In che fase siamo precisamente ora?
Come dobbiamo interpretare oggi le nuove aperture autorizzate dal governo Conte? E quanto hanno influito su questa scelta apparentemente sofferta, le continue "tirate di giacca" cui industriali e commercianti hanno sottoposto il governo nell'ultimo mese?
Quando questa prima parziale fase di apertura sembrava ancora lontana sono spuntate sui vari organi di stampa nazionali e regionali interviste più o meno mirate, a grandi imprenditori di tutti i settori. Tutti ovviamente contrari alla serrata di stato e tutti si sono sentiti in dovere di mettere sul chi va là ministri e premier sulle ricadute tremende che lo stop forzato avrebbe avuto sul PIL nazionale, suo contratti nazionali ed affini.
Parole tecniche dette però dai soliti noti, quelli la cui voce ha un peso un po'più specifico.
Tristemente non si è sentita così tanto la voce dei sindacati, coinvolti evidentemente in trame che agli iscritti sfuggono.
E mentre più o meno tutti i lavoratoti, dipendenti e partite Iva, hanno cercato invano rassicurazioni dall'Inps, ente statale prossimo al tracollo economico, il premier Conte all'ennesima conferenza stampa ad uso e consumo delle masse, gettava sapientemente fumo negli occhi annunciando entusiasta che qualche attività poteva riaprire.
Che la Fase due a breve avrebbe avuto inizio se tutti si continuava a rispettare le norme di prevenzione.
Perfetto tutto, giusto ma qual'è il criterio con cui si è deciso quale codice ATECO avrebbe potuto aprire? E come mai in pochi giorni molte aziende sono state autorizzate a cambiare il proprio codice?
Fra tutte le attività che hanno avuto il permesso di aprire, sia pure a regime ridotto di orari e personale, è comprensibile l'autorizzazione per chi cura boschi, verde, fabbriche ma i negozi di abbigliamento per bambini? E le librerie, perché la scuola comunque vs avanti?
È un grande punto interrogativo.
Mi spiego.
Dopo quaranta giorni che viviamo barricati nelle nostre case, che anche l'Eurogruppo si riunisce in chat, succede che il mondo del tessile, della moda urli la propria difficoltà e una sera in tivù il premier da il sospirato ok in diretta.
I dubbi su quanto pensate e soppesate siano queste decisioni sono sempre tanti e l'operato di questo governo alimenta la cosa.
Il controsenso maggiore riguarda l'effettiva necessità di aprire le librerie, come se ci si fosse accorti che le scuole continuano con la didattica solo adesso, che solo ora possono servire libri e quaderni (studi, architetti, avvocati ed insegnanti hanno continuato a lavorare, quindi libri e volumi servivano anche prima, non solo ora), che solo ora i vestiti per neonati e bambini sono indispensabili.
Giusto, ma servivano anche prima e soprattutto non è così ben pensata come sembra; rimane in vigore almeno fino al 3 maggio il divieto di lasciare il proprio comune di residenza se non per comprovate esigenze o per motivi di lavoro.
Giusto ancora ma i suddetti negozi che hanno la loro sede in un comune, ad esempio, di soli diecimila abitanti davvero sperano di "fare l'incasso" in questo momento? Davvero si punta su queste aperture per ripartire? Ha davvero senso?
Non era meglio dare il via ad un ripristino delle attività graduale, con in primis la sanificazione delle aree comuni e di vendita, consegna di adeguati DPI a dipendenti e clienti, messa in sicurezza di entrambe le parti? Non dimentichiamo che molti negozi hanno dovuto chiudere "in fretta e furia" e al momento della riapertura ci saranno negli scaffali gli articoli invernali, pasquali.
Si sarebbe potuto, forse dovuto, usare i giorni dal 15 aprile al 3 maggio per fare lavorare i dipendenti in cassa integrazione sul ripristino e sulla pulizia dei negozi e dal 4 maggio si poteva riaprire le varie attività con una parvenza di normalità, sicuramente contingentando gli ingressi nei punti vendita, altra soluzione valida in più o meno tutte le categorie merceologiche.
Invece, peccando di fretta il governo ha partorito un decreto palesemente sbagliato che a conti fatti non serve. La Fase due è ancora lontana, la Fase uno prosegue a fasi alterne, piena di decreti e incomprensioni.
E l'incomprensione più grande tocca le tasche della stragrande maggioranza degli italiani che aspettano l'Inps per poter respirare un po', forti delle promesse annunciate alla solita tivù dal premier Conte che entro il 15 aprile tutti avrebbero ricevuto la cassa integrazione.
Dimenticava il premier che l'Inps posa su un buco di svariati milioni di euro.
Un dettaglio trascurabile a detta del premier che non ne ha fatto proprio menzione, in nessuno dei suoi interventi mediatici.
Siamo sicuri che arrivare a maggio con questa situazione sia la soluzione ideale?
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