Per motivi strettamente personali, come giusto che sia d'altronde, non sono cattolico, non sono proprio religioso.
Come tutti i bambini cresciuti fra gli anni '70 e '80 ho ricevuto i sacramenti certo, più per obbligo familiare che per mia convinzione.
Obbligo materno senza dubbio ma nel mio caso il rapporto casa-chiesa è basato unicamente sulla fede che mia madre portava dentro per andare avanti nel suo percorso clinico.
Io a distanza di anni dalla mia infanzia sono diventato ateo, in proprio se così si può dire, dopo il mio percorso personale.
Ho sempre guardato alla Chiesa con interesse e distacco; la prima per le malefatte e i giochi di potere presenti/nascosti in essa, la seconda perché appunto essendo ateo sono indifferente a crocifissi, tuniche e affini.
Ora però questo mondo qui è qualcosa che nessuno si aspettava, nessuno si poteva immaginare.
È entrato nelle nostre vite un nemico invisibile, subdolo e per tipologia di contagio democratico, che non siamo in grado ancora di sconfiggere ma solo di contenere a fatica.
E nello sconforto totale di un mondo chiuso in casa, con una quotidianità modificata a tutti i livelli, si cerca pace, conforto, serenità in ciò che si crede.
Ecco, se dovessi pensare ad un'immagine che assieme ai camion militari di Bergamo carichi con le bare dei morti di Covid-19 identifichi subito la gravità del momento, scelgo la solitudine di Papa Francesco.
Il mondo cattolico e non, ha assistito in diretta TV alla preghiera plenaria celebrata da Bergoglio come sommo appiglio contro il virus.
Più della preghiera in sé, cui non ho assistito, a colpirmi però nei servizi dei media, è l'immagine di Bergoglio solo, abbracciato sotto la pioggia dall'immenso colonnato del Bernini.
Chi è stato a Roma sa quasi automaticamente quanto sia immensa Piazza San Pietro.
Vedere Papa Francesco, affaticato e claudicante, risalire verso l'altare da l'idea di come in questo momento siamo soli.
Un gesto di grande solitudine che non può passare inosservato.
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