Francisco Lazaro, prima di Eusebio

Francisco, prima di Eusebio.
Francisco che diventa eroe, strada, diventa stadio e bandiera.
Francisco Lazaro, maratoneta, agli albori del XIX secolo, quando lo sport è ancora come lo intende De Coubertin, quando il mondo ancora non sospetta quali eventi bellici lo sconvolgeranno di lì a qualche anno.
Lo sport, le sue manifestazioni, sono cerimonie e feste, spesso a margine di eventi importanti come le Esposizioni Internazionali.
Soprattutto lo sport è ancora mettere se stessi alla prova, quelle più dure ed estenuanti.
Francisco insegue le orme di Spyridon Louis e  di Dorando Pietri, o Petri. Corsa, gloria e sofferenza.
Corre per le strade di Benfica, dove la città non è ancora interamente Lisbona ma solo una parte.
È piccolo, minuto, quasi gracile, ai antipodi dell'atleta muscoloso e grande degli anni '90-2000.
È piccolo, minuto, quasi gracile, con due grandi baffi neri che gli regalano più anni dei suoi 21, nell' estate del 1912.
Francisco è un dilettante che non può vivere con la sola corsa e nel Portogallo fresco di proclamazione della Prima Repubblica, nel 1910 cade la monarchia della dinastia Braganza, lavora come operaio.
Lavora nel Bairro Alto, sobborghi di Lisbona; ogni mattina corre.
Corre, soprattutto, Francisco.
Corre lungo i binari dei tram che attraversano le vie sinuose della città per raggiungere l'officina dove da bravo carpentiere prepara pezzi per le automobili.
La maratona, l'atletica leggera tutta, nei primi anni del 1900 vivono di dilettantismo e passione, nulla più.
Non esiste la figura dell'allenatore, del preparatore; l'unico allenamento costante nella preparazione di Francisco è la corsa per andare e tornare dal lavoro, arrampicarsi sulle colline di Lisbona, sprintare nei quartieri secolari e un po' bohémien, con i tram e la funicolare di Bica.
Corre costante Francisco, muovendo veloce le gambe minute.
Corre ascoltando le note del fado provenire da uno dei locali del Bairro Alto.
La sua corsa è pura passione, in solitudine.
Corre Francisco e lavora, altra componente del suo allenamento. Vince tre volte il titolo lusitano di maratona, perché si allena a Lisbona e conosce la difficoltà dei saliscendi, delle corse in pianura o sui falsopiani.
Non ha tempo per i libri, nessuno imposta lo sport partendo dalla scienza. Corre e basta.
Non sa l'importanza dell'equilibrio elettrolitico per il corpo umano.
Non sa molto di sodio, potassio,  l'mportanza che hanno per il movimento di acqua e liquidi, muscoli nel corpo umano.
Sfida il caldo atlantico rincorrendo la funicolare e arrivando primo al traguardo.
Francisco ha vent'anni e vince il terzo titolo portoghese con il tempo record di 2h 52'8": tre minuti in meno del record precedente.
Un'enormità per i tempi che fanno del piccolo e gracile Francisco Lazaro il favorito per l'oro all'Olimpiade di Stoccolma del 1912.
La neonata Prima Repubblica lusitana lo nomina primo portabandiera.
Continua a produrre pezzi per automobili e a rincorrere i tram anche se ora l'obiettivo del piccolo portoghese è l'Olimpiade.
L'Olimpiade del 1912 è la V dell'era moderna, si tiene in Svezia,va Stoccolma.
Francisco nel suo correre fra tram e officina ha fissato la data nella sua mente. La corsa verso la medaglia d'oro sarà il 14/07.
Siamo in Svezia, a luglio il clima è mite in estate.
Francisco osserva la bandiera portoghese che dopo la cerimonia di apertura ha ripiegato con cura e di prepara per la sua corsa.
Sente che è caldo nonostante si trovi in Svezia, un caldo quasi portoghese, senza l'Oceano a temperarlo. Si prepara un unguento contro le scottature e si veste da atleta: maglietta bianca, pantaloncino bianco e scarpe nere. Il pettorale è il numero 50.
Pensa al Bairro Alto e si accarezza i baffi scuri. Vestito di bianco è ancora più minuto e gracile.
È l'ora che l'organizzazione olimpica ha deciso per far iniziare la gara a lasciare perplessi: le 13.48 con 32° fa capire che non sarà una gara semplice.
Francisco lo sa e dal momento della partenza si piazza in mezzo alla corsa, così da controllare gli atleti ai due lati.
Il pettorale con il numero 50 sul fisico minuto ma veloce del portoghese sembra più grande.
Francisco Lazaro ha sempre corso da solo non sa l'importanza per il corpo umano di mantenere un perfetto equilibrio elettrolitico.
Il piccolo lusitano corre sempre in mezzo alla strada così da controllare gli avversari, sia a destra che a sinistra. È un pomeriggio incandescente, la maratona è difficile.
L'orario impossibile mette in difficoltà molti degli atleti che vi partecipano; molti atleti accusano disturbi dovuti a disidratazione. Singolare il caso del giapponese Kanakuri che crolla nei pressi di un'abitazione esausto e disidratato fino a svenire. Terminerà la sua corsa 45 anni, dopo nel 1967.
A rendere complicata la gestione della gara le scelte dell'organizzazione, lontana da standard anche solo minimamente professionali che in nome del dilettantismo e dello sport vietano aiuti, massaggiatori o tecnici ai bordi delle strade, men che meno ciclisti a seguire la corsa in caso di una prima segnalazione di soccorso.
Ci sono solo gli atleti, come Filippide secoli prima.
Lazaro corre, muove le gambe minute una davanti all'altra.
Fa caldo, un caldo che brucia ma Francisco corre, corre come per andare al lavoro, come se il tram lo avesse superato. Corre quella che è già una corsa maledetta, e non fa caso a quanto sia pesante il respiro, a quanto comincino a muoversi una avanti all'altra le gambe.
Francisco vestito di bianco col pettorale numero 50 scotta, come da bambino quando aveva la febbre .
Sente la testa pesante, il respiro affannoso e le gambe che fanno male. Non ascolta il suo corpo, non ha l'abitudine a farlo; l'allenamento è fino a quando il fiato si spezza.
Non sa l'importanza dell'equilibrio elettrolitico del suo corpo quando i gradi sono 32 e l'aria ti brucia in gola.
Francisco corre fino al chilometro 30 pensando che il suo corpo non è più minuto e gracile.
I baffi scuri sono bagnati dalla saliva per idratarsi in corsa come meglio può.
Al chilometro 30 la Stoccolma di Francisco Lazaro è un pezzo di fado che lo accompagna nella caduta.
Il suolo è caldo, è caldo tutto intorno. La testa scoppia, il fado è una dissolvenza lontana. Il respiro veloce, affannoso.
Quando altri atleti lo trovano Francisco ha la febbre alta e le convulsioni.
Bisogna avvisare la direzione della gara, lontana e all'oscuro del problema del portoghese.
È disidratato, è minuto, è gracile.
Viene portato all'ospedale dove poche ore dopo, il 15/07/1912, spira, a 12 km da un traguardo storico.
Solo prima del decesso si scopre che Francisco si era ricoperto parte del corpo con un unguento di cera e grasso animale che di fatto lo ha reso impermeabile, impedendo la regolare sudorazione dei tessuti.
L'equilibrio elettrolitico appunto si è interrotto, cambiando e provocando uno stato di disidratazione gravissimo.
Erano altri tempi, tempi in cui si faceva l'atleta per pura passione e prevaleva ancora il rimedio fai da te sui primi rudimenti di scienza.
Francisco non aveva avuto tempo per studiare, per capire. Aveva corso, lavorato e vinto da solo, così come ha deciso di finire.
Molto ha fatto anche l'ottusa decisione degli organizzatori di iniziare una corsa così faticosa nel primo pomeriggio e non di primo mattino e di vietare qualsiasi mezzo al seguito dei maratoneti.
Del piccolo portoghese minuto, gracile, coi baffi neri, rimangono una strada col suo nome a Lisbona e il suo nome sullo stadio del Benfica Calcio e il triste record di primo atleta morto durante una Olimpiade.

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