Brema, 1966

Bruno.
Chiaffredo "Dino".
Sergio.
Amedeo.
Luciana.
Carmen.
Daniela.
E poi Paolo e Nico.
Chi sono?
Loro sono atleti, nuotatori. Una delegazione azzurra, con staff e stampa al seguito. In trasferta.
Loro sono giovani, atleti, lavoratori e studenti.
Loro sono la speranza del nuoto tricolore.
Loro sono la speranza per madri e padri, amici, una nazione in ripresa dal Dopoguerra.
Sono tutti giovani, giovani campioni Italiani del nuoto; dorso, rana, stile libero.
Nessuno al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori o degli appassionati.
La TV era un bene ancora per pochi, era in bianco e nero.
La TV era sinonimo di bar, circoli, locali fumosi e caffè espresso, sedie di legno e schermo piccolo.
Tutto passava per lì, politica, film, lo sport.
Anche Sanremo, come sempre dalla Riviera, i primi mesi del nuovo anno.
È l'Italia in crescita, libera dal buio dell'immediato Dopoguerra, definitivamente messo alle spalle con l'Olimpiade del 1960, capolavoro politico italiano.
Con le canzoni di Sanremo a farla da padrone in sottofondo, echi di quello che la Cina sarà in futuro, il beat e il '68 alle porte lo slancio al Paese lo da lo sport, lo danno i palazzetti, i campi da calcio e le piscine. Fenomeno di aggregazione, lo sport nel 1966 è ancora fortunatamente dilettante e sano.
Ma non meno vincente.
Tutt'altro. Quando ci si concentra sugli altri sport che non siano il calcio il panorama di atleti vincenti aumenta a dismisura, toccando vette da leader assoluti.
Il nuoto è uno sport individuale, anche nelle staffette, di fatica. L'avversario più temibile non è l'avversario che nuota ai tuoi lati, no, è l'acqua che odora di cloro, che è limpida e impalpabile, che ti scivola addosso e ti ricopre nuovamente. La fatica nell'acqua raddoppia, ti serve coordinamento fra testa, il pensiero e il movimento specifico del capo, le spalle e le braccia che mulinando nel liquido trasparente diventano forza motrice e sviluppano il telaio possente del nuotatore. La direzione, la "barra a dritta" la danno gambe e piedi, altrettanto forti e possenti.
Il nuotatore fatica come pochi altri sportivi e nel 1966 lo fa faticando il doppio.
Il nuoto è peculiare dei paesi lontani, persi negli oceani, come Australia, Usa e Giappone, i paesi che meglio hanno creato una filiera fra lo sport nelle scuole e agonismo poi professionistico.
In Europa ce ne accorgiamo ogni quattro anni sotto la fiaccola di Olimpia.
Non c'è ancora internet, il cellulare è lontano e la TV è sempre in bianco e nero, ancora per pochi.
Il più delle volte assistiamo ad autentici capolavori sportivi, quelli che si possono raccontare a figli e nipoti.
Ci sono i Meeting europei a creare i nuovi campioni che domani sfideranno i nuotatori lontani.
Sono Meeting importanti e nel 1965 l'Italia dei giovani è al top nell'Europa Occidentale. Adesso pare superfluo questo distinguo ma cinquant'anni fa il Vecchio Continente era diviso in due blocchi a cavallo dell'attuale Germania: Ovest filo americano, Est filo sovietico.
Nei paesi del Patto di Varsavia lo sport era innanzitutto propaganda, quindi andava pianificato come un qualsiasi altro piano quinquennale del PCUS, studiato in laboratorio per far diventare l'atleta macchina da vittoria, quindi strumento di propaganda per le masse anche ad Ovest della Cortina di Ferro.
E la realtà parla di atleti forti, imbattibili, al limite del dominio. In tanti sport di squadra, forse il calcio nel biennio '65-'66 è il tasto dolente del PCUS, il vincitore parla una lingua dell'Est.
Il nuoto non ne è immune, tutt'altro; maschile o femminile, il gradino più alto parla sovietico. Ilicev, la Devjatova e la Prozumenscikova sono le tre nuove stelle da battere a metà degli anni '60.
In Italia l'Olimpiade romana ha dato slancio a questo sport, puntando sui circoli sportivi così diffusi ancora oggi nella Capitale e in altre realtà metropolitane come Firenze e Torino. Altre realtà nel 1960 non sono ancora adatte a sostenere il movimento fino a fare dell'atleta un professionista, come Trieste o Venezia. In futuro centri sportivi importanti saranno Brescia e Verona ma nel 1965 e nel 1966 il nuoto si sostiene grazie all'aiuto dell'industria, con la creazione di centri dopolavoristici ad hoc. Esemplare il caso della Fiat a Torino che non è solo Juventus ma da una piscina a chi vuol fare di costume e calottina la propria divisa.
E in queste piscine nuotano giovani italiani che alternano il lavoro di facchino alle bracciate, lo studio liceale allo stile libero, il lavoro in catena di montaggio alla Fiat al costume.
Sacrifici doppi, per non gravare sulle famiglie, per mantenersi in una città diversa dalla propria.
Sacrifici che portano la nazionale azzurra a vincere nel 6 Nazioni di Roma nel 1965.
L'allenatore è Paolo Costolo, campione del nuoto e della pallanuoto anni '40 e '50, ora stimato tecnico federale.
Per chi vince il 6 Nazioni la tappa successiva è il Meeting di Brema alla Zentral Bad, nord della Germania, quasi Danimarca.
È in programma nel gennaio successivo, la giusta competizione per una squadra giovane e vincente.
Nel 1966 è un Meeting importante, l'occasione al di fuori di Mondiali e Olimpiadi di competere con i nuotatori più forti e sconosciuti.
L'allenatore Paolo Costolo guarda la nuova ondata azzurra prendere corpo; deve girare le piscine e vedere dal vivo. Lo fa di mestiere.
Non c'è ancora internet, l'email o i video virali. Il cellulare è ancora lontano. Tutto è lontano, la TV è ancora in bianco e nero come i quotidiani. Tutto si muove con la telescrivente, telefonate per dettare notizie e convocazioni.
L'allenatore gira, respira l'odore di cloro, osserva le bracciate, raccoglie i primi frutti da alberi ancora acerbi e su quelle onde artificiali crea la sua Nazionale.
Sceglie i sette migliori, giovani, tanto giovani ma già con tanti allori e record sotto il loro nome.
L'allenatore sa che Brema per loro è il giusto premio. E si mette al telefono per la teleselezione.
Il cellulare è lontano, la TV in bianco e nero, inizia Sanremo con la coppia d'oro Modugno-Cinquetti.
Chiama Venezia, Genova, Roma, Torino.
Bruno.
Chiaffredo "Dino".
Sergio.
Amedeo.
Luciana.
Carmen.
Daniela.
La sua nazionale, giovane e forte, decolla da Milano il 27/1/1966.
Con la delegazione azzurra parte anche il giornalista Rai Nico Sapio, il cui compito sarà quello di osservare, scrivere e incollarsi al telefono con l'Italia per scrivere l'articolo che l'indomani stampa e televisione renderanno nota.
Linate, aeroporto originario di partenza è chiuso per nebbia, come altre giornate di gennaio, prima e dopo il 1966.
La delegazione mette a punto un tragitto con più scali per raggiungere Brema, facendo scalo a Zurigo e poi Francoforte.
Nello scalo tedesco la delegazione azzurra perde la coincidenza per Brema per nove minuti soltanto e ripiega su un altro volo Lufthansa per la stessa città imbarcandosi su un velivolo Convair CV-440.
I ragazzi azzurri ripiegano riviste e libri negli zaini e si imbarcano nuovamente. È l'ultima tratta del volo, poi per loro ci sarà  l'acqua della Zentral Bad.
Sorridono dentro le tute di cotone pesante, strette sulle caviglie, coi borsoni pieni di costumi e libri.
La TV è in bianco e nero anche in Germania, il cellulare e gli MP3 sono lontani.
A Sanremo Mike Bongiorno celebra Caterina Caselli in coppia con Gene Pitney.
Salgono a bordo del Convair CV-440 osservando i finestrini bagnati dalla pioggia.
Sul nord della Germania c'è scarsa visibilità e brutto tempo ma la squadra azzurra non ha paura, loro l'acqua sono abituati a sconfiggerla.
Brema si sta avvicinando, sorvola in fase di discesa il villaggio di Stuhr alle 18.49, i ragazzi sono allegri, anche se fuori piove e non si vede nulla.
Costolo discute del Meeting con Nico Sapio che da bravo cronista vecchia scuola sta già imbastendo il servizio.
Non si accorge nessuno che il pilota fatica.
Fatica a tenere la discesa, è strano, non ci è abituato; i voli Lufthansa in Germania non hanno mai avuto problemi. Il problema è il modello di aereo incapace di reggere in modo ottimale queste manovre.
Bruno è il capitano, discute coi ragazzi e pensa al lavoro in Fiat.
Sono allegri.
La TV è ancora in bianco e nero e passa le immagini di Wilma Goich e i Les Surfs dal Casinò di Sanremo.
Internet e il cellulare sono troppo lontani.
Sui cieli del villaggio di Stuhr alle 18.49 si registra un boato improvviso, come i tuoni in un temporale estivo. Improvviso.
Chi può esce nella pioggia e segue la scia, il crepitio.
Alle 18.51 sono passati due minuti.
I componenti dell'altra delegazione azzurra sono atterrati a Brema e sono diretti all'albergo. Osservano la TV in bianco e nero anche lì.
Non ci sono cellulari o internet.
Passa il tempo, le ore, cinque.
A Stuhr chi poteva è uscito, ha corso. Più di tutto ha visto una coda di un aereo e fumo.
Un troncone solamente, inerme e annerito nel nero della notte.
Attorno qualcosa che si è sparso nei campi come pioggia caduta dal cielo.
Chiamano a voce alta, ci sarà qualcuno che ha bisogno di aiuto.
I passeggeri erano 42 più 4 componenti dell'equipaggio.
Nessuno è sopravvissuto al boato, al lampo improvviso.
Con un boato improvviso se ne è andata la migliore nazionale italiana di nuoto, tanti giovani speranze che avevano con sé libri, riviste.
Se ne sono andati sognando la piscina di Brema, i rivali americani, pensando ai colleghi di lavoro in fabbrica, ai compagni di classe.
Passano cinque ore di silenzio totale. Nessuno sospetta nulla, né nell'albergo di Brema, né in Italia, né alla Rai.
La TV è ancora in bianco e nero, nei bar e nei circoli, internet e il cellulare non ci saranno ancora per molto.
La notizia arriva il giorno dopo quando Modugno e la Cinquetti vincono Sanremo e il cielo sopra Stuhr rende più visibile la tragedia.
Bruno.
Chiaffredo "Dino".
Sergio.
Amedeo.
Luciana.
Carmen.
Daniela.
Ora sono targhe, busti, nomi su piscine e palazzetti ma quel 28/1/1966 erano la migliore risposta italiana ai rivali.
Erano la speranza, sono rimasti a nuotare nel cielo per sempre.

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