Passa un po' sottotono, nascosta nei sottopancia dei telegiornali la notizia della scomparsa dell'ex presidente-padre padrone dello Zimbabwe, Robert Mugabe.
L'età lo poteva far presupporre, 95 anni, il luogo no, specie per uno dei rivoluzionari, colti, coraggiosi ed anche opportunisti insediatisi nei vari stati dell'Africa dopo lo stacco, doloroso o meno dagli stati europei, colonizzatori a mani basse del continente nero.
Mugabe, fatto scendere dal "trono" dal suo stesso popolo, per curare un mai specificato male ha scelto una clinica di Singapore, luogo lontano dalle proteste, dalla disoccupazione dei suoi connazionali. Che restano in fila speranzosi, per pane e medicine anche quando il tiranno è deposto.
Il suo è un filo rosso con tanti altri dittatori che a partire dagli anni '60 hanno rivoltato ed insanguinato l'Africa, dopo che l'Europa aveva deciso che nel continente non c'era più nulla da saccheggiare.
In ordine sparso, e purtroppo in tempi diversi, Amin Dada, Bokassa, Gheddafi, Sese Seko, dall'Uganda alle repubbliche dell'Africa Equatoriale, a Mugabe in Zimbabwe separato dal fiume Limpopo dal sudafricano Mandela.
Tutti dittatori cresciuti nelle scuole militari europee, Francia, Inghilterra e Belgio,e una volta riportati in patria, annusato il clima di oppressione lasciati soli a padroneggiare sul loro popolo.
Il filo rosso che avvolge le spoglie di Mugabe riporta diretti a Mosca e Pechino, eminenze grigie nello scacchiere africano, sia pure in epoche diverse.
Hanno sposato un socialismo particolare, interessati più ai rubli che ad altro. Ad accumulare ricchezze e nasconderle nei paradisi fiscali sparsi nel mondo.
Mosca ha formato e fomentato la rivolta degli africani, Pechino è arrivata anni dopo, scivolando dal suo isolamento in maniera decisa e lenta sul continente, prendendo di fatto in tanti stati il posto che fu dell'Europa. I giacimenti minerari africani sostengono il mercato della telefonia (cavi, batterie) e la Cina oggi del mercato mobile è padrona.
Di fatto, padrona di un pezzo importante di Africa.
Mugabe ha potuto spremere a suo piacimento il suo paese, quel paese che lo dapprima messo in carcere, come Nelson Mandela in Sudafrica, oltre il confine del fiume Limpopo.
Mugabe era insegnante, era un uomo colto e del popolo che si opponeva alla dittatura. Aveva studiato legge in Inghilterra come in India e nella Tanzania. Si era opposto al potere bianco ed era finito in carcere e in carcere li fu vietato di andare al funerale del figlio di soli tre anni.
Abbastanza per maturare l'idea di rivoltare la Rhodesia e farne uno stato libero, come Mandela dall'altra parte del fiume.
Sposò idee leniste marxiste e uscito lavorò alla costruzione dello Zimbabwe al fianco degli inglesi agli sgoccioli del loro dominio coloniale.
Era il 1980 quando l'oppositore, il detenuto, l'insegnante Robert Mugabe allungava le sue mani sul neonato Zimbabwe; un vento nuovo finalmente come paventava dalla prigione Mandela, un inizio per una nuova Africa.
Fu solo un'illusione.
E fu l'inizio di una dittatura dura e sconclusionato, figlia di idee ed ideologie appoggiate da regimi monopartitici, l'altro sogno di Mugabe.
Che fu visto come vento nuovo fino alla fine degli anni '80 quando la fine dell'apartheid, la liberazione e l'ascesa di Mandela ne offuscarono la stella.
Per lo Zimbabwe bianco, in minoranza ma ricco, fu l'inizio della resa dei conti con la popolazione di colore. Espropri e violenze, la morte come prezzo da pagare per uno Zimbabwe aperto sul futuro.
Azioni criticate da Mandela stesso, dagli Usa e dall'Europa, lesti a inserire Mugabe nella lista delle persone non gradite.
Tutti ad eccezione del blocco socialista e del Vaticano, da sempre un controsenso controverso nei suoi rapporti diplomatici.
Quasi che non fossero sufficienti atti di guerriglia, attentati, appropriazione di beni di uno stato intero, una politica interna che prevedeva lo sgombero forzato di quartieri popolari, ed una estera improntata sulle missioni militari attive in zone di guerra, a condannare un dittatore.
Anche la politica di Mandela sul lungo periodo ha portato violenza e disoccupazione ma non allo sbaraglio il Sudafrica intero.
Mugabe si, per quarant'anni ha dominato col pugno di ferro e le spalle coperte da Mosca e Pechino, decidendo di fatto le sorti del paese intero.
Ha accumulato ricchezza personale, ha riportato un popolo che agli inizi della sua dittatura era il meno analfabetizzato del continente nero allo sbando, al nuovo analfabetismo, alla disoccupazione, come dall'altra sponda del fiume Limpopo.
Per motivi diversissimi fra loro.
Oggi il vecchio dittatore di casa in Vaticano ma protetto dal socialismo, il massimo dei controsensi insomma, è morto nell'isolamento dorato di Singapore e dopo aver incassato una buonuscita milionaria, in dollari.
Era già un ricordo simile ad un pugno sullo stomaco per i suoi connazionali, ora sarà un ricordo da cancellare in fretta e furia, sorte triste toccata a tutti gli altri dittatori prima di lui.
Mugabe si è specchiato in Mandela e ha visto che questi era irraggiungibile, e fu l'inizio della fine.
L'età lo poteva far presupporre, 95 anni, il luogo no, specie per uno dei rivoluzionari, colti, coraggiosi ed anche opportunisti insediatisi nei vari stati dell'Africa dopo lo stacco, doloroso o meno dagli stati europei, colonizzatori a mani basse del continente nero.
Mugabe, fatto scendere dal "trono" dal suo stesso popolo, per curare un mai specificato male ha scelto una clinica di Singapore, luogo lontano dalle proteste, dalla disoccupazione dei suoi connazionali. Che restano in fila speranzosi, per pane e medicine anche quando il tiranno è deposto.
Il suo è un filo rosso con tanti altri dittatori che a partire dagli anni '60 hanno rivoltato ed insanguinato l'Africa, dopo che l'Europa aveva deciso che nel continente non c'era più nulla da saccheggiare.
In ordine sparso, e purtroppo in tempi diversi, Amin Dada, Bokassa, Gheddafi, Sese Seko, dall'Uganda alle repubbliche dell'Africa Equatoriale, a Mugabe in Zimbabwe separato dal fiume Limpopo dal sudafricano Mandela.
Tutti dittatori cresciuti nelle scuole militari europee, Francia, Inghilterra e Belgio,e una volta riportati in patria, annusato il clima di oppressione lasciati soli a padroneggiare sul loro popolo.
Il filo rosso che avvolge le spoglie di Mugabe riporta diretti a Mosca e Pechino, eminenze grigie nello scacchiere africano, sia pure in epoche diverse.
Hanno sposato un socialismo particolare, interessati più ai rubli che ad altro. Ad accumulare ricchezze e nasconderle nei paradisi fiscali sparsi nel mondo.
Mosca ha formato e fomentato la rivolta degli africani, Pechino è arrivata anni dopo, scivolando dal suo isolamento in maniera decisa e lenta sul continente, prendendo di fatto in tanti stati il posto che fu dell'Europa. I giacimenti minerari africani sostengono il mercato della telefonia (cavi, batterie) e la Cina oggi del mercato mobile è padrona.
Di fatto, padrona di un pezzo importante di Africa.
Mugabe ha potuto spremere a suo piacimento il suo paese, quel paese che lo dapprima messo in carcere, come Nelson Mandela in Sudafrica, oltre il confine del fiume Limpopo.
Mugabe era insegnante, era un uomo colto e del popolo che si opponeva alla dittatura. Aveva studiato legge in Inghilterra come in India e nella Tanzania. Si era opposto al potere bianco ed era finito in carcere e in carcere li fu vietato di andare al funerale del figlio di soli tre anni.
Abbastanza per maturare l'idea di rivoltare la Rhodesia e farne uno stato libero, come Mandela dall'altra parte del fiume.
Sposò idee leniste marxiste e uscito lavorò alla costruzione dello Zimbabwe al fianco degli inglesi agli sgoccioli del loro dominio coloniale.
Era il 1980 quando l'oppositore, il detenuto, l'insegnante Robert Mugabe allungava le sue mani sul neonato Zimbabwe; un vento nuovo finalmente come paventava dalla prigione Mandela, un inizio per una nuova Africa.
Fu solo un'illusione.
E fu l'inizio di una dittatura dura e sconclusionato, figlia di idee ed ideologie appoggiate da regimi monopartitici, l'altro sogno di Mugabe.
Che fu visto come vento nuovo fino alla fine degli anni '80 quando la fine dell'apartheid, la liberazione e l'ascesa di Mandela ne offuscarono la stella.
Per lo Zimbabwe bianco, in minoranza ma ricco, fu l'inizio della resa dei conti con la popolazione di colore. Espropri e violenze, la morte come prezzo da pagare per uno Zimbabwe aperto sul futuro.
Azioni criticate da Mandela stesso, dagli Usa e dall'Europa, lesti a inserire Mugabe nella lista delle persone non gradite.
Tutti ad eccezione del blocco socialista e del Vaticano, da sempre un controsenso controverso nei suoi rapporti diplomatici.
Quasi che non fossero sufficienti atti di guerriglia, attentati, appropriazione di beni di uno stato intero, una politica interna che prevedeva lo sgombero forzato di quartieri popolari, ed una estera improntata sulle missioni militari attive in zone di guerra, a condannare un dittatore.
Anche la politica di Mandela sul lungo periodo ha portato violenza e disoccupazione ma non allo sbaraglio il Sudafrica intero.
Mugabe si, per quarant'anni ha dominato col pugno di ferro e le spalle coperte da Mosca e Pechino, decidendo di fatto le sorti del paese intero.
Ha accumulato ricchezza personale, ha riportato un popolo che agli inizi della sua dittatura era il meno analfabetizzato del continente nero allo sbando, al nuovo analfabetismo, alla disoccupazione, come dall'altra sponda del fiume Limpopo.
Per motivi diversissimi fra loro.
Oggi il vecchio dittatore di casa in Vaticano ma protetto dal socialismo, il massimo dei controsensi insomma, è morto nell'isolamento dorato di Singapore e dopo aver incassato una buonuscita milionaria, in dollari.
Era già un ricordo simile ad un pugno sullo stomaco per i suoi connazionali, ora sarà un ricordo da cancellare in fretta e furia, sorte triste toccata a tutti gli altri dittatori prima di lui.
Mugabe si è specchiato in Mandela e ha visto che questi era irraggiungibile, e fu l'inizio della fine.
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