Martin Palermo, El Loco

Martin Palermo è tutt'ora in idolo per la Bombonera, il catino che ospita le gare del Boca Juniors, gli Xeneizes, squadra di Buenos Aires col DNA genovese.
È stato negli anni novanta e nel primo decennio del duemila un attaccante in grado di fare reparto da solo, all'Estudiantes della sua La Plata e coi gialloblù Xeneizes, di riempire la propria bacheca di trofei e di segnare la storia del suo club.
È biondo, è grande e robusto e non ha paura degli avversari. I tifosi lo chiamano "El Titan". 
Il calcio sudamericano è quasi rissa, Martin è pronto perché in fondo lui è di La Plata non di Buenos Aires, ha esordito nell'Estudiantes, club che rimanda ad antiche Coppe Intercontinentali trasformate presto in risse e caccia all'uomo.
Sa che per trasformare il pallone in gol non basta un dribbling o uno stacco di testa, servono spalle larghe, caviglie che resistono ai morsi cattivi dei difensori e fame.
La fame che ti brucia dentro.
È di origini italiane e con i biancorossi dell'Estudiantes esordisce nel calcio che conta. È la squadra della sua città e vi rimane dal 1991 al 1997, studiando come diventare un bravo attaccante, diventando uno dei prospetti più interessanti del calcio argentino.
Così interessante da catturare l'attenzione della squadra più forte di fine anni '90, quella che ha dato il via ad un progetto che sul lungo periodo dovrà condurla ad essere la miglior squadra del mondo: il Boca Juniors che ha ospitato le prime e le ultime gesta di Maradona, quella che ha lo stadio più bello, la Bombonera, quella fondata dai genovesi osservando la "Boca" del Rio della Plata.
È attaccante da spallate, da uno contro uno se non uno contro tutti, grezzo, da plasmare.
A plasmare un allenatore che è un vecchio attaccante, uno di quelli capaci di gonfiare le reti da una parte all'altra dell'Atlantico, Carlos Bianchi.
E Martin comincia a segnare, a vincere, non solo in Argentina, vince in Sudamerica la Copa Libertadores, vince nel mondo la Coppa Intercontinentale contro il Real Madrid, affondato con una doppietta.
Doppietta che gli allunga una mano e lo salva.
In mezzo ai due trionfi El Titan muta, diventa quasi uno scarto, un brocco, come se le spalle larghe, le botte, le reti segnate non fossero più nulla, ma non alla Bombonera, in tutto il resto dell'Argentina.
Alla Bombonera, sotto l'imponente muro di cristallo che ospita i palchi privato aveva ritrovato se stesso dopo che i legamenti saltati gli avevano impedito il salto alla Lazio, in Italia.
Martin Palermo è uomo capace di crollare, cadere al suolo e rialzarsi coi suoi muscoli come se nulla fosse, con nuove ferite da spolverare via, sa quale è la strada per casa.
La Bombonera è ai suoi piedi, El Loco lo sa.
Nell'estate europea del 1999 in Paraguay si disputa la Coppa America, lui è l'attaccante del ct Bielsa che deve rinunciare a Batistuta e Crespo.
"El Titan" è pronto, lotta e gioca, è un dio pagano col pallone fra i piedi. Non più solo alla Boca.
Il 3 luglio 1999 una nazione lo aspetta.
Allo Stadio Felician Caceres di Luque, Asucion, l'avversaria è di quelle toste, in rampa di lancio almeno da un decennio: la Colombia.
Arbitra tale Aquino e al fischio d'inizio non sa che anche lui stasera nell'inverno sudamericano entrerà nella variopinta storia del calcio.
Si, Colombia-Argentina secondo tabellone e sorteggio é nella storia del calcio.
Inizia subito bene per la nazionale di Bielsa, al 5' il signor Aquino fischia un calcio di rigore.
"El Titan" è alto, biondo e robusto. Sistema la palla sul dischetto, spazzandone via il gesso a grumi dalla superficie.
Fissa il portiere, sa che la rete è dietro di lui, indietreggia, una passeggiata al contrario che sembra non finire. Poi si blocca, guarda la palla incurante del portiere all'orizzonte e corre, colpisce la palla come un obice: traversa e via a perdersi fra la selva di braccia in tribuna.
Martin Palermo deve scuotersi, non se lo aspettava, lui che ne ha sbagliato pochi, pochissimi prima, quasi non ricorda.
Deve scuotersi perché i cafeteros assediano il portiere Burgos, cui per mole e indole è sempre meglio girare al largo.
Ma fra i due contendenti c'è un terzo inaspettato protagonista, l'arbitro. E son passati solo otto minuti. La Colombia con Cordoba non sbaglia e chiude il primo tempo in vantaggio.
Martin Palermo rientra in campo per primo osservando la tribuna che gli ha soffiato via il pallone.
Aquino ad inizio ripresa concede un rigore alla Colombia che Burgos blocca e tiene viva la sua squadra.
Le partite a volte sanno essere stregate, altre provano a ridarti quanto tolto. 
Accade a 15 minuti dalla fine. Il risultato non si schioda allora Martin Palermo carica a testa bassa, come un bisonte, ma il più sudamericano degli yankee lo atterra. Tutti guardano il signor Aquino che indica nuovamente il dischetto.
Martin afferra la palla incurante del ct Bielsa che sbraita verso il suo capitano, che ordina di fermarlo.
No, Martin non si ferma, ha perso sei mesi a star fermo con un ginocchio rotto, ora indossa la camiseta biancoceleste, nulla lo può fermare.
Il portiere Calero sembra più grande di quanto non sia in realtà, allarga le braccia per afferrare gli angoli e rimpicciolirla.
Martin è indifferente alle urla, alle scaramanzie del numero uno, ora è il suo Ok Corrado, duello nel duello e si mette idealmente all'angolo, prende la rincorsa dall'angolo più nascosto dietro il pallone e riarma il suo obice. 
Calero è incredulo, palla nuovamente alta a perdersi stavolta nella curva opposta.
"El Titan" rimane solo nella metà campo avversaria, in tutto lo stadio. È solo ad osservare i compagni che capitolano altre due volte sotto i colpi dei colombiani Congo e Montano.
Il tabellone dice Colombia 3 Argentina 0.
Il pallone in Sudamerica ha perso uno dei suoi dei che sembrava imbattibile.
Guarda la pelle pallida del calciatore e gli regala un ultimo bonus.
Martin corre palla al piede dentro l'area colombiana ma è stremato e al minimo contatto cade a terra.
Aquino vuole prendersi i titoli di coda di questa partita e fischia incredibilmente il terzo rigore per l'Argentina. Il quinto della gara.
La bolgia dello stadio si fa brusio poi silenzio. I calciatori guardano Bielsa che fissa la porta colombiana. Martin gioca con la palla tradendo la tensione allargando nervoso le narici. Non guarda nessuno, lui è "El Titan", vince le partite.
Non guarda la posizione di Calero, non gli importa. Sa che metterà quanta più forza in quell'ultimo tiro.
Calero intercetta con le braccia sulla sua sinistra.
Martin Palermo col terzi errore entra nella storia, l'arbitro Aquino coi cinque rigori concessi lo segue.
Fine.
Nessuno lo criticherà mai, almeno in pubblico. Bielsa però non lo convocherà più.
Solo Maradona ne loderà il coraggio.
Martin Palermo esce dal Paraguay col morale a terra pensando solo a tornare al Boca, a quell'Intercontinentale che lo rilancerà.
Torna pian piano si suoi standard cercando di non essere più quelli dei tre rigori sbagliati in una partita.
Accetta di volare in Europa, in Spagna, al Sottomarino giallo, il Villareal. C'è l'Europa da giocare, una buona vetrina.
Inizia bene Martin, arrivano i gol e proprio un gol gli costerà una frattura di tibia e perone. Il gol lo sblocca, ritrova nel boato dello stadio la fiducia della gente che crede in lui e lui è anche "El Loco", non può non condividere con loro la gioia, deve toccare le loro mani, sentire le loro voci. Si lancia verso la tribuna, esulta, esultano, il muretto di contenimento cede sotto la pressione.
Sulle gambe del Loco.
Sei mesi di stop cui seguiranno tre stagioni di alti e bassi, due prestiti, la serie B e la decisione che ha davvero bisogno della sua gente, della Boca, dell'asado cotto come quando era bambino a La Plata.
Abbandona l'Europa solo per il Boca, per diventarne il più prolifico cannoniere, per mettere ancora trofei in bacheca.
Martin Palermo va anche coccolato, protetto quando è in difficoltà; alla Bombonera tutto questo lo ha sempre trovato. Anche quando ad un passo dal record di gol, poi comunque raggiunto il 2 marzo 2010, deve fermarsi nuovamente sei mesi per via dei legamenti del ginocchio nuovamente saltati.
Quella nazionale lasciata nella notte amara di Asuncion torna presente con la nomina di Maradona a ct. Si deve andare ai Mondiali sudafricani 2010. Serve vincere che il girone non è iniziato bene e dopo tre sconfitte di seguito l'albiceleste affronta il Perù con l'unico obiettivo di vincere. 
A Buenos Aires, Estadio Monumental.
Martin Palermo è pronto ad entrare appena il vecchio idolo lo chiamerà con un semplice gesto.
"El Loco" arriva dopo un clamoroso gol di testa al Velez segnati da 40 metri.
Osserva Higuain portare in vantaggio i suoi. 
Non gioca bene però l'Argentina, vivacchia, il ct non ha un'idea di gioco ma buoni solisti e il giovane Messi non è ancora il Messi del successivo decennio.
Piove, il cielo sopra il Monumental non smette di mandare giù pioggia come se i peccati dell'Argentina di Maradona debbano essere lavati via.
Diluvia, a fatica la palla compie tre rimbalzi, schizza veloce davanti al giocatore se impatta nelle pozze, la maglietta pesa, diventa pesante il doppio.
Martin Palermo assiste impassibile come il suo ct al pari peruviano al 90°, la beffa alla massima espressione. Tocca a Martin, tocca ancora una volta a lui rischiare di rimanere nella storia assieme ad un flop.
Gli argentini non hanno forza nelle gambe; sprecano un corner che si perde sul lato opposto. Vi si avventa Di Maria fradicio da sembrare ancora più magro. Alza veloce lo sguardo ma la pioggia è fitta, impedisce di mettere a fuoco.
Lascia partire un rasoterra che schizza sull'acqua, entra in area urtando gambe, fango e scarpino.
Il pallone sa perdonare, è nella sua natura. 
In mezzo all'area a lottare spalla contro spalla c'è El Loco che aspetta.
Colpisce per ultimo quella palla viscida che entra in porta assieme al fischio dell'arbitro.
È 2-1 Argentina, è Sudafrica 2010.
È il boato del Monumental che eufemismo, sembra la Bombonera.
È il suo nome scandito da pubblico e speaker, urlato da Maradona, che non lo ha mai criticato, che lo rincorre, piange, lo abbraccia, lo ringrazia davanti ottantamila persone.
El Loco aspettava quella palla da dieci anni.
Alza il viso al cielo, ora può piovere quanto vuole, laverà via dieci anni, le lacrime e il fango dalla chioma bionda.
In Sudafrica il 23 giugno 2010 gioca l'ultima gara in nazionale subentrando al minuto 80, segnando al minuto 89.
Il pallone sa perdonare e ricompensare i suoi dei.
Martin Palermo si ritira nel 2011 per iniziare ad allenare ed insegnare come non abbattersi mai. 




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