Il volley è uno sport di squadra dove devi usare tutto il tuo corpo per cercare di fare un punto.
Non ha contatto fisico, a due metri di altezza la rete separa le due squadre, ognuna composta da sei giocatori.
È uno sport affascinante, quasi unisex, che pratichi a scuola proprio per il suo essere unisex e poi a livello agonistico un po' in tutte le realtà dello Stivale.
Dicevamo che non ha contatto fisico ma il fisico ci vuole tutto.
In poco tempo.
Misuriamo tempo e reazioni in secondi e velocità di esecuzione, devi seguire la palla, giocarla, seguire se non hai ricevuto tu la palla, l'oggetto stesso e i compagni, le mani. Devi fare esplodere l'elasticità delle gambe, la spinta dei polpacci per impedire alla palla di toccare terra e per spingerla, schiacciarla oltre la rete con tutta la forza che schiena, dorsali, spalle e braccia possano sprigionare.
In velocità.
Servono occhi, testa e cuore, per farlo diventare il tuo sport.
Cuore, dicevamo.
Nei paesi di periferia di solito provi all'inizio col calcio e se va male e sei alto, non resta che volley o basket.
Vigor Bovolenta viene da un paese piccolo del Polesine, Delta del Po, è alto, lungo, come le torri della vicina centrale che le vedi anche con la nebbia.
Non ci sa molto fare con la palla fra i piedi ma con le mani si e allora ci si sposta nell'Alto Polesine, Polesella; buon vivaio, buona occasione per crescere e formarsi. E a Vigor la pallavolo piace, è Il suo abito perfetto.
È bravo, tanto. È forte; cresce in altezza e attorno inizia a metterci muscoli.
È un classe 1974 e fra la fine degli anni '80 e i primi anni '90 anche lo sport, di squadra, nazionale vive un momento di splendore e anche il volley attira investitori e magnati.
Emblematica la polisportiva Mediolanum in orbita Berlusconi.
Il Polesine dista una cinquantina di chilometri da Ravenna.
A Polesella Vigor trova la sua strada sottorete nel ruolo di centrale.
Il centrale.
In prima linea, in zona 3. È pronto per aiutare il muro, e nell'attacco veloce. Occhi e forza. Deve saltare assieme alla palla e sfruttare altezza ed elevazione da fermo. E Vigor sfrutta al meglio i suoi 202 cm di altezza. E quando il piede tocca terra, è rapido a spostarsi lateralmente.
Ravenna è nell'orbita Enichem e Raoul Gardini. Vuole spezzare il duopolio Modena-Parma, e ci riesce.
Il nome diventa Il Messaggero Ravenna e nel 1990 ingaggia il sedicenne Vigor.
È vicino casa, appena oltre il Po dove la statale Romea diventa mare.
Vigor si ritrova in un club che ha fame di vincere, lui che con la cadenza bassopolesana ha fame di fare parte di quel club.
E ci riesce, Vigor.
Compie un viaggio di sette anni vincendo tutto in Italia e in Europa con addosso i colori de Il Messaggero. La storia con Ravenna termina nel '97, finiti drammaticamente i fasti di Gardini, e nel '95, a maggio, Bovolenta esordisce in nazionale.
Inizia una storia parallela.
La storia azzurra si sta evolvendo; dono gli anni di Julio Velasco, del suo modo di fare sport, di fare squadra, di creare da un progetto una catena di vittorie. Progetto che verrà cercato anche da grandi club italiani di calcio come Lazio ed Inter.
Vigor diventa grande seguendo i consigli di Velasco. Diventa il centrale azzurro, in mezzo che lo vedano i compagni, che l'avversario sottorete trovi una colonna, una torre che vedi anche nella nebbia.
Le vittorie azzurre in Europa arrivano, così come nel mondo. Arrivano in serie, in modo continuativo. Come progetto prevede.
Vigor ripensa a Polesella, immersa nella nebbia, ora che anche dalla vetta del mondo la può vedere.
Rimane il rammarico per l'Olimpiade fuggita di mano ad Atlanta '96.
Vigor rientra dagli Stati Uniti con un argento al collo, che brilla in tutto il Polesine.
Un amore azzurro che durerà quasi duecento gare.
Dopo Ravenna il centrale azzurro passa da Ferrara alla rinata, e illusoria, Roma, a Palermo.
Il nuovo sprint per la carriera di Vigor arriva da Modena, non più Maxicono ma Unibon. Triennio con nuovo tricolore vissuto sottorete a seguire veloce con gli occhi le dita incerottate dei compagni.
L'esperienza ora costituisce un bagaglio importante. È così anche negli anni di Piacenza. Dal nulla le spalle larghe di Vigor portano i compagni a disputare tre finali scudetto. Non vince nulla ma la rete è ancora due centimetri sotto di lui, non si può fermare la schiacciata.
C'è spazio per rincorrere un nuovo sogno: Pechino 2010, le ultime Olimpiadi. Sceglie Perugia per farlo e non sbaglia.
Adesso ha mani forti, possenti che schiacciano il pallone e stringono a sé i figli. Adesso è marito e padre, il muro che difende i propri affetti anche sottorete.
Il cuore è grande come l'atleta.
Il cuore è forte e ha superato extrasistole vigliacche apparse all'inizio della carriera. Solo un piccolo stop agli albori di una carriera da colonna. Tutto superato, dimenticato con le vittorie, le gioie, il mondo vissuto con l'accento bassopolesano a far capolino, con la moglie ei figli a cementare la torre, che la nebbia non la nasconda.
Vigor ama il volley anche quando l'età spingerebbe a smettere e allora scende di categoria, B2.
Non lontano da Ravenna, Forlì.
Terra di mare, piadine e tedeschi coi sandali.
È il 2010, sottorete serve una torre.
Vigor gioca e fa il padre, sa consigliare i compagni e giocare coi figli che sono quattro, che tifano per il papà.
Il 24/3/2012 la trasferta della Yoga Forlì dice che si deve andare a Macerata, casa Lube.
È primavera da poco, quasi finita la stagione che all'inizio dell'estate lascerà spazio alle Olimpiadi di Londra.
Vigor lo sa e ha già pronto il tifo per i compagni azzurri che giocheranno in riva al Tamigi.
Il centrale è in turno di battuta. Un palleggio, prende il pallone fra le mani, pensa che sia il volto di Federica, di uno dei figli, lo carezza.
Barcolla.
È grande Vigor, non passa inosservata la sua camminata. Si ferma, guarda avanti il campo di gioco.
La rete sempre due centimetri sotto di lui, i compagni e gli avversari, i tifosi.
Ha gli occhi lucidi, capisce cosa succede.
Cade a terra, col fragore della torre che implode e sparisce nella nebbia.
Chiude gli occhi Vigor, sarà la stanchezza di tenere la rete due centimetri sotto.
In quattro minuti il 118 è sull'atleta, lo rianima, ci prova il personale.
Il defibrillatore non è obbligatorio nelle strutture sportive come se il cuore di chi gioca o tifa non facesse fatica.
Vigor viene trasferito all'ospedale di Macerata, dove muore due ore dopo.
Chiude gli occhi che non ce la fa più.
La nebbia è arrivata troppo fitta e ha ingoiato la torre.
L'atleta avrebbe dovuto essere fermato; l'infarto che l'ha colpito ha un nome brutto e strano, coronaropatia aterosclerotica severa.
Sarebbe bastato il defibrillatore sul posto, cosa che ora, sempre con quel tempistico dopo che caratterizza queste tragedie.
Vigor ha deciso di stendersi sul parquet, la moglie aiuta i giovani a prevenire queste situazioni, a capire. Ha creato il "Bovo Day" per ricordare il Gigante del Polesine. Soprattutto il 30/10/2012 ha avuto da Vigor il quinto figlio.
Il 12/8/2012 l'Italvolley vince la medaglia di bronzo e sul podio i compagni mostrano la maglia numero 16 di Vigor.
La torre che la nebbia ha solo nascosto un po'.
Non ha contatto fisico, a due metri di altezza la rete separa le due squadre, ognuna composta da sei giocatori.
È uno sport affascinante, quasi unisex, che pratichi a scuola proprio per il suo essere unisex e poi a livello agonistico un po' in tutte le realtà dello Stivale.
Dicevamo che non ha contatto fisico ma il fisico ci vuole tutto.
In poco tempo.
Misuriamo tempo e reazioni in secondi e velocità di esecuzione, devi seguire la palla, giocarla, seguire se non hai ricevuto tu la palla, l'oggetto stesso e i compagni, le mani. Devi fare esplodere l'elasticità delle gambe, la spinta dei polpacci per impedire alla palla di toccare terra e per spingerla, schiacciarla oltre la rete con tutta la forza che schiena, dorsali, spalle e braccia possano sprigionare.
In velocità.
Servono occhi, testa e cuore, per farlo diventare il tuo sport.
Cuore, dicevamo.
Nei paesi di periferia di solito provi all'inizio col calcio e se va male e sei alto, non resta che volley o basket.
Vigor Bovolenta viene da un paese piccolo del Polesine, Delta del Po, è alto, lungo, come le torri della vicina centrale che le vedi anche con la nebbia.
Non ci sa molto fare con la palla fra i piedi ma con le mani si e allora ci si sposta nell'Alto Polesine, Polesella; buon vivaio, buona occasione per crescere e formarsi. E a Vigor la pallavolo piace, è Il suo abito perfetto.
È bravo, tanto. È forte; cresce in altezza e attorno inizia a metterci muscoli.
È un classe 1974 e fra la fine degli anni '80 e i primi anni '90 anche lo sport, di squadra, nazionale vive un momento di splendore e anche il volley attira investitori e magnati.
Emblematica la polisportiva Mediolanum in orbita Berlusconi.
Il Polesine dista una cinquantina di chilometri da Ravenna.
A Polesella Vigor trova la sua strada sottorete nel ruolo di centrale.
Il centrale.
In prima linea, in zona 3. È pronto per aiutare il muro, e nell'attacco veloce. Occhi e forza. Deve saltare assieme alla palla e sfruttare altezza ed elevazione da fermo. E Vigor sfrutta al meglio i suoi 202 cm di altezza. E quando il piede tocca terra, è rapido a spostarsi lateralmente.
Ravenna è nell'orbita Enichem e Raoul Gardini. Vuole spezzare il duopolio Modena-Parma, e ci riesce.
Il nome diventa Il Messaggero Ravenna e nel 1990 ingaggia il sedicenne Vigor.
È vicino casa, appena oltre il Po dove la statale Romea diventa mare.
Vigor si ritrova in un club che ha fame di vincere, lui che con la cadenza bassopolesana ha fame di fare parte di quel club.
E ci riesce, Vigor.
Compie un viaggio di sette anni vincendo tutto in Italia e in Europa con addosso i colori de Il Messaggero. La storia con Ravenna termina nel '97, finiti drammaticamente i fasti di Gardini, e nel '95, a maggio, Bovolenta esordisce in nazionale.
Inizia una storia parallela.
La storia azzurra si sta evolvendo; dono gli anni di Julio Velasco, del suo modo di fare sport, di fare squadra, di creare da un progetto una catena di vittorie. Progetto che verrà cercato anche da grandi club italiani di calcio come Lazio ed Inter.
Vigor diventa grande seguendo i consigli di Velasco. Diventa il centrale azzurro, in mezzo che lo vedano i compagni, che l'avversario sottorete trovi una colonna, una torre che vedi anche nella nebbia.
Le vittorie azzurre in Europa arrivano, così come nel mondo. Arrivano in serie, in modo continuativo. Come progetto prevede.
Vigor ripensa a Polesella, immersa nella nebbia, ora che anche dalla vetta del mondo la può vedere.
Rimane il rammarico per l'Olimpiade fuggita di mano ad Atlanta '96.
Vigor rientra dagli Stati Uniti con un argento al collo, che brilla in tutto il Polesine.
Un amore azzurro che durerà quasi duecento gare.
Dopo Ravenna il centrale azzurro passa da Ferrara alla rinata, e illusoria, Roma, a Palermo.
Il nuovo sprint per la carriera di Vigor arriva da Modena, non più Maxicono ma Unibon. Triennio con nuovo tricolore vissuto sottorete a seguire veloce con gli occhi le dita incerottate dei compagni.
L'esperienza ora costituisce un bagaglio importante. È così anche negli anni di Piacenza. Dal nulla le spalle larghe di Vigor portano i compagni a disputare tre finali scudetto. Non vince nulla ma la rete è ancora due centimetri sotto di lui, non si può fermare la schiacciata.
C'è spazio per rincorrere un nuovo sogno: Pechino 2010, le ultime Olimpiadi. Sceglie Perugia per farlo e non sbaglia.
Adesso ha mani forti, possenti che schiacciano il pallone e stringono a sé i figli. Adesso è marito e padre, il muro che difende i propri affetti anche sottorete.
Il cuore è grande come l'atleta.
Il cuore è forte e ha superato extrasistole vigliacche apparse all'inizio della carriera. Solo un piccolo stop agli albori di una carriera da colonna. Tutto superato, dimenticato con le vittorie, le gioie, il mondo vissuto con l'accento bassopolesano a far capolino, con la moglie ei figli a cementare la torre, che la nebbia non la nasconda.
Vigor ama il volley anche quando l'età spingerebbe a smettere e allora scende di categoria, B2.
Non lontano da Ravenna, Forlì.
Terra di mare, piadine e tedeschi coi sandali.
È il 2010, sottorete serve una torre.
Vigor gioca e fa il padre, sa consigliare i compagni e giocare coi figli che sono quattro, che tifano per il papà.
Il 24/3/2012 la trasferta della Yoga Forlì dice che si deve andare a Macerata, casa Lube.
È primavera da poco, quasi finita la stagione che all'inizio dell'estate lascerà spazio alle Olimpiadi di Londra.
Vigor lo sa e ha già pronto il tifo per i compagni azzurri che giocheranno in riva al Tamigi.
Il centrale è in turno di battuta. Un palleggio, prende il pallone fra le mani, pensa che sia il volto di Federica, di uno dei figli, lo carezza.
Barcolla.
È grande Vigor, non passa inosservata la sua camminata. Si ferma, guarda avanti il campo di gioco.
La rete sempre due centimetri sotto di lui, i compagni e gli avversari, i tifosi.
Ha gli occhi lucidi, capisce cosa succede.
Cade a terra, col fragore della torre che implode e sparisce nella nebbia.
Chiude gli occhi Vigor, sarà la stanchezza di tenere la rete due centimetri sotto.
In quattro minuti il 118 è sull'atleta, lo rianima, ci prova il personale.
Il defibrillatore non è obbligatorio nelle strutture sportive come se il cuore di chi gioca o tifa non facesse fatica.
Vigor viene trasferito all'ospedale di Macerata, dove muore due ore dopo.
Chiude gli occhi che non ce la fa più.
La nebbia è arrivata troppo fitta e ha ingoiato la torre.
L'atleta avrebbe dovuto essere fermato; l'infarto che l'ha colpito ha un nome brutto e strano, coronaropatia aterosclerotica severa.
Sarebbe bastato il defibrillatore sul posto, cosa che ora, sempre con quel tempistico dopo che caratterizza queste tragedie.
Vigor ha deciso di stendersi sul parquet, la moglie aiuta i giovani a prevenire queste situazioni, a capire. Ha creato il "Bovo Day" per ricordare il Gigante del Polesine. Soprattutto il 30/10/2012 ha avuto da Vigor il quinto figlio.
Il 12/8/2012 l'Italvolley vince la medaglia di bronzo e sul podio i compagni mostrano la maglia numero 16 di Vigor.
La torre che la nebbia ha solo nascosto un po'.
Commenti
Posta un commento