Maurizia, che dipinge la sera

L'appartamento è piccolo, poco più di un mini appartamento, al piano terra di una palazzina anni '80 color grigio acciaio, costruita a ridosso della ferrovia.
Il portoncino è di legno scuro e mette l'ingresso ancora più in penombra.
Salendo i pochi gradini dell'androne si sentono i rumori del condominio; stoviglie che vengono lavate e riposte, pulizie, televisioni che rimangono accese solo per compagnia, il respiro silenzioso di chi ti osserva senza essere visto.
L'odore sulle scale è forte, punge in gola, sa di disinfettante industriale, di impresa di pulizie.
Il campanello interno rispecchia quello esterno, è semplice, neutro, popolare.
Un cognome in mezzo a tanti altri cognomi.
Il dito si posa veloce, furtivo quasi.
Come se una pressione più continua rappresentasse l'inizio di un rapporto più confidenziale.
Lei aspetta al piano rialzato, oltre la soglia, come tante altre volte in passato, sempre in silenzio, dietro la porta scura. 
Aspetta nella penombra, come buona parte della sua vita.
Solo una parte di capigliatura fa capolino, bionda.
Saluta silenziosa, quasi che una tonalità più alta disturbasse gli inquilini dei piani superiori.
Lei si chiama Maurizia, la sua vita è questa da tanti anni, da quando ha deciso lei che fosscosì.
È una signora piccola, poco oltre la cinquantina, ha gli occhi vispi, curiosi. 
Fino a pochi mesi fa divideva il piccolo appartamento con la madre, ora è sola.
È sola quando si alza il mattino e si prepara il caffè nella vecchia Bialetti annerita. 
È sola quando a piedi si reca al lavoro di segretaria dal vecchio avvocato.
È sola anche a pranzo quando ordina qualcosa di pronto al bar sotto l'ufficio.
Nel quartiere la conoscono ormai, è parte integrante di questa zona di Udine, casa e lavoro separati dal viale.
È sola Maurizia anche quando rientra a casa la sera e osserva.
Osserva il piccolo corridoio dipinto di rosso che conduce a tutta l'appartamento; come tutti gli appartamenti costruiti verso la fine degli anni '80 ha le porte delle stanze a vetri con quel disegno all'inglese tipico delle case di villeggiatura.
Il resto della casa è rosso, tutte le stanze tranne bagno e cucina che sono accesi di arancione e azzurro.
Maurizia ci sa fare coi colori, da sempre.
Da quando lo ha deciso lei, da quando aveva ancora i capelli neri, corti. 
Nel piccolo paese dove è cresciuta i pittori erano tanti e quasi tutti erano amici del suo papà. Di tele, colori, espressioni ne aveva sentito parlare sempre, aveva spesso chiesto al papà di accompagnarla nel laboratorio di questo o quel pittore. 
Gli occhi erano già vispi e già curiosi allora.
Osservava come le setole morbide dei pennelli si bagnassero appena del colore versato sulla tavolozza incrostata e come facilmente, con leggerezza lasciassero sulla tela la loro impronta.
Erano strisce, a lei sembravano strisce almeno, scure, chiare, di tanti colori che avevano impercettibili increspature nel loro percorso, come se toccandole con il dito potesse interpretarle.
Era colpita dai ritratti, quelli coi colori scuri. 
Aveva ritratto la madre, il papà, gli amici e dipingeva ore mentre studiava per diplomarsi e mettere nel cassetto il pezzo di carta.
Anche nel periodo trascorso su in montagna, verso il confine con l'Austria aveva stupito tutti con la sua arte.
Maurizia aveva deciso di fare crescere i capelli, contro la volontà del padre. Li voleva lunghi, voluminosi sulle spalle. 
Voleva vivere la sua vita a modo suo e dopo il diploma la decisione liberatoria di trasferirsi ad Udine, sufficientemente lontana dal paese, abbastanza per ripartire da zero con la propria vita.
Il paese le stava stretto ormai. Aveva l'idea , malsana per il padre, di esporre i suoi quadri in una galleria, far vedere quanto la pittura le appartenesse e viceversa.
Dipingeva per passione, ancora di più quando Franco entrò nella sua vita.
Fu amore improvviso, quell'amore che esplode fra le mani, che non ti lascia scampo.
Irrinunciabile, così aveva confessato a mamma Ida.
Lei aveva capito. 
Maurizia era cresciuta ormai e la strada ormai era segnata.
Mamma Ida avrebbe spiegato al padre, l'avrebbe aiutata lei a ripartire da Udine.
Piano piano aveva dato la sua impronta al piccolo appartamento; alle pareti le sue tele, un grande divano ad angolo nel salotto e colori caldi, quasi scuri, che la proteggessero.
Quella sarebbe stata la sua prima galleria personale.
Franco sembrava imbarazzato della decisione di Maurizia, in fondo lui aveva una moglie al paese, un lavoro e in fondo non l'amava più come prima.
Maurizia che aveva i capelli lunghi e neri, corvini, strinse le spalle, e decise di ignorarlo.
Sesso, solo sesso le aveva detto, con tutta la cattiveria del mondo in quelle due parole.
Maurizia non parlò, incassò quell'offesa e voltò le spalle per sempre a Franco e al paese.
Si divertiva a cambiare acconciature, colore di capelli, il vezzo dell'artista forse, la voglia di trovare il giusto equilibrio magari.
Le capitò per caso di trovarlo una sera, una di quelle sere che piove, che devi rincasare e non hai l'ombrello, l'auto, un passaggio.
Rientra a casa con l'avvocato, il suo datore di lavoro.
L'aperitivo è andato un po' oltre, Maurizia è stanca, pensa al quadro che deve finire, non si accorge dello sguardo dell'avvocato, delle mani rugose che lasciano un istante il volante.
Maurizia non ha paura però, sente le mani stanche dell'anziano, reagisce quasi per gioco; lui parla e la bacia, lo lascia fare. Fino in fondo.
È la prima volta, così, in quel modo, Maurizia respira forte rientrata a casa. Lascia le luci soffuse, solo una lampada vicino al bagno illumina il corridoio e le altre stanze.
Si spoglia, si lava e senza vestiti termina il quadro; le ultime pennellate sono di rabbia, i colori più densi, duri da stendere, come fossero pugni alla tela. 
Maurizia ha capito, da involontariamente ragione al papà e telefona a sua madre.
Spiega, la signora Ida l'aiuta, la capisce.
Maurizia compra stoffe, abiti nuovi e parrucche, colorate, tante.
Al lavoro rivede l'avvocato, ovvio, accetta qualche passaggio che finisce come il primo, lo sa anche lei da subito.
Una sera il vecchio avvocato le regala dei soldi, vergognandosi, scusandosi.
Maurizia ora ne ha la certezza. La strada.
Terminato il lavoro cambierà, si colorerà ogni sera in modo diverso, toglierà gli abiti da brava segretaria e sarà solamente Maurizia.
Cammina apparentemente distratta per strada, una signora a passeggio, muovendo più che il corpo gli occhi vispi. Che chi si avvicina vede, cerca.
A volte è un viaggio clandestino in qualche angolo sperduto di Udine, altre un caffè a casa sua.
Ora Maurizia è davvero se stessa, con la parrucca, si sente bene. Il mattino dopo, ogni mattino veste i panni della brava segretaria.
La sera diventa Maurizia, vince le paure mettendo in borsetta una pistola. Deve difendersi perché gli anni non regalano tranquillità. Quella arriva di notte, dopo l'ultimo bacio. Quando è buio e lei si spoglia di tutto e dipinge.
La gente dietro le porte bisbiglia, si da di gomito ma in fondo Maurizia non fa del male a nessuno, glielo ripete anche mamma Ida.
Il papà se ne va senza capirla mai.
Maurizia dipinge una tela grande, un metro per un metro, di nero, di blu, di marron, in viso indefinito e severo.
È il padre che la guarderà dalla parete accettando Maurizia, quello che ha scelto di essere.
Appende quel quadro scuro sulla parete porpora della stanza dove Maurizia incontra i clienti. 
Maurizia vede tanti soldi, tutti suoi, aiuta la mamma, lavora diligente e seria allo studio dell'avvocato e cambia parrucche. 
Non vuole un altro Franco, non si innamorerai più, se lo ripete spesso.
E vive, si sente viva e lo ripete spesso quando le si chiede come sta.
Gli occhi vispi non mentono mai.
Maurizia, in realtà si chiama Maurizio ha scelto la sua identità e la sua strada anni fa e nulla la spaventa.
È se stessa anche con un documento di identità un po'ambiguo.
Dipinge e lo fa ogni sera.


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