Metti una sera in quarantena, Italia-Brasile


Il 5 luglio del 1982 avevo otto anni e mezzo, ero in vacanza come buona parte dei miei connazionali e come tutti i miei connazionali ero davanti alla televisione, anche se non era ancora ora di cena, c'era ancora sole e caldo e le spiagge erano piene.
Anche il papà era tornato prima dal lavoro, da uno dei tanti cantieri edili che fioriscono in estate.
Era una cosa strana ma davanti alla televisione tutto si chiariva.
Il 5 luglio del 1982 tutta l'Italia alle 17:15 avrebbe voluto essere altrove, ma non un altrove a caso, secondo i gusti di ognuno, no. Tutti chiusi in un catino di Barcellona, Spagna, che al massimo tiene 44 mila persone chiamato Stadio Sarriá.
Perché? 
Si gioca la seconda e ultima partita del secondo turno eliminatorio del Mundial spagnolo. Sei giorni prima gli Azzurri si sono imposti 2-1 contro l'Argentina di un Maradona in rampa di lancio ma non ancora Pibe de Oro. 
È in fondo la partita che rappacifica gli azzurri con i tifosi dopo le fatiche del primo turno eliminatorio.
Il Brasile però ha una squadra forte, fortissima, favorita, favoritissima, tanto che noi sembriamo l'agnello sacrificale ideale.
Però il calcio è bello perché è rivoluzionario, con un gesto atletico, un'idea che diventa arte, Davide sconfigge Golia.
E io sono sul divano di pelle, rumorosissimo, col papà uscito prima dal lavoro. Sorseggia la solita birra, Dreher, e io osservo. Un po' la tv, un po' lui. Ho capito che se se vinciamo, quasi quasi possiamo sperare di arrivare in finale. Così almeno mi ha raccontato il papà.
Quel giorno lì succede tutto quello che il calcio può fare vedere su un campo da calcio. 
C'è un'Italia che tifa, colorata, assordante, c'è un a squadra che gioca a testa alta, che guarda gli avversari negli occhi, e quel Brasile lì era forte davvero. C'è un attaccante finora spuntato di nome Paolo Rossi che comunque la tocchi, fa gol. C'è Zoff che sembra non faticare mai.
C'è dall'altra parte un portiere che il Brasile in fondo non considera, che non reputa utile alla causa; non svetta come Zoff, è piccolo, quasi calvo con un accenno di riporto. 
Valdir Peres, questo il suo nome, è il volto che il Brasile appone alla Tragedia del Sarriá. È il volto che appare incredulo e sofferente dopo ogni gol di Paolorossi, dopo il Sarriá eroe di tutti noi.
La voce di Nando Martellini è squillante, gioiosa, arriva fino al mio divano. Abbraccio papà ad ogni gol, cerco il suo conforto sicuro quando i brasiliani accorciano le distanze due volte.
Ecco, il mio 5 luglio 1982 continua dopo le 19 in strada a fare il tifo per l'Italia e ad urlare la mia gioia. Papà no, rimane sulla finestra ad assaporare il fresco del terzo piano e una nuova Dreher.
Ieri sera dalla quarantena cui siamo tutti obbligati ho fatto zapping fra i canali tematici in pura carenza da sport mi sono fermato su RaiSport, una certezza sempre.
L'info della mia TV indicava l'inizio di un programma basato sulle gare degli azzurri che hanno segnato lo sport, tutto lo sport.
E ieri sera mi sono trovato steso sul divano a rivedere Italia Brasile, 3-2, con le stesse sensazioni leggere di allora e la gioia della voce di Martellini nelle orecchie.






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