Il caffelatte di Nelly

Mi ricordo tutto, nonostante i dieci anni passati e nonostante non averlo detto a nessuno.
Dieci anni lunghi, che mi hanno spinto un po'più lontano di dove pensavo di essere. Mi hanno fatto pensare a scadenze precise, regolari, due volte all'anno.
Mi ricordo le sensazioni strane ogni notte, i rumori, i suoni regolari e sinistri, la luce di traverso dalle finestre, guardando ad est con la luce dell'alba trasportata lenta verso il mare.
Mi ricordo bene le telefonate, sempre con un certo peso nel cuore, quasi che il non essere lì in quel momento e nel corso degli anni mi schiacciasse.
Ricordo l'agosto caldo, un trasloco in corso da fare da soli e il pancione che cresceva. Denis era più o meno a metà del suo assemblarsi come persona e fu la notizia più bella in mezzo ad un'estate altrimenti da scordare.
Telefonate e trasloco, un'anta e un messaggio. E la decisione.
Semplice, immediata in fondo, che così non era giusto.
Tornare giù, al paese, a Loreo, da mamma e papà.
Un salto all'indietro nel tempo che però non ci ha pensato su un attimo ed è andato avanti, facendomi perdere buona parte di un'età che si non tornerà più.
Vero, ho fatto altro di bello ma senza rendere parte attiva di ciò mamma e papà.
Un errore.
Che di certo adesso non rifarei ma con il senno di poi non rifarei.
Partii verso casa su di un treno regionale caldo ed affollato, con un filo di nervoso che attraversava la pelle.
Con l'umidità che saliva mi avvicinavo al paese, quasi immobile nel tempo, ma che il tempo stesso saprà ripagare e rendere un piccolo gioiello veneziano.
Altri momenti.
Ricordo l'arrivo, una fermata prima, dove c'è l'ospedale, dove c'è la mia mamma.
Trovare il reparto non è difficile, vecchi dottori ed infermieri neppure.
Mi siedo in sala d'attesa e aspetto.
Riprendo semplicemente fiato.
Aspetto la fine della dialisi poi la saluterò.
Ricordo la stanza con tanto bianco, troppo e troppi aghi per un braccio solo.
Ricordo parenti che altrimenti non avrei, non avevo né avrò in futuro, rivisto.
Saluti veloci e il suo sguardo perso. Oltre le mie spalle.
Attirato, lo capisco al volo, dalla voce più che dai suoi ricordi.
"Giancarlo, arrivo..."
La voce è impastata, roca, diversa da quella della mia mamma.
Le bacio la fronte.
"Ti ha riconosciuto."
Chi lo dice rientra nella sfera dei parenti che "né prima, né dopo ho rivisto".
Lo guardo in silenzio; è come se non ci fosse lui, l'altro e l'altra paziente.
Ora nella stanza che odora di disinfettante ci siamo solo io e la mamma.
So che non mi ha riconosciuto; si, il nome è lo stesso, ma non sono io e nel contesto è giusto sia così.
La mia mamma ha perso il primo marito, Giancarlo appunto.
Non ero io.
Fra un bip e l'altro, tutti troppo costanti e firme su firme per non torturarla di più vedo amici e parenti lontani, atto dovuto a chi è da sempre molto conosciuta in paese. Io sono più randagio; guardo sempre la sera, il fiume pigro e lento.
Mi fanno compagnia riflesse sulla finestra le luci di tutti i macchinari connessi alla mamma, che non sa che sono lì e una notte di dieci anni fa che era quasi mattino ha smesso di essere mamma.
Fortunatamente per lei, per il mio papà e per noi.
Trent'anni di emodialisi sono stati un regalo, il suo fisico era forte un tempo, e bello, per lei in primis. Un "dinosauro", vista la patologia e la cura degenerativa, che non mi ha fatto mai mancare nulla, più forte della malattia.
Fra le montagne di carte firmate anche la cessazione dell'emodialisi; non era giusto farle ancora più male con aghi ed eparina.
Ho vissuto così, in mala maniera, il mio paese, il ritorno alle origini.
Ho assistito sereno nel mio essere ateo all'estrema unzione che le ha dato il suo amico frate, frate non prete; sereni noi a tal punto che ci siamo imposti perché fosse al funerale anche lui.
Per l'ultimo saluto è giusto che ci sia chi ti è stato vicino nei momenti più difficili.
E pensando alla mia mamma e al mio papà ho ingoiato il rospo col parroco che chiedeva 50€ per la funzione.
Anche i sacramenti hanno il loro listino prezzi, esentasse e a nero.
Mi ricordo il funerale; non ho pianto, non lo sentivo necessario. Non ho visto chi c'era, chi mancava, com'era il paese.
Mi ricordo il rumore dell'avvitatore che piomba la cassa, l'odore di metallo che si salda, il singhiozzo lontano di mia nipote e mi ricordo bene, con gratitudine che non saprei quantificare,  paese, tutto, sul sagrato della chiesa, usciti dalla funzione.
Ricordi i saluti e le condoglianze di giovani e vecchi, dei miei compagni di classe.
Ho capito lì quanto la Nelly e il Mario fossero, siano ancora, benvoluti da tutto il paese e questo particolare lo ricordo più di tutti perché ho rivalutato tutto il mio paese.
Ricordo la voglia di caffelatte, tanto, caldo oltre il buonsenso, ma fatto da lei.
Come stamattina che di anni ne son passati dieci, cara Nelly.


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