A fatica, una fatica incomprensibilmente esagerata, chiudiamo la prima settimana di riapertura di questa Italia un po' sulle ginocchia.
La fatica più grande è stata ingranare, trovare ritmi e tempi giusti, i meccanismi che ci appaiono nuovi, a volte insopportabili, incomprensibili, ma che sono diventati colleghi di lavoro essi stessi.
E in questi meccanismi c'è lo spazio, più ampio di quello che era lecito concedere, per la creatività dei componenti delle task force volute dal governo, così tante e così tanti da dare l'idea di essersi persi in chissà quali elucubrazioni per partorire idee il più delle volte, almeno in questa prima settimana di riapertura, contrarie fra di loro.
L'idea che ci si fa abbozzando una passeggiata fra le mura cittadine è che tutto sia pronto e predisposto per "la buona riuscita" della ripresa ma che la smania di riprendersi una vita quanto più normale avvicini molto il rischio di ritorno al punto di partenza.
Assembramenti vietati sono quasi all'ordine del giorno, difficile arrivare alla testa della gente e convincerli che i guanti si devono mettere, la coda va rispettata, le distanze vanno rispettate.
Sembra quasi che la smania di dire che è tornato tutto come giustifichi atteggiamenti sbagliati, atteggiamenti che non hanno età, che arrivano dagli anziani come dagli adolescenti.
Così è difficile sperare di tornare come prima, davvero.
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