Finalmente marzo finisce anche se lascia spazio ad un aprile avaro.
Dopo l'esplosione del Covid-19, le prime restrizioni, le mascherine e le amuchina, il metro di distanza, marzo è esploso nelle nostre vite con la sua drammatica forza.
Ha dimostrato tutta la sua forza invisibile, capace di tenere nell'isolamento delle proprie case tre miliardi di persone nel mondo.
Ci ha strappato dal nostro quotidiano, ci ha via via tolto quello spazio per il quale ci siamo sempre un po'lamentati brontolando ma che in realtà era fondamentale, era tanto.
Ha lasciato chiuse migliaia di attività, facendoci entrare in code lunghissime soli per poter parlare con l'edicolante.
Ci ha abituati a conferenze stampa quasi quotidiane che ci hanno fatto capire due cose:
una che questo governo sta facendo quanto possibile per superare questa emergenza, due che questo governo non è il massimo.
Un controsenso? Si, purtroppo è così.
Basta vedere quanto Roma sua slegata dalle Regioni e quanto alcuni personaggi politici di questo mondo politico a Covid-19 lontano dovrebbero lasciare, andare, con buona pace di tutti.
Arriva aprile con gli stipendi dimezzati, con un popolo in cassa integrazione e i pochi che hanno mantenuto attivi il lavoro esasperati da continui cambi di orario, autocertificazioni, decreti e decretini.
Lascia, marzo, spazio ad una maggiore incertezza, ad una paura che i primi giorni di quarantena tricolore sembrava lontana.
Sembrava bastassero flash mob, musica dal balcone, post sui social. Sembrava.
Sembrava dovessimo stare ad ascoltare le polemiche politiche di questa e quella parte, per altro a parere mio completamente fuori luogo, inutili adesso.
Adesso la precedenza è il rispetto e l'unità, la stessa che guardiamo sventolare nel tricolore a mezz'asta, oggi 31 marzo.
Aumentando la contabilità drammatica del virus è aumentato forse il disagio di apparire, di buttarla troppo in ironia. È aumentato il senso di angoscia per le cose di mezzi militari pronti a portare lontani i defunti per riportarli poi in urne piccole piccole. Soli.
Ecco, la drammatica realtà parla pure di questo: chi è morto è morto senza i propri cari vicini; se ne sono andati così tanti colleghi, vicini, amici. E tantissimi, troppi, nonni. Una generazione intera di nonni, a casa loro o nelle drammatiche case di riposo, soli ancora una volta.
Aprile arriva così, con il picco vicino, con una cifra incredibile di decessi come si fosse in guerra. Arriva accompagnato da bora e tramontana e qualche spiraglio di positività che si fa strada nella lotta contro il virus.
Si apre però anche con la forza di noi italiani, volontari, operai specializzati e alpini (si gli stessi che spesso vengono criticati), che in quindici giorni hanno reso operativo un ospedale dove prima c'era una Fiera.
Stiamo provando a fare da soli, motto che qui dove in Friuli ha spostato il mondo, lo ha ribaltato e se lo è ripreso dopo il sisma del '76, senza quella UE che della Comunità Europea non ha proprio nulla. Non più almeno.
C'è stata la ressa delle mascherine bloccate alle frontiere, Commissioni Europee incapaci di gestire una situazione del genere, nazioni di li gua tedesca, ma non facciamo nomi, che hanno blindato in nome dell'UE solo il loro Bund...
Tutto questo, noi che siamo italiani, non lo dimentichiamo; domani noi saremo ancora la meta più ricercata, torneremo ad essere ottimisti e a testa alta, ma senza scordarci di chi ci ha aiutato e chi no.
Colpiscono le equipe di medici cubane ed albanesi che vengono a darci aiuto.
Popoli che spesso abbiamo aiutato noi materialmente. Piccola spia che la riconoscenza soggiorna altrove e non a Bruxelles.
Aprile a me, apre anche una riflessione: se a 65 anni ora si è considerati anziani, da tutelare, da tenere a casa, perché fino al 12 marzo (e temo anche da quando si potrà uscire da questa quarantena) si doveva timbrare il cartellino, andare in fabbrica o al cantiere?
Fossi in Conte metterei già in agenda per il dopo una sana riforma delle pensioni.
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