Ryan Shay

Maratona, Maratona di New York, Olimpiadi.
Un percorso fatto di piccoli step che accomuna milioni di appassionati e atleti nel mondo
Maratona come sfogo, voglia di mettersi alla prova, come distanza massima dove sognare di tagliare per primi il traguardo.
Ogni atleta, professionista e non, ha il suo record, il suo obiettivo da raggiungere, chilometro dopo chilometro, rifornimento dopo rifornimento.
Si corre ovunque: strade, città, boschi, deserti fino ad arrampicarsi sulle cime delle Dolomiti.
Ha origini antiche e una città col suo nome.
Filippide corse da Maratona ad Atene per annunciare esausto la vittoria degli ateniesi su Sparta nel 490 a.C. ma la distanza percorsa dal soldato non ha nulla a che vedere con la distanza attuale della maratona sportiva.
La realtà è più "umana"e meno bellica.
Come tutte le leggende è bello crederlo.
La distanza ufficiale è una gentilezza che l'Olimpiade riservò alla famiglia reale inglese durante i Giochi londinesi del 1908, epoca liberty, bohémienne e lontana da tragedie belliche; partenza davanti le finestre del castello di Windsor e arrivo davanti al palco reale di White City Stadium.
Proprio nella capitale inglese è nata la favola di Dorando Pietri, panettiere piccolo e minuto di Carpi, arrivato per primo,sfinito, al traguardo ma squalificato per essere stato sorretto a pochi metri dalla fine da una mano caritatevole. I baffi folti e scuri dell'italiano, contrastavano col bianco candido del fazzoletto legato sulla testa a proteggersi dal sole.
La tragedia sportiva di Pietri ha indubbiamente aumentato anche nello spettatore l'interesse per questa distanza,  producendo contestualmente fior di atleti e campioni.
La distanza.
42 km e 195 metri.
Maratone che sono diventate negli anni appuntamenti fissi nel calendario stagionale per sportivi e amatori, tappe nelle grandi metropoli come appunto Londra, Boston e New York.
Anche Ryan corre. Corre da quando ha imparato a camminare. Corre nell'aria frizzante e nella calura perché ha un sogno.
Le Olimpiadi, un sogno lungo, intenso, da rincorrere.
Ryan inizia la sua corsa fra i boschi del suo Michigan, stato nord occidentale degli Usa, incastonato fra penisole e laghi.
Ryan sa che la mattina può esserci la nebbia, per escursione termica notturna, e sa che è una componente della sua vita.
Ryan Shay è un giovane atleta del Nord degli Usa, che corre fino all'Università dove sa che il suo correre può abbinarsi al meglio con lo studio.
È nato a Ypsilanti in Michigan, il 4 maggio del 1979. Corre sulle sponde del lago Luna Lake, costeggia il green del Golf club e il Campus Universitario.
È amore a prima vista fin da subito per le grandi distanze; 5000, 10000 e maratona. Sono la distanza ideale per la sua testa, per le sue gambe.
Forse studiare le gesta di Filippide o leggere di Dorando Pietri hanno toccato i tasti giusti nella testa del ragazzo biondo, filiforme.
Ryan Shay corre nei boschi, evita di spaventare i ghiottoni a casa loro, respira l'odore forte dell'acqua del lago.
Deve studiare correndo.
Lo fa spostandosi in Indiana, all'Università di Notre Dame. I voti sono buoni, vanno di pari passo all'attività sportiva.
Nel 2001 arriva il primo alloro importante, quello step che Ryan cercava correndo.
Vince indossando i colori della Notre Dame University il titolo universitario NCAA.
Ryan ha trovato il suo habitat ideale.
L'aria di Notre Dame è la stessa di Ypsilanti, anche lì può mettere nelle gambe chilometri correndo sulle rive di un altro lago, il Saint Joseph.
Con le scarpe da running ai piedi Ryan si prepara.
Seguito dal coach Joe Vigil prepara le tappe di avvicinamento alle Olimpiadi di Atene del 2004.
Prima delle gare di qualificazione, i Trials americani, evento sportivo ma anche kermesse e festa, Ryan conquista altri titoli.
L' anno d'oro è il 2003 in cui corre come Filippide senza stremarsi e conquista il titolo Usa nella maratona e nella mezza maratona.
È un ragazzo serio, biondo, filiforme, come quelli che popolano i campus nei film a stelle strisce.
Trova anche l'amore correndo in riva al lago prima e sul tartan delle piste di atletica poi.
La distanza è la stessa, gli allenamenti sono gli stessi.
Alicia Craig è una maratoneta anche lei, anche lei corre nell'aria fresca e umida del mattino sulle lunghe distanze.
Ryan sa che senza Olimpiadi gli manca qualcosa per affermarsi come maratoneta completo.
Si allena, corre, vince ma manca di un soffia la qualificazione ai Trials 2003.
Atene resta lontana, confinata nella storia della Guerra con Sparta e nelle gesta di Filippide.
Coach Vigil intuisce le capacità e le potenzialità del ragazzo, non lo lascia.
Lo lascia riposare e respirare l'aria del Luna Lake fra i boschi e le tane dei ghiottoni. C'è un triennio da preparare al meglio e non c'è nulla di meglio che farli fra le mura di casa.
L'obiettivo è l'Olimpiade di Pechino 2008, i Trials da conquistare con la maratona di New York del 2007.
Un podio, primo, secondo o terzo per il pass di una vita.
Ryan con Alicia e Joe abbandona Notre Dame e i laghi e si trasferisce in California per allenarsi con la medaglia d'argento di Atene '04, Meb Keflezighi.
Da chi ha vinto c'è solo da imparare, Ryan negli anni del college ha studiato e imparato.
L'obiettivo adesso è puntato sui Trials, la Maratona di New York, unanimemente considerata La Maratona.
Al sole californiano Ryan e Joe metto a punto la tattica giusta per avvicinarsi all'evento, alla kermesse, alla festa.
Ryan si sposta dalla California alla Grande Mela e osserva quanti laghi passano sotto di lui. Sorride.
A Central Park c'è un lago dove tutti si chiedono dove vanno in inverno le anatre.
Il 3 novembre 2007 si gioca il pass per la grande Olimpiade d'Oriente.
Ryan osserva la città che non dorme mai. Scorre la lista degli altri 129 partecipanti: sorride.
Sa che ce ne sono 127 di troppo. Gli allenamenti con Keflezighi gli hanno dato forza e convinzione, ora tocca a lui.
Il 3 novembre 2007 Ryan si prepara.
È autunno, potrebbe piovere, e allora si spalma un po'di vasellina sotto le ascelle e sull'interno cosce. Non può rischiare arrossamenti e sfregamenti, né di restare a lungo bagnato. Indossa quindi una canottiera bianca di tessuto tecnico, non impermeabile. Indossa i pantaloncini corti neri che lo hanno accompagnato anche negli allenamenti e infine indossa le scarpe colorate che magari ha indossato anche in volo per dare loro la forma dei piedi.
Le ultime cose che Ryan indossa sono il capellino nero e i guanti rossi.
Ed è in prima fila sulla linea di partenza.
Il 3 novembre 2007 è una mattina fresca e frizzante che a Ryan sembra perfetta per la maratona.
Si parte e Joe fa partire il cronometro che aspettava solo lo starter. Ora è tutto nella testa e nelle gambe di Ryan che mentre Joe lo osserva svanisce fra i palazzi di Manhattan, 75ma strada, direzione Central Park, oasi botanica metropolitana.
Ryan ne respira l'odore, che lo porta correndo ad Ypsilanti, ai ghiottoni che gli corrono paralleli difendendo il territorio, corre e non si accorge, pensa a Pechino, l'anno dopo
Il 3 novembre 2007 al km numero 8 Ryan Shay si accascia al suolo sentendo solo l'aria fresca frizzante entrargli nel naso, il rumore dell'acqua silenziosamente ferma fra gli alberi.
Arrivano i soccorsi con le luci lampeggianti a sferzare di azzurro le fronde gialle e rosse.
Ryan è lontano, sta osservando il bacino artificiale che di fatto è il lago di Central Park, il Jacqueline Kennedy Onassis Reservoir. Ha il viso sereno mentre osserva in Germano reale un po'in ritardo che galleggia in superficie.
L'atleta si mette le mani sui fianchi, respira un po'più forte, con fatica e spaventa il volatile che spicca il volo verso oriente.
Pechino.
Il 3 novembre 2007 sono le 8:46 di un mattino fresco e frizzante perfetto per la maratona e Ryan senza più le scarpe colorate ai piedi muore, il suo cuore ha ceduto ad un improvviso arresto cardiaco, lui, atleta controllato e giovane, senza apparenti problemi fisici pregressi.
Il decesso viene dichiarato al Lenox Hill Hospital.
Il coach Joe Vigil assicura che Ryan era in forma al 100%, stessa cosa che afferma Alicia, la sua compagna.
Semplicemente il suo cuore non ce l'ha fatta ed ha ceduto, facendolo stendere vicino ad un lago, lui che dal lago era partito correndo.

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