Forse

Forse ultimi giorni di lockdown, ultimi giorni, non ho ben capito in verità i termini e le terminologie, e di Fase 2 che forse diventa Fase 3 da lunedì 18 Maggio.
Forse.
E forse qualcosa in senno a questo governo disastrato si sta muovendo, si muoverà, si muove, non è chiaro neanche questo concetto.
Forse, dicevamo, l'Italia che è rimasta chiusa due mesi riapre i cancelli e ritorna produttiva.
Lunedì 18 Maggio è la data che tutti hanno marcato in rosso sul calendario, trepidando ogniqualvolta Conte appare in tv, lui solitamente uso ad appropriarsi del mezzo televisivo nel fine settimana.
Trepidando perché forse stavolta ci siamo, forse le inutilmente numerose task force create hanno partorito idee diventate decreti farcite di sadico umorismo e controsensi.
Stavolta pare, sembra, potrebbe forse essere, che le serrande si alzino, che virtuosamente come non sempre siamo in grado di fare noi italiani ci metteremo in coda davanti ad un negozio per un  regalo, una boutique e da fuori la vetrina brameremo il nostro turno di entrata. 
Forse sarà un banco di prova pesante da sopportare, un banco di prova cui fisiologicamente non siamo tutti portati e i primi giorni di apertura a macchia di leopardo lo hanno perfettamente dimostrato.
Il buonsenso della gente talvolta ha momenti di black out profondo e preoccupante che rende difficile il lavoro delle persone e lo stesso interagire con esse.
Segue forse, forse, l'esempio del governo, sempre più avulso, complicato, perso in polemiche pelose che lasciano in braghe di tela, reali non figurate, uomini e donne rotolati ormai lontani dal mondo del lavoro, senza un euro di aiuto da parte di uno stato incapace, inutilmente fiero del suo scarso operato, di garantire un welfare poco più in là della linea della decenza.
La Fase 3 dovrebbe forse, forse, fotografare un Italia chiusa in una scatola di plexiglass, in coda per andare al ristorante (incapace di evitare quegli assembramenti tanto dannosi, ma lo sono davvero?, come successo sui Navigli milanesi), mentre aumenta la coda alla Caritas per un po'di pasta che calmi la fame e la rabbia.
La pandemia ha sentenziato quel che si sapeva, che l'Inps è economicamente morta, defunta, munta e svuotata chissà come, chissà da chi.
E il buon Conte gonfia il petto, arringa folle telematiche, le stesse che si impegnano coi figli in videolezioni al limite del paradosso, che lo ascoltano a mezzo social con la camicia buona e il boxer sgualcito "che respira".
Questo è il punto: non siamo, non lo saremo il 18 Maggio, né il 28.
Il dato statistico più interessante sarà capire chi riaprirà, chi sarà in grado di dire "Eccoci qui, di nuovo!".
Pochi e forse ce lo meritiamo, perché siamo incapaci di protestare se non usiamo la tastiera, evitando di scendere in piazza come logica vorrebbe, imporrebbe.
E finiamo per sognare improbabili bonus per rifare le nostre case, mentre sudiamo con gli Istituti di credito che per allungare due banconote che in fondo sono tue, ti spettano, chiedono una mole tale di documenti sempre più complicato da fare impallidire l'ex ministro Calderoli.
E forse, forse, arriverà l'acconto, quando il conto corrente non conterà più nulla, quando Conte racconterà un racconto di come sarà che "andremo tutti in ferie", che a sentirlo l'italiano col boxer "che respira" smadonna e cambia canale perché stufo, stufo, senza dubbio, di sentire che il governo, questo governo (e questa è la parte comica della frase) ha messo in campo una potenza di fuoco senza pari, che l'Inps ha lavorato in due mesi come mai in cinque anni (ecco perché allora...e mi fermo qui).
Una pandemia con anessa quarantena daigli inconfondibili tratti italiani, quasi che ci fosse stato da parte governativa l'obbligo di dirle certe cose. 
Forse la Fase 3 è a tanto così dal partire con buona pace di maggioranza (si, ma in realtà qual'è?) e opposizione (si, ma qual'è?), sulle sicure incertezze di un testo di legge articolato forse oltre il buonsenso nel quale sono state inserite esigenze che forse, forse, non erano peculiari del momento, forse, forse, andavano affrontate meglio dopo, a riapertura avvenuta.
Nella Fase 2, una fase cuscinetto, quasi di prova, è risultato palese la quasi impossibilità per alcune categorie a svolgere la professione, divieti (che il cittadino virtuoso ha faticato a rispettare anche per lo stridere del divieto con l'azione da compiere; mi riferisco al bar, al semplice bere il caffè si ma via, lontano, dal bar stesso creando capannelli di persone molto difficili da gestire e in alcuni casi non gestiti proprio dalle forza dell'ordine) oggettivamente stridenti coi permessi nuovamente concessi.
Dicevamo che finiremo chiusi in una scatola di plexiglass come tanti pesci negli acquari e forse, forse, prenderemo anche il sole così, distanziati ora a due metri che a quel punto serve davvero il paracadute.
In tutta onestà la Fase 3 sembra molto l'ingresso in una nuova fase di controsensi e povertà, di nuove promesse (i bonifici solo come acconto, di quindici giorni in quindici giorni, i bonus per le famiglie che cambiano, aumentano ma non arrivano).
Forse, forse, tutto questo porterà finalmente il cittadino col boxer "che respira" a rivoltarsi e a buttare idealmente, finalmente, tutto all'aria.
Il 18 Maggio si riapre, riparte l'Italia, quella che non ha più un euro, che deve stare ancora più distante, che si sposterà coperta, protetta e cercherà da sola a questo punto (non con la UE ad aiutare, tantomeno ovvio col governo) di rialzare la testa.


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