestro che ha infilato alle spalle di Guillain-Barré; a fatica si è alzato della panchina e ha chiamato ad aiutarlo la stampella appoggiata sul seggiolino vicino.
Ha alzato le braccia al cielo calcolando da bravo Maestro elementare il rischio di caduta, ignorandolo come ottimo Maestro di calcio, urlando di gioia coi suoi uomini.
Ecco, questo è il primo vero clic del Mondiale.
Una lezione di vita.
Un "mai mollare" senza urlarlo, vissuto con dignità immensa, nei due mondi con spirito garibaldino.

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