La felicità a volte è chiusa in una manciata di noccioline mentre un treno parte.
E il sogno è di essere a bordo e vedere oltre le baracche cosa c'è.
La felicità è chiusa in tante noccioline che Matsilela Ephraim vende alla stazione ferroviaria di Soweto, immensa baraccopoli nel Sudafrica in pieno apartheid. O meglio una Township, come gli Afrikaans che guidano lo stato chiamano le aree come Soweto, quasi a fare sembrare comoda una realtà scomoda.
Matsilela Ephraim vive a Soweto coi nonni, cui deve molto della sua vita.
Cresce con loro, nella loro casa nella township di Soweto, dopo che la madre lo ha abbandonato.
Matsilela ha un papà famoso a Soweto nonostante il regime segregazionista ne limiti le gesta. È un calciatore, uno dei migliori, con la maglia nera degli Orlando Pirates, club simbolo dei neri dei sobborghi.
Quando può lo segue agli allenamenti e sogna di vedere il papà alzare quanche trofeo.
Matsilela sa poco del calcio al di fuori del Sudafrica, l'informazione è immenso ai bianchi afrikaans. Sa che c'è un signore di colore di nome Nelson in prigione, su un'isola di nome Robben Island, che lotta per i diritti della sua gente.
Matsilela sogna guardando il papà Eric scattare su quel prato verde, ignorando quella cosa strana chiamata apartheid.
Eric è il capitano degli Orlando Pirates, sfida i bianchi anche se non potrebbe ma lo fa. Matsilela lo segue anche negli spogliatoi, diventa una specie di mascotte per il club.
Il padre è bravo, sa giocare la palla, la nasconde agli avversari, è un vincente.
Soweto per Matsilela è tutto il mondo, immondo che a otto anni, nel 1964 si rovescia e li colpisce come un pugno allo stomaco.
Eric guida la macchina, un privilegio per l'epoca. E proprio la macchina deciderà il suo destino e quello di Matsilela.
Eric muore in un incidente automobilistico e il figlio scopre quanto la lamiera dei tetti di Soweto sia fredda, dura.
Gli Orlando Pirates perdono il loro capitano, Matsilela il padre e poco dopo la madre che decide che non può farcela; affida Matsilela ai nonni e se ne va.
Il nonno insegna a Matsilela che il treno che parte e arriva nella grande stazione ferroviaria del ghetto può aiutarlo a guardare avanti, a cercare di capire fra gli sbuffi di vapore del treno quale può essere il suo futuro.
Il ragazzo capisce, e ascolta il nonno: venderà noccioline alla stazione.
Ai turisti, ai facchini, a chi le chiede. Da tutti i risparmi ai nonni: Soweto è casa sua, loro sono casa sua.
Dice al nonno che vuole andare al campo dei Pirates. Il nonno sa che su quel prato Matsilela incontrerà il cuore di Eric e lo accompagna.
Lui è il figlio del capitano non può che essere accolto come a casa.
È parte dello spogliatoio, pulisce le scarpe ai grandi, le panchine degli spogliatoi, si dà da fare e finito al campo corre alla stazione, corre veloce a vendere noccioline lungo i binari che ospitano le grandi carrozze nere e grigie.
Sogna di salire a bordo e andare, non importa dove ma sa che vuole vedere com'è il mondo oltre Soweto.
Prova ad entrare nelle giovanili degli Orlando e ha successo; si divide già fra le linee di centrocampo e attacco. Corre, nasconde la palla come Eric, sembra lui a volte, e calcia con potenza nonostante l'età giovane.
Calcia così forte che i compagni più grandi lo soprannominano Jomo, lancia fiammeggiante, in onore al keniota Jomo Keniatta, leader della lotta al colonialismo inglese.
Gioca e lavora Jomo, e cresce, diventa adulto e diventa titolare all'improvviso e diventa quasi subito titolare inamovibile della squadra cara ai tifosi di colore del Sudafrica.
Dribbla avversari come birilli, come quando giovane gazzella saltava da un binario all'altro per vendere noccioline.
Nella grande stazione di Soweto Matsilela ha letto qualcosa nei giornali letti dagli afrikaans di come il calcio lontano dal Sudafrica sia un movimento meraviglioso, in continua evoluzione come un'ondata culturale.
Matsilela ormai per tutti è Jomo, Jomo Sono il figlio di Eric e segna e fa segnare.
È senza dubbio il miglior giocatore del Sudafrica ma non rinunciando alla nazionalità sudafricana, trionfi e gesta rimarranno racchiusi fra i confini dello stato stesso, vittime della segregazione e dell'apartheid.
Il dribbling vincente Jomo lo compie proprio ai bianchi afrikaans, accettando le offerte e i dollari dell'americana Warner, padrona dei New York Cosmos, compagine impegnata nella Nasl, la lega maggiore americana.
È il treno che parte dalla grande stazione di Soweto.
Jomo nel 1977 raggiunge altri campioni come i brasiliani Pelé e Carlos Alberto, l'italiano Giorgio Chinaglia e il tedesco Franz Beckenbauer.
Gli Usa sono la parentesi che serve a Jomo per fare conoscere il Sudafrica, il football nella terra del rugby e del cricket. Lascia New York per il Colorado e Toronto e il ritorno in Sudafrica.
Si ritira nel 1982, campione affermato ormai.
Resta a Soweto però e decide di costruire la terza parte della sua vita proprio lì dove è iniziata.
Il ragazzino che vendeva noccioline diventa uomo d'affari; compra un club, l'HighlandsPark di Johannesburg e lo rifonda denominandolo Jomo Cosmos Football Club.
Jomo frequenta le township alla ricerca di ragazzi, non necessariamente calciatori. Recluta negli anni centinaia di giovani calciatori salvandoli dal destino crudele delle township fatto di vicoli bui e strade sporche e strette.
Nel 1987 vince anche il titolo nazionale e scopre anche due futuri pilastri dei Bafana Bafana, la nazionale sudafricana, come il nero Masinga e il bianco Fish, curiosamente in seguito entrambi ingaggiati da club italiani negli anni '90.
Jomo è tornato a casa, comprando una villa a Soweto per i nonni e per sé.
Continuerà a salvare giovani e a scoprire talenti anche quando il club attraversa un periodo di declino.
È ricco adesso Jomo, investe su palazzi e su giovani, edilizia e sport.
Vive a due passi dalla casa che fu di Mandela e caduto il regime afrikaans e il regime di apartheid a furor di popolo diventa, in due riprese, commissario tecnico della nazionale maggiore. Non vince trofei ma neanche sfigura ma non gode delle simpatie della classe dirigente.
Torna a Soweto, ora un quartiere più sicuro, alla sua gente e al suo sport.
Osserva giovani raccattapalle, piccole promesse. Vede ogni tanto le giocate di Eric, i suoi dribbling.
Vede il figlio, Eric Bhamuza, cercare di ripercorrere le orme del ladre e quelle del nonno.
Matsilela Ephraim Jomo Sono è il calcio sudafricano, è parte di Soweto e sul treno per andare lontano è riuscito a salire.
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