A pesca del persico sole

"Allora ti aspetto!"
"Si, ho le ferie. Una domanda prima di chiudere: le canne da pesca le hai sempre al solito posto?"
"Si, certo!"
Più che una risposta, un'affermazione rigorosamente seria.
Devo attenermi agli orari del papà è il resto della giornata? Io lavoro in un negozio, tutto il giorno fra pallets, report e layout, timbro il cartellino quando entro e quando esco, sono insomma organizzato; a casa mia come posso impegnare il tempo libero?
Flashback sul garage di mio padre, gli utensili, le cose strane che ripiegava dopo aver tolto dei ganci piccoli di ferro. E asciugava tutto.
Certo, la pesca, il fiume è di strada fra casa mia e l'ospedale.
Papà se non ricordo male ha un vecchio zaino verde in canvass sopravvissuto al tempo e alle intemperie; quello che fa per me.
Il garage del papà è qualcosa di simile ad un bazarre per chi ha la passione del brocolage: tutto in ordine di altezza, pulito, spolverato ed oleato.
Adesso è chiaro da chi ho preso la mania per l'ordine.
"Ma ti sei fatto la licenza?"
Imbarazzo fuorilegge.
"No, ma ci vado uno o due giorni, al massimo prendo i domiciliari papà!"
L'ordine anche per le cose burocratiche.
Non ho mai fatto nessuna licenza, sempre pescato fra i canneti, di notte, "aggirando la legge" e mentre lo penso, e lo scrivo, rido.
Sarebbe sfortuna degna di Paperino se mi prendessi la multa dalla polizia venatoria mentre cerco di prendere un persico sole.
Che poi è in pesce extracomunitario e rischio pure di passare per razzista.
Preparo un sacchetto di plastica, biodegradabile, che lego alla bici e mi avvio; pochi chilometri in solitudine attraverso campi di grano giallo oro del Mulino Bianco, ecco perché mangiando i cornetti sentivo aria di casa, e arrivo al ponte.
Il posto che ho scelto, lo stesso di tanti anni prima, è appena sotto la campata centrale del ponte. Devo scendere lungo la strada bianca appena la strada di fa più ripida e curva verso sinistra.
La strada è polverosa alla stessa maniera, anno dopo anno. Scendo dalla bici con lo zaino sulle spalle. Lego la bici ad un vecchio palo per l'illuminazione ormai solo parte del paesaggio, all'ombra della stessa campata.
L'aria è calda, afosa, un misto di acqua, vegetazione e idrocarburi.
Si, idrocarburi: esattamente davanti a me, sulla riva opposta c'è più grande e più bello, l'impianto di stoccaggio di idrocarburi. Nulla di pericoloso o inquinante.
Scendo la scala scricchiolante che mi porta ad essere qualche metro dentro questo ramo del Po di Levante. Scricchiola ma nel tempo questo piccolo attracco è stato tenuto attivo. Poso sul pontile il sacchetto e il vecchio zaino dal quale sbuca una specie di antenna di metallo scura che mi fa sembrare un marconista improvvisato. Estraggo l'acqua per me che il caldo bassopolesano si fa sentire e reclama la giusta idratazione.
Dalla tela in canvass lisa dal tempo prendo un sacchetto, un altro, con dentro semplicemente ami e galleggianti, niente cucchiaini o esche artificiali. Cose semplici per una pescata semplice, ad un pesce in fondo semplice.
È colorato dalla pelle iridescente, la tonalità è verde ma ha un caleidoscopio di sfumature ed è un pesce pigro.
Vive nei fiumi, appunto, in acque basse e lente, appunto.
Allungo la canna nera, telescopica, semplice anche lei, nulla a che vedere con quelle fisse da spinning che per rispetto al papà ho lasciato ordinate in garage.
La fisso in un'apertura sul pontile e mi dedico al sacchetto che tenevo fuori dallo zaino.
Dentro c'è un panetto giallo di farina di mais, piccolo e colorato.
Avevo voglia dei sapori della mia adolescenza quindi nessuna esca viva, "le corbole", le larve bianche di mosca, ma la classica polentina di mais.
Preparo venti palline tonde di due cm di diametro e ne prendo una, la fisso all'amo e con uno scatto dell'avambraccio lancio l'amo qualche metro nell'acqua avanti a me; l'amo si inabissa e resto fermo in silenzio ad osservare il galleggiante dondolare dolce a pelo d'acqua fino a fermarsi. Ecco, l'amo è arrivato. Rifisso la canna nell'apertura sul pontile e mi siedo. Lascio dondolare i piedi a pelo d'acqua e mi fermo a guardare una nave che passa sfiorando le vecchie briccole in legno, appena prima della campata centrale del ponte. È una draga che deve ripulire la sabbia del fondale. Mi passa davanti lenta e pigra come l'acqua del fiume. Le onde che crea arrivano lunghe e silenziose al mio pontile, facendo mulinare il galleggiante della mia canna da pesca. Nulla di preoccupante, la pescata può continuare senza problemi.
Si agita solo il vecchio barchino attraccato alle mie spalle. Qualche asse ha ceduto al tempo e il colore verde ha lasciato intravvedere in più punti la sua vera pelle colore del legno. Cigola rumorosamente, qualcosa nel canneti dietro di me si muove ma non c'è da spaventarsi, qualsiasi animale sia è innocuo, e poi credo che il barchino sia diventato parte integrante del loro habitat.
Osservo verso est le onde lunghe della draga aspettando la virata, è obbligata a farla. In quel punto il Po di Levante si divide: a sinistra lambisce le rive di Loreo e della statale Romea stringendosi e mutando in canale fino a congiungersi più a nord all'Adige e arrivare al mare, a destra aumenta, diventa largo, grosso e in perfetta autonomia raggiunge l'Adriatico.
Vira a destra, e lenta la vedo sparire all'orizzonte.
L'ombra del ponte è cosa gradita, come il persico sole apprezza la giornata e la polentina e abbocca con facilità. Le palline sono finite, a conti fatti ne ho perse solo due in due ore.
Il "persego" ha abboccato facilmente ma credo sia perché non è di qui e ha apprezzato l'esca che gli ho servito; ricordo interi pomeriggi da ragazzino a consumare polentine inutilmente cercando di pescare questo pesce americano che chissà come mai adora il Po e l'Adige. Forse perché sono lenti e pigri e lontani dalla frenesia americana.
Dopo due ore richiudo la canna da pesca, asciugandola e richiudendola facendo attenzione a non imbrigliare il filo. Chiudo gli ami e i galleggianti nello zaino verde di canvass. Riprendo la bici e ricomincio la piccola porzione di salita soddisfatto delle due ore che mi sono ritagliato, chissà quando penso fra me e me potrò ripeterle.
Il persico sole l'ho ributtato in acqua dopo ogni abboccata. Li sta sicuramente meglio.

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