Lo sci è uno sport invernale; è uno sport che richiede testa, forza e un pizzico di follia.
Lo sci è sport relativamente giovane essendo stato inventato a metà del Diciannovesimo secolo; è sport quasi esclusivamente per gente di montagna, dai nomi azzurri altrimenti strani e sconosciuti.
Lo sport è calcolo, velocità, capacità di cogliere la neve giusta, attraverso sole e neve e pioggia. È un cancelletto che si apre sul pendio montano.
Oggi è veloce, studiato in apposite gallerie del vento; gli atleti sono protetti da tute e caschi che in altro contesto li farebbero somigliare ad astronauti, quasi sicuramente a dei piloti.
E in parte lo sono, lo sono da sempre; piloti dei loro bastoni, degli scarponi agganciati agli sci, abili a passare di fianco alle porte. Ad abbatterle a spallate veloci.
Ma il mio sci è un ricordo in bianco e nero, come le immagini che arrivavano sul vecchio televisore, nero, posto sopra il frigorifero, bianco, della cucina dove con mia madre guardavo lo sci.
Era la fine degli anni '70, le ultime discese della Valanga Azzurra.
Era lo sci di campioni che per quattro mesi, capelli al vento, ti facevano conoscere paesi si vicini, ma che non avresti mai potuto pronunciare correttamente senza prima ascoltare il telecronista Rai.
Zurbriggen, Girardelli, Stenmark, Campioni che vincevano a man bassa la Coppa del Mondo dopo la Valanga Azzurra composta da Thöni, Gros, Radici e Pietrogiovanna. Anche se per me Thöni era solo un signore che parlava male l'italiano che pubblicizzava l'Ovomaltina.
Fra le varie Coppa Topolino, un must per i giovani talenti, e la Coppa Europa, gli svizzeri, i lussemburghesi di passaporto e gli svizzeri esce come in bucaneve una nuova speranza azzurra: Leonardo David, classe 1960 da Gressoney, Valle d'Aosta, Italia per pochi chilometri.
Paragonato agli sciatori moderni non regge il confronto. È mingherlino, biondo, quasi pallido.
Eppure.
Vince, non ha paura della montagna, lui che dalla montagna è nato.
Vince in Europa, la Coppa Europa.
Vince i Campionati Italiani.
De Chiesa e David per dare nuovo sprint alla Valanga Azzurra (Tomba è ancora in là dal venire).
Scende lungo il pendio Leonardo, l'aria fredda gli spettina i capelli ma gli rafforza il sorriso.
Arriva la Coppa, quella vera, quella sfera di cristallo, la Coppa del Mondo.
Leonardo può parteciparvi col suo sorriso, può vedere da vicino Re Stenmark come doma la neve, le porte. Lanciarsi dallo stesso cancelletto.
E imparare.
Negli slalom in Austria e nell'allora Jugoslavia Leonardo va a podio.
La TV in bianco e nero dice che Gustav Thöni ha trovato il suo erede.
È vero, lo dice anche la mia mamma guardando il televisore, nero, sopra il frigorifero, bianco.
Lo sci è sport per eroi e Leonardo lo diventa in Norvegia, il 7 Febbraio 1979, ad Oslo.
Vince la sua prima gara in Coppa del Mondo. È primo urla il telecronista Rai.
Mia madre sorride, sorride anche Leonardo.
Lo sport crea dei miti che il tempo non cancella; lo fa l'uomo scarseggiando di memoria però.
David è l'eroe che in terra scandinava vince e batte il Re; Stenmark è secondo, è battuto. Sul podio pensa, osserva e pensa che il suo regno nel futuro prossimo,ha trovato in una terra di mare il suo erede.
La stampa e la tivù, non ancora in maniera massiva come oggi, diramano la notizia.
Negli anni '70 questa era una vittoria che inorgogliva una nazione ferita dagli anni di piombo.
Ci sono ancora tanti gradini per Leonardo da salire, anche se l'inizio ha il sapore dolce.
Le nevi di casa David ospitano le prove di discesa libera, gara per atleti un po'folli, proiettili lanciati sulla neve senza ostacoli fino al traguardo.
Courmayeur, Valle d'Aosta, sei a casa a provare quello che ti piace fare.
È febbraio, il 16, inverno alpino. Fa freddo.
Leonardo David scende come sempre sfidando neve e velocità.
E cade.
La testa batte sul ghiaccio.
Apparentemente solo una gran botta e un grande spavento. Leonardo si rialza nonostante mal di testa e vertigini.
Lo staff medico lo manda a Lecco per un consulto neurologico e vieta al giovane atleta di partecipare allo slalom speciale.
La medicina negli anni '70 non è quella di adesso. Il controllo c'è ma Leonardo viene dimesso non avendo riscontrato nulla di evidente.
Nonostante disturbi e dolori alla testa persistenti, come testimoniarono i compagni dell'epoca, il 3 marzo Leonardo è a Lake Placid per la discesa libera preolimpica.
Ha battuto il Re, il carattere è "di montagna", l'incoscienza dei suoi diciotto anni.
Parte, si lancia nella libera con il vento freddo sui capelli biondi.
Il traguardo è ad una manciata di millesimi più avanti.
Il Destino non scorda Oslo, lo Scacco al Re, ma questo Leonardo quando fa toccare gli sci non lo sa.
Non lo sa quando la testa, ancora, impatta la neve.
Non lo sa quando l'incoscienza lo porta a rialzarsi e a giungere al traguardo.
Ha forse gli occhi rossi, una smorfia di dolore. Forse.
Lo scatto del Destino è Pierino Gros che raccoglie il compagno svenuto.
Il Destino, lo ripete anche mia mamma scuotendo la testa.
La televisione, nera, sopra il frigorifero, bianco, parla di coma, di stato vegetativo
Innsbruck città di medici, luminari, quasi miracoli e tante illusioni.
Leonardo ci passa un anno. Un anno che è una vita che cambia ma il Destino ha scritto tutto in questo anno, anche il finale.
Fine che è un ritorno nella sua Gressoney, stretto fra mamma, papà e sorella, in un caldo agosto del 1980.
Lo sci piano piano si evolve, si modifica, si rende sicuro e con lui la medicina sportiva e non.
La caduta di Courmayeur aveva lasciato nascosto un ematoma che a Lake Placid è esploso in tutta la sua drammatica realtà.
Lo sci però in parte si dimentica di Leonardo, mia madre no.
Ascoltava il tg e scuoteva la testa sconsolata mentre la televisione aveva messo i colori.
A febbraio, il 26, del 1985 un'emorragia cerebrale porta via per sempre quel ragazzino biondo e magro che a due passi dal Polo Nord un giorno ha battuto il Re nel suo campo preferito.
Di Leonardo rimane la storia, semplice e drammatica, e una stele nella piazza principale della sua Gressoney, da dove David osserva e sorride coi suoi diciott'anni, fermi li.
Lo sci è sport relativamente giovane essendo stato inventato a metà del Diciannovesimo secolo; è sport quasi esclusivamente per gente di montagna, dai nomi azzurri altrimenti strani e sconosciuti.
Lo sport è calcolo, velocità, capacità di cogliere la neve giusta, attraverso sole e neve e pioggia. È un cancelletto che si apre sul pendio montano.
Oggi è veloce, studiato in apposite gallerie del vento; gli atleti sono protetti da tute e caschi che in altro contesto li farebbero somigliare ad astronauti, quasi sicuramente a dei piloti.
E in parte lo sono, lo sono da sempre; piloti dei loro bastoni, degli scarponi agganciati agli sci, abili a passare di fianco alle porte. Ad abbatterle a spallate veloci.
Ma il mio sci è un ricordo in bianco e nero, come le immagini che arrivavano sul vecchio televisore, nero, posto sopra il frigorifero, bianco, della cucina dove con mia madre guardavo lo sci.
Era la fine degli anni '70, le ultime discese della Valanga Azzurra.
Era lo sci di campioni che per quattro mesi, capelli al vento, ti facevano conoscere paesi si vicini, ma che non avresti mai potuto pronunciare correttamente senza prima ascoltare il telecronista Rai.
Zurbriggen, Girardelli, Stenmark, Campioni che vincevano a man bassa la Coppa del Mondo dopo la Valanga Azzurra composta da Thöni, Gros, Radici e Pietrogiovanna. Anche se per me Thöni era solo un signore che parlava male l'italiano che pubblicizzava l'Ovomaltina.
Fra le varie Coppa Topolino, un must per i giovani talenti, e la Coppa Europa, gli svizzeri, i lussemburghesi di passaporto e gli svizzeri esce come in bucaneve una nuova speranza azzurra: Leonardo David, classe 1960 da Gressoney, Valle d'Aosta, Italia per pochi chilometri.
Paragonato agli sciatori moderni non regge il confronto. È mingherlino, biondo, quasi pallido.
Eppure.
Vince, non ha paura della montagna, lui che dalla montagna è nato.
Vince in Europa, la Coppa Europa.
Vince i Campionati Italiani.
De Chiesa e David per dare nuovo sprint alla Valanga Azzurra (Tomba è ancora in là dal venire).
Scende lungo il pendio Leonardo, l'aria fredda gli spettina i capelli ma gli rafforza il sorriso.
Arriva la Coppa, quella vera, quella sfera di cristallo, la Coppa del Mondo.
Leonardo può parteciparvi col suo sorriso, può vedere da vicino Re Stenmark come doma la neve, le porte. Lanciarsi dallo stesso cancelletto.
E imparare.
Negli slalom in Austria e nell'allora Jugoslavia Leonardo va a podio.
La TV in bianco e nero dice che Gustav Thöni ha trovato il suo erede.
È vero, lo dice anche la mia mamma guardando il televisore, nero, sopra il frigorifero, bianco.
Lo sci è sport per eroi e Leonardo lo diventa in Norvegia, il 7 Febbraio 1979, ad Oslo.
Vince la sua prima gara in Coppa del Mondo. È primo urla il telecronista Rai.
Mia madre sorride, sorride anche Leonardo.
Lo sport crea dei miti che il tempo non cancella; lo fa l'uomo scarseggiando di memoria però.
David è l'eroe che in terra scandinava vince e batte il Re; Stenmark è secondo, è battuto. Sul podio pensa, osserva e pensa che il suo regno nel futuro prossimo,ha trovato in una terra di mare il suo erede.
La stampa e la tivù, non ancora in maniera massiva come oggi, diramano la notizia.
Negli anni '70 questa era una vittoria che inorgogliva una nazione ferita dagli anni di piombo.
Ci sono ancora tanti gradini per Leonardo da salire, anche se l'inizio ha il sapore dolce.
Le nevi di casa David ospitano le prove di discesa libera, gara per atleti un po'folli, proiettili lanciati sulla neve senza ostacoli fino al traguardo.
Courmayeur, Valle d'Aosta, sei a casa a provare quello che ti piace fare.
È febbraio, il 16, inverno alpino. Fa freddo.
Leonardo David scende come sempre sfidando neve e velocità.
E cade.
La testa batte sul ghiaccio.
Apparentemente solo una gran botta e un grande spavento. Leonardo si rialza nonostante mal di testa e vertigini.
Lo staff medico lo manda a Lecco per un consulto neurologico e vieta al giovane atleta di partecipare allo slalom speciale.
La medicina negli anni '70 non è quella di adesso. Il controllo c'è ma Leonardo viene dimesso non avendo riscontrato nulla di evidente.
Nonostante disturbi e dolori alla testa persistenti, come testimoniarono i compagni dell'epoca, il 3 marzo Leonardo è a Lake Placid per la discesa libera preolimpica.
Ha battuto il Re, il carattere è "di montagna", l'incoscienza dei suoi diciotto anni.
Parte, si lancia nella libera con il vento freddo sui capelli biondi.
Il traguardo è ad una manciata di millesimi più avanti.
Il Destino non scorda Oslo, lo Scacco al Re, ma questo Leonardo quando fa toccare gli sci non lo sa.
Non lo sa quando la testa, ancora, impatta la neve.
Non lo sa quando l'incoscienza lo porta a rialzarsi e a giungere al traguardo.
Ha forse gli occhi rossi, una smorfia di dolore. Forse.
Lo scatto del Destino è Pierino Gros che raccoglie il compagno svenuto.
Il Destino, lo ripete anche mia mamma scuotendo la testa.
La televisione, nera, sopra il frigorifero, bianco, parla di coma, di stato vegetativo
Innsbruck città di medici, luminari, quasi miracoli e tante illusioni.
Leonardo ci passa un anno. Un anno che è una vita che cambia ma il Destino ha scritto tutto in questo anno, anche il finale.
Fine che è un ritorno nella sua Gressoney, stretto fra mamma, papà e sorella, in un caldo agosto del 1980.
Lo sci piano piano si evolve, si modifica, si rende sicuro e con lui la medicina sportiva e non.
La caduta di Courmayeur aveva lasciato nascosto un ematoma che a Lake Placid è esploso in tutta la sua drammatica realtà.
Lo sci però in parte si dimentica di Leonardo, mia madre no.
Ascoltava il tg e scuoteva la testa sconsolata mentre la televisione aveva messo i colori.
A febbraio, il 26, del 1985 un'emorragia cerebrale porta via per sempre quel ragazzino biondo e magro che a due passi dal Polo Nord un giorno ha battuto il Re nel suo campo preferito.
Di Leonardo rimane la storia, semplice e drammatica, e una stele nella piazza principale della sua Gressoney, da dove David osserva e sorride coi suoi diciott'anni, fermi li.
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