Shizo

La storia di Shizo è una storia di sport e di codice morale. Non facile da capire forse oggi, ma spostata all'indietro nel tempo, quando effettivamente è successa ha il suo senso più pieno. È una storia che spesso sfugge quando si parla di Olimpiadi, dei protagonisti delle varie discipline. Sfugge perché forse è poco mediatica, è figlia di tempi lontani in cui anche il calcolatore non esisteva.
È però, una storia che va letta, capita, per capire un mondo all'epoca lontanissimo dall'Europa.


La distanza necessaria per raggiungere Stoccolma partendo da Tokyo a volte può richiedere 54 anni, una vita e un mondo completamente nuovi.

Il 1912 vede i proclami di revanscismo, di ribellione ancora relativamente lontani, ai confini dell'Europa, e la disputa della V Olimpiade dell'era moderna.
La città scelta dopo la buona riuscita dell'edizione precedente di Londra nel 1908 è la capitale svedese Stoccolma, ritenuta la città più idonea per ospitare una manifestazione del genere.
Se politicamente il mondo così come lo si conosce è nella sua fase terminale, che culminerà nell'attentato di Sarajevo contro l'arciduca Francesco Ferdinando d'Asburgo e il successivo scoppio della Prima Guerra Mondiale, il mondo sportivo è in pieno fermento, figlio della passione di tanti giovani e della brillante idea del barone De Coubertin.

Stoccolma è la città ideale si pensa, per ospitare quindi la quinta edizione dei Giochi Olimpici. È abbastanza lontana dai sempre presenti giochi di potere ed è considerata climaticamente adatta a disputare le gare nei mesi estivi. A suo modo è la continuazione dell'edizione inglese visto che numerosi atleti nel villaggio olimpico svedese si conoscono, addirittura sono amici. 
Storica la prima volta della Russia e delle rappresentative più lontane come Sudafrica e Giappone, all'esordio nella competizione sportiva.

E il Giappone Imperiale ancora non ha una precisa cultura sportiva, né una visione tale dello sport da potersi aprire al mondo.
Succede qualcosa però nel 1911. Ancora una volta l'idea è del barone De Coubertin il quale coltiva la sua idea nobile di sport e cerca di condividere il suo credo anche in questi paesi dove lo sport ancora è disciplina sconosciuta.

Il barone è un convinto sportivo, ha la passione per il rugby ma soprattutto è un ottimo pedagogista, uno studioso che crede nello sport, nella sua capacità di rigenerare le generazioni future. Le scoperte archeologiche di reperti delle Olimpiadi antiche daranno il la all'idea del barone di reinventare le stesse con più discipline.

A Tamana, nel sud del Giappone Shizo Kanakuri guarda la baia che divide il suo paese da Nagasaki, appoggiata sull'orizzonte davanti a lui.
Corre sulle colline di ciliegio quando lo studio glielo consente; è piccolo di statura e molto esile.
È il 1911 quando Shizo legge su un giornale di Tamana che le Olimpiadi di Londra hanno avuto successo e che il loro creatore, il barone De Coubertin ha invitato il preside dell'Università di Tokyo, Jigoro Kano a creare una squadra di atletica per le Olimpiadi svedesi.
Kano condivide le idee sportive del barone e con il consenso dell'imperatore in quel 1911 crea l'Associazione Giapponese degli sport amatoriali.

L'Imperatore sa che il mondo così come è conosciuto è destinato a cambiare, anche se da Tokyo, dai giardini pieni di crisantemi gialli e bianchi non sembra possibile. Autorizza la creazione di una delegazione sportiva, autorizza Kano a mettere annunci sui giornali, così che tutti i giovani giapponesi, anche quelli che non studiano, possano partecipare alle selezioni.

Shiro adora correre, si allena sue colline di ciliegio che guardano la baia. Correndo ripensa all'articolo letto. 
Corre fino a casa, si toglie le scarpe prima di entrare e si inchina davanti al padre. Racconta di quella richiesta che il Giappone fa a tutti i giovani. Vuole che il padre sia orgoglioso di lui, come lo sarà l'imperatore.
Nel 1911 Shiro partecipa alle selezioni e corre così bene che convince il signor Kano a farlo entrare nella delegazione che l'estate successiva andrà in Svezia.
È bravo, veloce, scatta subito alla partenza e non rallenta se non all'arrivo.
Di 92 ragazzi che hanno risposto alla selezione solo due convincono il severo Kano; Shizo e Yahiko.

Il 1911 di Shiro sarà dedicato tutto alla preparazione atletica; il fatto che lo stesso Imperatore punti molto sulla presenza olimpica del suo paese lo dimostra l'autorizzazione che il Ministero dell'Istruzione invia all'istituto frequentato da Shiro e Yahiko. I due avranno diritto a saltare alcune ore di lezione al giorno per prepararsi al meglio.
I due ragazzi si allenano in maniera scrupolosa, mettendoci anima e cuore per l'onore del Giappone e soprattutto dell'Imperatore.

Stoccolma da Tamana dista qualche giorno di viaggio e non tutti in Giappone conoscono la Svezia, l'unica cosa sicura è che la delegazione giapponese non ha tutti i fondi necessari per raggiungere il paese scandinavo.
Il signor Kano e la sua associazione non hanno tutti i fondi necessari per una spedizione di tale portata e inventa, con l'autorizzazione dell'Imperatore, una raccolta fondi per permettere a Shizo e Yahiko di raggiungere la capitale svedese.

Capitale che si sta aprendo al mondo, uscendo dalla sicurezza fredda della realtà scandinava. Nella scelta di quale città dovesse ospitare i Giochi del 1912 non ci furono altri candidati se non la capitale svedese che si presenterà al via offrendo al mondo un gioiello organizzativo, sportivo e non, molto raro agli albori del secolo scorso.
Shizo non parteciperà alle corse veloci, lui studia e si allena sulle distanze; non sanno bene, lui e il signor Kano come impostare una gara impegnativa come la maratona, massacrante a qualsiasi parallelo la si disputi, di più in un ambiente così diverso da quello di Tamana, cui il vento della baia regala inaspettate folate di fresco che il piccolo ed esile Shizo sente sul viso in ogni allenamento.
Profuma di mare e ciliegio.
Shizo si allena meglio che può, con costanza giapponese, per rappresentare al meglio l'Impero.
Corre sui falsopiani di terra, salta le radici che ogni tanto fuoriescono dal terreno come a respirare il vento della baia.
Corre, e studia.
I fondi alla fine il signor Kano li trova, ci sono.
Shizo può continuare a correre, a migliorare il ritmo della sua corsa con l'obiettivo di essere pronto, perfetto il 14 Luglio 1912, giorno della maratona.
Shizo si applica con costanza tutta giapponese tanto da diventare uno dei migliori atleti del suo tempo. Alla partenza dei Giochi il record mondiale della maratona con il tempo di 2h 32m e 45s sarà detenuto proprio di Shizo.

Il viaggio degli atleti giapponesi è qualcosa che oggi rappresenta un enorme dispendio di risorse economiche e fisiche. 
Il primo tratto è in treno, partendo da Shinbashi, nel distretto della capitale Tokyo, per raggiungere Tsuruga, paese appena più a nord, da dove in nave avrebbero raggiunto la sovietica Vladivostok.
L'arrivo nella città sovietica significò il primo contatto con il continente europeo, sia pure nei suoi confini più estremi, e il primo contatto con un clima decisamente diverso da quello di Tamana.
Shizo osservava il paesaggio cambiare con una velocità che a lui era sconosciuta. 
A Vladivostok la delegazione giapponese era salita a bordo del treno che percorrendo tutta la Russia nella sua lunghezza, raggiungeva Mosca: la Transiberiana mostrava a Shizo,vai suoi occhi curiosi di studente e atleta quanto potesse cambiare il mondo, nei tratti somatici, nella lingua anche all'interno degli stessi confini .
È un viaggio immane di diciotto giorni, diciotto giorni in cui il giovane atleta Shizo, esile e curioso, osserva come il mondo oltre i confini imperiali sia grande, diverso, a volte contraddittorio. 
Arrivata a Mosca in condizioni fisiche precarie a causa dello scarso approvigionamento di cibo e le notevoli difficoltà di acclimatamento, la delegazione giapponese sa che Stoccolma ormai è vicina.

Mentre i Giochi entrano nel vivo dopo la cerimonia inaugurale, Shizo si allena per la maratona su tutte le superfici disponibili, pista e terra. Corre osservando i boschi di abeti e betulle che osservano lo osservano da dietro le tribune. L'aria di Stoccolma non profuma di mare come a Tamana, il mare è lontano, le colline che circondano la città trattengono l'umidità nell'aria e a Shizo l'aria di Stoccolma sembra profumare di bosco.
Aspettando la maratona del 14 Luglio Shizo vede il compagno Yahiko impegnarsi nelle gare di velocità; non andrà bene perché il piccolo giapponese nulla può contro atleti dalla struttura fisica più esplosiva e più allenata.
Shizo e il signor Kano applaudono orgogliosi anche gli insuccessi del connazionale.

Il 14 Luglio 1912 la perfetta macchina organizzativa svedese dimostra nello specifico pecche che cerimonia, la convivialità degli atleti aveva mascherato.
La gara più dura dei Giochi, nel 1912 e in tutte quelle successive, inizia sotto il sole afoso di Stoccolma alle 13.48, l'ora più calda e meno adatta alla corsa.
Shizo sulla linea di partenza osserva gli avversari più competitivi in quella gara, i sudafricani Mc Arthur e Gitsham, l'americano Strobino e il portoghese Lazaro.
Shizo allarga le narici, inspira l'odore del bosco che stavolta non è leggero come i giorni precedenti, è pesante, appiccicoso. 
Al via della corsa Shizo prova a pensare alla brezza fresca di Tamana e inizia la sua corsa.
È piccolo, gracile, i capelli neri e folti, se non fossero gli occhi e l'assenza di baffi, la folla lo potrebbe confondere con il portoghese Lazaro.
Il giovane giapponese imposta la sua gara all'attacco anche se l'ora, la mancanza di rifornimenti voluti dall'organizzazione danno subito l'idea di quanto sarà difficile la gara.

Shizo corre forte, come se tutto il Giappone spingesse le sue gambe esili. È suo il record del mondo, non può impostare la gara sulla difensiva. Corre Shizo, fingendo di correre sulle colline di ciliegio.
È una gara difficile che porta i 68 partecipanti fuori dall'area comunale di Stoccolma, dove i boschi sono più verdi e densi e l'aria si fa più pesante, dove Stoccolma diventa Sollentuna, paesino piccolo, fatto di casette basse e colorate, patii e giardini fioriti.
È una gara drammatica, la più drammatica di sempre, destinata a finire nella storia per l'evidente incompetenza degli organizzatori della gara e per la precarietà con cui gli atleti si allenavano.
I ritiri a causa del caldo e della fatica sono numerosi, drammatici (pagherà con la vita questa situazione paradossale il portoghese Lazaro).
Mc Arthur controlla la gara nel gruppo di testa, con vicino il connazionale Gitsham. Non sono partiti forte, forse per l'abitudine al clima più caldo.

A 12 km dall'arrivo Shizo entra a Sollentuna stanco ed assetato. Sente le gambe esili farsi più pesanti dei tronchi, l'aria bruciare dentro la gola. Osserva le file di case basse ed ordinate farsi meno colorate, più offuscate. Corre un po' più forte, quasi rallenta, come se il Giappone avesse smesso di spingerlo. 
Si ferma, cammina, respira a fatica, si appoggia al bordo di un patio.
Sente una voce di donna parlargli ma non capisce. Ne sente il tono, dolce, affettuoso.
Shizo ha le mani sui fianchi e una smorfia sul viso. 
Vede la signora porgerli un bicchiere con del liquido colorato, col colore molto acceso.
Vede il bicchiere fare la condensa, è una bibita fresca, Shizo lo accetta, la gola gli brucia. Beve piano quel succo di frutta che la gola secca non gli fa capire cos'è. Shizo con gli occhi stretti ringrazia quella signora ferma sotto il patio. Vede che gli indica una sedia di legno intrecciato.
Shizo è stanco, ha i crampi, pensa. Capisce che la signora lo sta invitando a sedersi in po', il tempo di riprendersi dai crampi.
Shizo accetta, si siede.
L'aria sotto il patio ricorda quella leggera e fresca di Tamana.

A Stoccolma, allo stadio Olimpico arrivano al traguardo 33 dei 68 partecipanti alla maratona, vince l'oro il sudafricano Mc Arthur. Lo stadio applaude ma poco dopo arriva la notizia che il portoghese Lazaro non ce l'ha fatta.
È la medaglia più triste dei Giochi.
Metà degli atleti si sono ritirati, applaudono il vincitore e la memoria dell'atleta defunto ma qualcosa all'organizzazione non torna.
Un numero. 
Il signor Kano chiede ai commissari un'informazione che non trova risposta.
La delegazione del Sol Levante è presa dallo sconforto, non può essere vero.
Il Comitato Organizzatore accompagna il signor Kano dalla polizia, solo lì l'allenatore giapponese può trovare risposta.
Che però non arriva, neanche quando scende la sera su Stoccolma, neanche quando la delegazione giapponese ricomincia il viaggio che la riporterà nel Giappone dell'Imperatore.

Shizo sta pensando a quando rientrava a casa dopo gli allenamenti, a quando ha deciso di diventare maratoneta e ha corso la maratona più veloce di tutti. 
Sta pensando a quando ha visto la grandezza della Russia dal finestrino di un treno. Un paese solo e tante lingue diverse come la voce che ora gli parla.
Shizo di sveglia seguendo quella voce, la gola non gli brucia più. Non c'è più il caldo appiccicoso di prima.
Non c'è più il sole, Shizo non lo vede. È sera.
Si alza, di inchina a quella signora gentile e ricomincia a correre. L'aria è insolitamente fresca e Shizo si sente leggero.
Non va allo stadio, sa che ormai è chiuso, corre verso il villaggio olimpico e poi alla stazione ferroviaria. Subito.
Shizo vuol tornare a Tamana, anche se i diciotto giorni di viaggio dovrà affrontarli da solo.
Shizo ha accettato qualcosa da bere perché stremato dalla corsa, dal caldo atroce e dalla mala organizzazione svedese. 
Shizo ha accettato di riposare un istante solo e la fatica lo ha vinto, si è addormentato come un uomo normale, non l'atleta che detiene il record mondiale.
Shizo ha ceduto ed ha deluso il signor Kano e prima ancora il suo Imperatore. Troppo per la cultura ferrea del giovane giapponese.
Shizo rientra da solo per la vergogna, incurante di avvisare i suoi connazionali, della polizia svedese che lo sta cercando fra Stoccolma e Sollentuna.
Shizo rientra a Tamana, lontano da tutti, come fosse un estraneo, come se non avesse mai fatto parte della delegazione olimpica.

Shizo rientra a Tamana e continua a correre sulle colline vicino a casa, sotto i suoi adorati ciliegi. Corre e studia e insegna, diventa insegnante.
La sua materia è la geografia, come se quell'interminabile viaggio verso la Svezia fosse stato il singolare preludio alla sua carriera didattica, e la maratona un piccolo incidente di percorso.
Una maratona in cui in Giappone non di parla molto; il ragazzo rimane comunque nel mondo dell'atletica e lo scoppio della Prima Guerra Mondiale nel Luglio del 1914 lo aiuta a fare passare la vicenda in secondo piano.
Non però per la polizia svedese che lo inserisce nella lista delle persone scomparse.
Shizo insegna geografia e corre, addirittura otto anni dopo Stoccolma partecipa alle Olimpiadi di Anversa 1920 e Parigi 1924, senza però ottenere grandi risultati.
Shizo dopo la bibita di Sollentuna era andato avanti. Aveva scelto, rientrato a Tokyo di sparire nella sua Tamana, per scontare con l'oblio l'onta della vergogna.
Il signor Kano lo aveva ritrovato e reinserito nella squadra di atletica, non più come recordman ma semplicemente come atleta. Era ripartito dal basso e aveva iniziato una vita nuova.
Continuata nella sua nuova normalità anche dopo aver abbandonato la maratona.

Shizo si era sposato e non aveva più abbandonato Tamana e i ciliegi e il vento della baia; era diventato maestro alla scuola elementare e padre di sei figli.
Aveva continuato ad insegnare geografia ai bambini di Tamana, incuriositi dai racconti sulla Transiberiana, a come con un solo treno ci si potesse spostare da un continente all'altra e di come, da sportivo, potevi condividere una passione con persone di nazionalità diverse.
Shizo diventa anche nonno, di dieci nipoti, coi quali osservare la baia e più in là Nagasaki, sopravvissuta alla Seconda Guerra Mondiale con una ferita grande nell'anima.
La sua vita poteva continuare a scorrere suo binari del nuovo equilibrio se non fosse stato per il signor Söderlund.

Shizo per la Svezia dal 14 Luglio 1912 è rimasto un caso irrisolto, sempre in cima alla lista delle persone scomparse. 
Nessuno a parte il signor Kano negli istanti successivi alla fine di quella sciagurata maratona aveva più dato indicazioni utili.
Una vaga testimonianza l'aveva data la signora Petrè di Sollentuna che aveva dichiarato di aver soccorso un ragazzo dai tratti somatici asiatici lo stesso giorno della scomparsa di Shiro. 
Il ragazzo, ricordava la signora, età gracile, visibilmente disidratato. Ricordava che il ragazzo aveva bevuto un succo di frutta e si era addormentato fino a sera, quando poi lo aveva visto ripartire verso Stoccolma di corsa.
Pochi elementi per poter ritrovate in tempi veloci una persona, anche se asiatica in terra scandinava.
Le due Guerre Mondiali aiutarono la polizia a non indagare più nonostante la foto di Shiro in cima alla lista delle persone scomparse.

Nel 1962 la Svezia decide di commemorare i 50 anni da quell'Olimpiade con una manifestazione e servizi a mezzo stampa.
Oscar Söderlund è un giornalista, curioso come altri nel suo lavoro. Sa, per aver seguito altri casi, che non può esserci commemorazione di quei Giochi senza accostare alla drammatica fine di Francisco Lazaro, l'epopea del decatleta Jim Thorpe (definito l'atleta olimpico più forte di sempre) al mistero di Shiro Kanakuri, recordman dell'epoca.
Sfoglia giornali, si attacca al telefono che nel frattempo aveva un po' accorciato le distanze nel mondo, e scopre seduto alla sua scrivania dove di trova il signor Kanakuri.
Sorride Oscar della conclusione di quella misteriosa vicenda: Kanakuri era tornato a Tamana, per non lasciarla mai più.
Aiutato dalla polizia svedese interessata a chiudere il caso il giornalista di reca in Giappone, parla con Shiro, piccolo e gracile come nel 1912 ma col sorriso e i capelli del nonno, non più dell'atleta.

Shiro è umile, intelligente rispettoso del suo paese, della sua cultura e prova a spiegare allo svedese che non avrebbe dovuto accettare il succo di frutta e la poltrona per riposare, che così facendo aveva deluso il proprio paese, quell'Imperatore che lo aveva spinto a partecipare ai Giochi.
Spiega, tenendo le mani sulle ginocchia senza mai distogliere lo sguardo dal giornalista svedese, che ricambia, lo ascolta e lo invita in Svezia per portare a termine quella maratona rimasta incompiuta.

Nel 1967 Shiro riparte da Sollentuna, dalla casa della famiglia Petrè, ancora da quel patio colorato.
Non scatta Shiro, non imposta la corsa sull'attacco ma su se stesso, sulla sua voglia di entrare allo stadio Olimpico e tagliare il traguardo felice. Lo fa vestito elegante, alzando le braccia al cielo dentro il cappotto nero.
Shiro Kanakuri taglia il traguardo della maratona dei Giochi Olimpici 1912 fra gli applausi commossi dei presenti con il tempo record di 54 anni 8 mesi 6 giorni 5 ore 32 minuti 20 secondi e 3 decimi.
Applaude e lo abbraccia il signor Söderlund.
La polizia chiude il caso del maratoneta scomparso, il giornalista scrive una storia irripetibile e Shizo chiede a modo suo scusa al Giappone con un altra maratona a suo modo da record.

Shizo Kanakuri muore nella sua amata Tamana a 93 anni il 13 Novembre 1984, osservando Nagasaki appoggiata nel suo orizzonte, in pace con il mondo
Quello stesso mondo che lo celebra bel 2012 per il centenario di quei Giochi.
Lo ricorda la maratona del nipote Yoshiaki che ne ripercorre lo stesso percorso con tanto di sosta fra le case basse e colorate di Sollentuna.


Commenti