Fabio Casartelli

La Grande Boucle, il Tour de France, è la più vecchia delle tre corse ciclistiche a tappe attualmente organizzate dalla federazione internazionale, l'Uci.
Nasce nel 1903, qualche anno prima del Giro d'Italia nato nel 1906.
Nascono entrambi agli albori del Ventesimo secolo, lontani dagli echi della Guerra. Solo più tardi, nel 1935, verrà organizzata la Vuelta d'Espana.
Nonostante abbia attraversato due Guerre, il Tour ha conservato intatto il suo fascino forte delle grandi tappe di montagna fatte apposta per scalatori forti e folli come anche il nostro Pantani sull'Alpe d'Huez ha dimostrato, e come lui Coppi e Bugno. Alpi e Pirenei assieme nella stessa competizione disegnano un anello, la Grande Boucle, il cui fascino non verrà mai meno.
Tappe toste, lunghe al confine spagnolo come il Col di Tourmalet e il Plateau de Beille e tapponi alpini fra le nevi e le stazioni sciistiche del Delfinato sul Col de  la Croix de Fer e la salita sul Col di Galibier.
A noi italiani il Tour in fondo ha sempre sorriso fin dalle prime edizioni. E ha pure tenuto caldi gli animi italiani nel secondo dopoguerra, basti pensare alla telefonata di Togliatti a Bartali.
E Bartali, con Coppi e Binda, Gimondi e Bottecchia, Nencini, Nibali e Pantani ha saputo vincere sui Campi Elisi facendo "incazzare i francesi".
Negli anni '90 il Tour è una gara pronta a farsi dominare da scalatori feroci e sprinter pronti a mostrare le spalle al gruppo. Sono gli anni di due corridori eccezionali nella loro semplicità. Agli albori del decennio fa la doppietta in giallo (colore della maglia del vincitore in onore alle pagine del quotidiano sportivo l'Èquipe) il redivivo americano Greg Lemond, ex iridato, sopravvissuto ad un controverso incidente di caccia. Dopo l'americano inizia il lustro che terminerà nel '95 dello spagnolo Indurain, troppo alto per correre, così tanto da sembrare brutto da vedere ma capace di cannibalizzare la Grande Boucle. l'Italia vive di tappe ed episodi, Pantani è ancora un po' acerbo (il trionfo con la doppietta Giro-Tour arriverà nel 1998) e col Diablo Chiappucci ci rimangono i sogni. Sfioriamo la maglia gialla con il piccolo varesino dai tratti andini. Piccoli, compatto, in montagna si trasforma in un gigante che taglia la folla sui pendii.
Il Tour de France ha un innegabile fascino specie quando sei un ragazzino e il papà spinge per farti correre con la bicicletta.
Quando hai nove anni e sei mingherlino la bicicletta da corsa coi pedali stretti agli scarpini ti sembra enorme, un toro da montare in un rodeo, e Fabio lo sa da subito.
Fin dalle prime gare. Il toro viene piano piano domato con le prime vittorie a livello giovanile. Corre Fabio, seguendo i consigli di papà. Osserva il ciclismo che sta cambiando con gli americani che vincono anche quando non ci sono le Olimpiadi.
Osservandoli Fabio Casartelli da Como, classe 1970, diventa dilettante. Un dilettante con le gambe giuste, che vince.
Vittoria dopo vittoria macina i chilometri e di avvicina a Barcellona.
A Barcellona nel 1992 vengono organizzate le Olimpiadi e Fabio è fra i componenti della squadra azzurra per la corsa su strada. È una fase particolare del movimento ciclistico italiano, di passaggio.
A sorpresa la bici con il fisico filiforme e lo sguardo furbo di Fabio Casartelli taglia per prima il traguardo delle Olimpiadi catalane e il ventiduenne comasco si mette al collo la medaglia d'oro.
Il trampolino giusto per passare fra i professionisti delle gare su strada.
Il contratto Pro lo firma nel 1993 con la Ceramiche Ariostea del patron Ferretti. Parte forte Fabio, ha la gamba giusta come si dice in gergo, per correre verso la nuova fase del ciclismo italiano dopo i fasti di Moser, Saronni, Argentin e Bugno.
Vince un classico come la Settimana Ciclistica Bergamasca e la classifica finale GP Lotteria del Giro d'Italia.
Fabio torna sempre nella sua Como, nelle zone vicino Erba da dove con il papà tutto è iniziato.
Dopo un veloce cambio di squadra nel 1994 arriva l'occasione che non puoi rifiutare; Fabio firma con l'americana Motorola, una dei primi squadroni del ciclismo.
Uno dei compagni di squadra è considerata l'erede di Lemond. Si chiama Lance Armstrong, cognome da astronauta o da trombettista, ad Oslo nella prova in linea del Mondiale '93 vince a sorpresa il titolo Mondiale. La carriera si mette subito in discesa se non fosse per il cancro ai testicoli diffuso a stomaco e cervello che lo colpirà nel '96.
Fabio con tutta la Motorola inizia il Tour 1995.
Dopo quattordici tappe la comitiva arriva sui Pirenei, terra si confine che fra due nazioni, Francia e Spagna, racchiude un popolo, quello basco. Fa caldo, afa pirenaica. È una tappa di montagna, salite al 7% e discese che possono raggiungere i 100 km/h. La partenza è avvenuta senza intoppi da Saint Girons verso Cauterets. Fabio è in gruppo, il suo primo Tour è di studio ma si difende bene,  da medaglia d'oro. Corre, lavora per la squadra, come strategia impone.
Si arrampica con la bicicletta in alluminio e telaio a diamante sui pendii dei Pirenei, alberi e scarpate che se non fosse per l'accento tutto attorno sembrerebbe Como e dintorni.
E inizia le discese, sempre più veloci, guardando con lo sguardo furbo i compagni del gruppo. Cerca di evitare la scarpata e le spinte.
A mezzogiorno sul Colle di Portet-d'Aspet c'è molta afa. Quella umida che ti si attacca sulla pelle, quella fastidiosa. Bevono dalla borraccia i ciclisti, Fabio si passa una mano sulla fronte madida e inizia la discesa. Un po' di tornanti e poi discese più severe. L'occhio furbo di Fabio cerca di controllare il gruppo e la bicicletta; in questo momento sei perpendicolare al telaio a diamante, hai i gomiti piegati ad angolo retto che sentono fredda l'aria umida attorno per via della velocità. Sei agli ottanta all'ora su una bici che pesa circa sei chilogrammi. Sei in discesa, nei boschi, con l'umidità.
Un urto, in gruppo, che diventa un domino drammatico.
Fabio guarda con l'occhio furbo chi cade davanti, chi rappresenta l'ostacolo da saltare. Guarda chi scivolando può tagliare la corsa. Sente i piedi ora bloccati ai pedali diventare leggeri e la scarpata inghiottire tutto il pendio.
È mezzogiorno e sulle ammiraglie, le auto coi direttori sportivi che seguono la corsa, arriva la notizia di una caduta.
Fabio è lì, nel gruppo di chi è caduto. Chi si tiene il braccio, chi la testa, chi è seduto su uno dei paracarri di cemento che delimitano strada e scarpata. Biciclette, storte, ammaccate.
Fabio è lì.
Disteso su un lato, in posa fetale. Le mani sembrano tenere le gambe.
È il solo a non muoversi, a non lamentarsi. Il dottor Porte è il medico del Tour, si avvicina a Fabio che sta pensando a quanto è bello il Lago di Como quando si allena con la bici. Pensa ad Annalisa che lo aspetta a casa con Marco nato da due mesi e cinque giorni. Pensa che dopo li chiamerà come tutte le altre quattordici sere prima, dopo le risate con Lance.
Sembra dormire non fosse per il rivolo di sangue che esce dalla parte di testa appoggiata all'asfalto e che inizia veloce una discesa tutta sua.
Il dottor Porte ha esperienza nella medici sportiva e non. Ha già capito.
Lo sguardo furbo di Fabio si è chiuso quando ha impattato in volo con il paracarro di cemento. Non aveva Fabio, il casco di protezione. Per quello bisognerà aspettare un altro Tour, Andrej Kivilëv, un altro decesso nel 2003.
L'elicottero dei soccorsi si alza in volo verso l'ospedale di Tarbes.
Fabio non riprende conoscenza, nonostante 20 fiale di adrenalina a riportarlo in vita dopo tre arresti cardiaci.
Alle 14 di un pomeriggio di luglio afoso, appiccicoso, il cuore di Fabio cede alla discesa troppo difficile.
Aveva solo 23 anni.
La tappa del giorno dopo inizia con un minuto di silenzio e viene di fatto neutralizzata dagli stessi corridori. Arrivano a bassa andatura e con il gruppo compatto al traguardo.
La diciassettesima tappa, due giorni dopo, viene vinta dalla Motorola; la vince in lacrime Lance Armstrong alzando le dita al cielo.
E Fabio col suo sguardo furbo avrà sorriso come quella volta alle Olimpiadi.
Dal 1997 sul Colle c'è una stele in memoria di Fabio, dove ogni volta che il Tour passa davanti, il gruppo si ferma in preghiera.

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