Lavoro la domenica, in un negozio che vende quelli catalogati come articoli d'impulso.
Lavoro la domenica anche d'estate.
Vivo in una città a misura d'uomo, ad un'ora di strada da mare, fiume, lago e a pochi chilometri dal confine.
Udine, che le domeniche d'estate non offre nulla, città del Tiepolo con il museo chiuso, cantieri aperti nel centro storico e bar chiusi.
Ecco, io lavoro qui, la domenica.
Lavoro in una galleria commerciale che potrebbe essere un bel biglietto da visita per entrare nel centro storico. Ma non lo è.
Se faccio una foto la domenica d'estate prima di timbrare siamo io e la mia ombra.
E se cerco un bar aperto per un caffè rischio di timbrare in ritardo.
Udine offre molto durante la settimana ma la domenica è pigra, lenta, spenta dopo l'aperitivo del mattino dopo la messa.
Ritmi e riti che sono ancorati più che legati al tempo, poco importa che chi siede nel palazzo comunale faccia ben poco per cambiare le carte in tavola.
Un tempo che sembra lontano la domenica c'era un certo rispetto, fra gli imprenditori, la classe politica e la clientela, per le festività; da Berlusconi in poi no, prima il business a tutti i costi, poi il rispetto.
E tu che fai il commesso ti trovi a lasciare figli, partner, da soli anche quando è Pasquetta, durante le giornate in cui il mondo attorno a te programma le gite fuori porta e al lavoro scopri che invece è diverso.
È diverso perché scopri che nessuno quasi, a meno che non sia un collega, la pensa come te.
Lavorare la domenica d'estate ad Udine è un interessante studio sociologico su come si sono imbruttiti i costumi italiani e non.
E se il caldo esaspera alcuni comportamenti, non per noi conmessi che "siete fortunati ad avere l'aria condizionata che fuori...", altri comportamenti imbarazzanti non trovano giustificazione se non nella genetica e nell'ignoranza.
Da cosa deriva questa considerazione? Dal semplice guardare negli anni come è cambiato, in peggio, da sottolineare, un intero settore commerciale.
Chi c'è la domenica in negozio?
C'è il cliente col cane, col guinzaglio allungabile che segue un percorso diverso da quello dell'animale e tu commesso che non puoi saperlo finisci con le caviglie garrotate.
Non solo.
Il cliente italiano che con l'educazione dimentica a casa predicati e congiuntivi e ha fretta, accidenti.
Ci sono famiglie numerose che liberano i figli come animali al pascolo con l'ordine tacito alla Decimo Massimo Meridio "al mio tre scatenate l'inferno" e tu commesso dentro di te reciti il breviario più sacrilego in tuo possesso per non scatenare l'inferno davvero.
E nel dubbio sorridi, sempre.
Ci sono anche i genitori che i figli li fanno piangere davanti all'ingresso del negozio spiegando che "la mamma può entrare tu no, che qui l'aria condizionata è troppo forte" neanche fossimo a Wichita e stesse arrivando un tornado.
È bello in fondo questo lavoro; puoi esporre o star fermo in cassa ad osservare una intera umanità alla deriva.
La domenica poi è la giornata del cliente che tocca uno ad uno tutti gli articoli esposti rilasciandoli poi cadere nei posti sbagliati che per lui "che non è del mestiere è più facile", e a quel punto te ne infischi del sorriso e lo ringrazi sinceramente "che così ho qualcosa da fare".
Non mancano mai neanche i maleducati, il cliente che crede che tutto gli sia concesso solo perché è domenica e lui non lavora.
E la maleducazione aumenta più aumenta lo status sociale del cliente come a sminuire il commesso, gli oggetti che vede, che magari compra tanto per fare un favore all'azienda.
E poi la domenica chi c'è?
Il cliente che sbuffa perché proprio non ce la fa a non farlo. Entra pachidermico in negozio, ciondolando fissando un po'il naspi antincendio, un po'gli articoli esposti e ciondolando e sbuffando arriva in cassa dove ti chiede un attimo per cercare la preziosa banconota e poi te la lancia sul banco con la stessa classe con cui sparge il formaggio grana sul piatto di pasta.
È varia l'umanità che passa la soglia dell'ingresso del mio negozio.
Capita anche di discutere per far capire che la bici no, non la può lasciare appoggiata in cassa mentre "da un'occhiata".
È uno spaccato del mondo circostante ma ancora mi chiedo se perdere così il tempo che potrei dedicare ai miei affetti più cari, valga davvero la pena.
Secondo lei caro sindaco Fontanini?
Lavoro la domenica anche d'estate.
Vivo in una città a misura d'uomo, ad un'ora di strada da mare, fiume, lago e a pochi chilometri dal confine.
Udine, che le domeniche d'estate non offre nulla, città del Tiepolo con il museo chiuso, cantieri aperti nel centro storico e bar chiusi.
Ecco, io lavoro qui, la domenica.
Lavoro in una galleria commerciale che potrebbe essere un bel biglietto da visita per entrare nel centro storico. Ma non lo è.
Se faccio una foto la domenica d'estate prima di timbrare siamo io e la mia ombra.
E se cerco un bar aperto per un caffè rischio di timbrare in ritardo.
Udine offre molto durante la settimana ma la domenica è pigra, lenta, spenta dopo l'aperitivo del mattino dopo la messa.
Ritmi e riti che sono ancorati più che legati al tempo, poco importa che chi siede nel palazzo comunale faccia ben poco per cambiare le carte in tavola.
Un tempo che sembra lontano la domenica c'era un certo rispetto, fra gli imprenditori, la classe politica e la clientela, per le festività; da Berlusconi in poi no, prima il business a tutti i costi, poi il rispetto.
E tu che fai il commesso ti trovi a lasciare figli, partner, da soli anche quando è Pasquetta, durante le giornate in cui il mondo attorno a te programma le gite fuori porta e al lavoro scopri che invece è diverso.
È diverso perché scopri che nessuno quasi, a meno che non sia un collega, la pensa come te.
Lavorare la domenica d'estate ad Udine è un interessante studio sociologico su come si sono imbruttiti i costumi italiani e non.
E se il caldo esaspera alcuni comportamenti, non per noi conmessi che "siete fortunati ad avere l'aria condizionata che fuori...", altri comportamenti imbarazzanti non trovano giustificazione se non nella genetica e nell'ignoranza.
Da cosa deriva questa considerazione? Dal semplice guardare negli anni come è cambiato, in peggio, da sottolineare, un intero settore commerciale.
Chi c'è la domenica in negozio?
C'è il cliente col cane, col guinzaglio allungabile che segue un percorso diverso da quello dell'animale e tu commesso che non puoi saperlo finisci con le caviglie garrotate.
Non solo.
Il cliente italiano che con l'educazione dimentica a casa predicati e congiuntivi e ha fretta, accidenti.
Ci sono famiglie numerose che liberano i figli come animali al pascolo con l'ordine tacito alla Decimo Massimo Meridio "al mio tre scatenate l'inferno" e tu commesso dentro di te reciti il breviario più sacrilego in tuo possesso per non scatenare l'inferno davvero.
E nel dubbio sorridi, sempre.
Ci sono anche i genitori che i figli li fanno piangere davanti all'ingresso del negozio spiegando che "la mamma può entrare tu no, che qui l'aria condizionata è troppo forte" neanche fossimo a Wichita e stesse arrivando un tornado.
È bello in fondo questo lavoro; puoi esporre o star fermo in cassa ad osservare una intera umanità alla deriva.
La domenica poi è la giornata del cliente che tocca uno ad uno tutti gli articoli esposti rilasciandoli poi cadere nei posti sbagliati che per lui "che non è del mestiere è più facile", e a quel punto te ne infischi del sorriso e lo ringrazi sinceramente "che così ho qualcosa da fare".
Non mancano mai neanche i maleducati, il cliente che crede che tutto gli sia concesso solo perché è domenica e lui non lavora.
E la maleducazione aumenta più aumenta lo status sociale del cliente come a sminuire il commesso, gli oggetti che vede, che magari compra tanto per fare un favore all'azienda.
E poi la domenica chi c'è?
Il cliente che sbuffa perché proprio non ce la fa a non farlo. Entra pachidermico in negozio, ciondolando fissando un po'il naspi antincendio, un po'gli articoli esposti e ciondolando e sbuffando arriva in cassa dove ti chiede un attimo per cercare la preziosa banconota e poi te la lancia sul banco con la stessa classe con cui sparge il formaggio grana sul piatto di pasta.
È varia l'umanità che passa la soglia dell'ingresso del mio negozio.
Capita anche di discutere per far capire che la bici no, non la può lasciare appoggiata in cassa mentre "da un'occhiata".
È uno spaccato del mondo circostante ma ancora mi chiedo se perdere così il tempo che potrei dedicare ai miei affetti più cari, valga davvero la pena.
Secondo lei caro sindaco Fontanini?
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