Dereck Redmond

Il traguardo non è solo una medaglia che ti aspetta in fondo alla pista, è un obiettivo che devi raggiungere.
Lo puoi raggiungere per primo, puoi vincere, perdere per una frazione di secondo, o lo puoi tagliare per ultimo. 
È un obiettivo che devi raggiungere sempre, per sentirti in pace con te stesso.
Il traguardo può farti cadere rovinosamente ma da un grande insuccesso nasce un successo di portata mondiale.
Questo è Dereck Redmond.

Dereck Redmond è un ragazzo di colore che cresce nel cuore dell'Inghilterra, quella operaia, quella della seconda metà degli anni'60 che lentamente si avvia alla crisi economica del decennio successivo.
È nato il 3 Settembre 1965.
Dereck cresce correndo, allenando il fisico all'esplosività e all'elasticità muscolare, aiutato in questo dalla presenza nelle sue fasce muscolare di fibre bianche.
Cresce correndo sui prati della sua Bletchley, poco più a nord di Londra, verde, città strategica per i decrittatori britannici durante la Seconda Guerra Mondiale e la caccia ad Enigma.
Dereck allena le gambe lunghe sulla pista del Roade School fra una lezione e l'altra.

Dereck cresce e studia e corre, di più scatta.
L'insegnante di educazione fisica lo nota fra gli altri studenti, nota la forza che esplode dalle gambe di Dereck, nota la quasi assenza di fatica dopo ogni corsa.
Dereck studia, il padre lo osserva quando può, lo aiuta dagli spalti, urla per motivare il figlio, gli fa sentire tutto il suo appoggio.

Il ragazzo corre sulla pista del liceo, scatta veloce come il vento; lo sprint è veloce, rapido, privo di fatica.
Dopo il diploma entra a far parte della squadra di atletica leggera di Birchfield Harriers, dove lo sprint diventa il suo obbiettivo principale.

Corre più veloce della crisi economica che colpisce la Gran Bretagna, che colpisce quasi ogni famiglia che abita Bletchley, le sue case basse di mattoni rossi e svuota i capannoni della zona industriale.
Dereck corre leggero sulla pista ogni settimana; ha il fisico esplosivo, potente e fibre muscolari delicate come cristalli.
Deve dosare sprint e recupero senza mettere a rischio il fisico.
Si allena a casa, in una brughiera che sa di umidità e pietra, nebbia e sudore.

Dereck allo sparo dello starter sembra dimenticare tutto, la crisi economica, la fatica, la paura. Scatta sollevandosi sulla pista per volare, uno, due giri di pista non importa.
Il ragazzo di colore muove veloce le gambe, lunghe e muscolose, fragili come seta eppure veloci.

Il padre osserva il figlio dagli spalti, osserva e prende appunti, è il suo primo critico, il suo allenatore più severo. Indossa spesso un cappellino bianco che non toglie quasi mai se non quando vede Dereck interrompere la corsa e massaggiare le gambe con le mani. Dagli spalti pianta lo sguardo sul volto del figlio alla ricerca di una smorfia o meno.

Dereck corre lungo tutto la Gran Bretagna, esce dalla brughiera, lontano da Bletchley, dai fantasmi della Seconda Guerra Mondiale, arriva a Londra, poi sorvola gli Oceani che collegano l'Impero e vince.
Dereck torna sempre da vincitore; è il quattrocento sta più veloce del Commonwealth, nome nuovo post colonialismo del Regno Unito.
L'anno di grazia è il 1985 con la conquista del record britannico e il pass fra le mani per i Mondiali di atletica di Roma '86, l'anno seguente.
È un vincente e nella staffetta 4x400 vince l'oro ai Giochi del Commonwealth nel 1986, ottenendo poi l'argento alla kermesse di Roma. 

Lo sport a volte osserva i suoi protagonisti con occhi invidiosi e si vendica dei loro successi. 
Dereck paga con i tanti infortuni muscolari i suoi successi, piccoli intoppi che gli impediscono una certa continuità.
Dereck però sa correre, sa farlo bene e sa che nei momenti più difficili può alzare lo sguardo verso gli spalti e cercare il cappellino bianco del papà.
Redmond è forte ma ogni tanto il suo fisico si ferma, la pista davanti si allunga, le gambe pesanti.

Il ragazzo sa ritornare in pista sempre più forte di prima e nel 1987 ritorna in pista per riprendersi il record britannico perso per infortunio. 
Redmond scatta, corre, sbuffa ma non rallenta e vince, vince nuovamente, come prima. Si riprese il record britannico per non mollarlo fino al 1992.
Gli infortuni sono alle spalle.
L'obiettivo adesso sono i Giochi Olimpici di Seul '88. La staffetta britannica è una delle favorite per la vittoria finale, Redmond sa che nella gara individuale dei 400 m partirà fra i favoriti.

Allo Stadio Olimpico di Seul l'aria è leggera, quasi fresca. È settembre, l'aria è umida ma contrariamente al solito non piove.
Le gare di atletica entrano nel vivo, sarà l'Olimpiade che decreterà il vincitore assoluto dei 100 m, l'uomo più veloce del mondo, in una contesa iniziata a Roma nel 1986 fra il canadese Ben Johnson (esploso al Mondiale italiano) e l'americano Carl Lewis, il cui soprannome spiega l'atleta e la fama, "il figlio del vento".
Per gli occidentali i circa dieci secondi di sprint significheranno una levataccia alle 4 di mattino, in mondovisione.
Evento poi che si rivelerà il bluff più grande che ha.sconvolto l'atletica leggera in tema di doping, ma è un altro discorso.
Ora però è il momento del giro di pista, dei 400 m, gara dove lo sprint e il dosaggio della fatica vanno di pari passo.
Dereck Redmond è sulla linea di partenza, fa stretching come tutte le altre volte, salta sul posto, ricade e si allunga, ripete il gesto. Mette le mani sui fianchi e si piega, a sinistra e a destra. Osserva gli spalti pieni di colori e sudcoreani ordinati. L'aria umida del fiume Han è fresca.
Cerca il cappellino bianco del padre, lo trova, salta sul posto.
Sa che non può mancare a questa finale, è l'oro che manca dopo Mondiale, Europeo e Giochi del Commonwealth.
Salta, ricade, allunga.
Mancano 90 secondi allo sparo dello starter.
Salta, ricade, allunga.
Ripete, mancano 90 secondi.
Nel brusio dello stadio Dereck salta, sente fortissimo, quasi uno schianto secco, il rumore di un elastico che si rompe, ricade e vede lo stadio muoversi.

Il tendine di Achille è in fondo alla gamba, appena prima del piede. È nella parte posteriore. È un elastico che si tende e ritorna in posizione accompagnando i movimenti di piede e gamba, che sono armonici, legati fra loro.
Se si spezza il muscolo come un elastico spezzato si arriccia verso l'altro e non tiene più vicino il piede.

Dereck Redmond piange mentre lascia lo Stadio e le Olimpiadi.
Forse il caso, la foga dello stretching, forse lo sport geloso della sua forza, chissà.
Il ragazzo impreca, ripensa ai prati di Bletchley e affronta anche quest'infortunio con la convinzione che ritornerà in pista, più forte.

L'appuntamento è firmato in calce ai Campionati del mondo del 1991. Redmond coi compagni di staffetta Black, Regis e Akabusi, è sulla linea di partenza per la sfida suo 4x400 m agli Usa.
Dereck è il secondo staffettista, aspetta il testimone lanciando lo sprint non appena il compagno appare nella curva, scatta veloce il ragazzo di Bletchley, tende come ad allungarlo all'indietro il braccio, mano aperta ad afferrare tutto ciò che passerà fra il testimone e il suo palmo.
Corre, è davanti quando a sua volta passa il testimone con la rabbia dei tre anni persi.
La staffetta britannica vince, vince l'oro e batte gli Usa con il secondo tempo in staffetta.
Ora Dereck ha cerchiato in rosso il 25 Luglio 1992, le Olimpiadi di Barcellona.

Redmond si prepara allenandosi come sempre, con la foga degli esordi. Sa che non può sbagliare e Atlanta 1996 è una data per lui lontana.
I tanti infortuni hanno il sapore del ricordo e sono alle spalle.
Le qualificazioni per la finale non rappresentano uno sforzo per il ragazzo inglese.
Il 27 Luglio è il giorno della semifinale, finalmente. Il penultimo passo per consacrarsi.
A Barcellona fa caldo, lo stadio pulsa di tifo acceso che nulla ha a che vedere con il tifo ordinato sudcoreano.
È un catino bollente.
Dereck si piega suo blocchi di partenza, calcia all'indietro l'aria, come a buttare ancora più indietro i brutti ricordi. 
Sente le gambe pronte, vive.
Si piega facendo quasi sparire la testa fra le spalle e spegne lo stadio. Non ha cercato il cappellino del padre, sa che è lì che lo guarda ma ora deve solo sentire lo sparo, sentire il polpastrello dello starter avvicinarsi al grilletto e fare pressione per fare esplodere il colpo.
Solo quello.
Lo sente, fragoroso.
Stacca le mani dai blocchi e si spinge con le gambe forti, quasi parallelo alla pista, dentro quell'unico giro di pista che lo porterà alla finale.
Scatta nel caldo catalano, corre e gestisce le sue forza per le ultime due curve.
Corre, Dereck, rientra nel gruppo, è a due sole curve dal traguardo, dalla finale.
Si allarga verso il centro della pista, mette veloce una gamba avanti l'altra nel caldo del catino catalano.
È il momento di accelerare.

Lo sport crea miti, vittorie che fanno la storia, che regalano immortalità. 
Lo sport regala sconfitte che sono memorabili, sconfitti che diventano immortali per coraggio, dolore, costanza.
Lo sport è invidioso dei suoi protagonisti.

Dereck prova l'allungo ma il suo movimento è innaturale, come un fotogramma che sua pellicola salta.
La gamba destra resta rigida dietro di lui, come un morso feroce lungo il femore.
L'atleta si irrigidisce, raddrizza la schiena come a difendersi da quel morso.
Si ferma, saltella sulla gamba sinistra. Con una mano si tocca la coscia destra, Dereck Redmond ha capito cosa è successo.
Guarda davanti a sé, il gruppo sta tagliando il traguardo, senza di lui. La finale olimpica non ci sarà più, né a Barcellona, né ad Atlanta.
Dereck piange, con tutti gli occhi dello stadio addosso. Piange per il sogno infranto un'altra volta nel momento più bello.
Dereck assomiglia ad un uccellino ferito, saltella.
Redmond ricomincia la sua corsa saltellando sulla gamba sinistra mentre lo stadio applaude, incita, idealmente gli mette al collo la medaglia d'oro.
Saltella ed entra nel lato più corto della pista, quello che porta al rettilineo del traguardo. Tutto lo stadio e le TV a casa osservano l'atleta britannico piangere, stringere i denti e saltare su una gamba sola. Nessun giudice può aiutarlo per un ottuso regolamento.
Dietro l'atleta, sulle tribune c'è trambusto, intervengono gli steward ma non possono fermare la persona responsabile di tutto il trambusto. Ci provano, capiscono.
Ha il cappellino bianco in testa, è robusto, non lo possono fermare.
L'uomo è appena dietro Dereck, che saltella ma è quasi fermo ormai. 
Spinge lontano, senza violenza, uno steward che voleva fermarlo ma in quel momento il mondo non potrebbe fermarlo.
È fianco a fianco con l'atleta, non ci pensa, lo abbraccia, lo sorregge. 
Il ragazzo lo vede, piange e ricomincia a saltellare, il traguardo lo potrà tagliare, come giusto che sia.
Dereck abbraccia forte suo padre che lo sorregge come mille volte da bambino al parco.
Lo stadio piange, applaude, urla il nome di Dereck Redmond. Alcuni atleti della semifinale lo aspettano al traguardo applaudendo.
Padre e figlio superano il traguardo e il ragazzo cede, cade, sfinito.
Lo ha tradito il bicipite femorale.
Padre e figlio escono accompagnati dalla standing ovation di Barcellona. 

Quei cento metri abbracciati, con il figlio in lacrime rappresentano la vittoria di una sconfitta, la vittoria della caparbietà, l'uomo più forte della sfortuna.
Dereck Redmond ha portato a termine la sua corsa, ha vinto, ha vinto la sua Olimpiade.
L'immagine che rimbalza sulle TV di tutto il mondo colpisce, ferisce, non può non portare ad una sorta di empatia.

L'infortunio è grave, di fatto chiude la carriera da quattrocentista britannico. Anche la medicina sportiva sentenzia la fine della carriera sportiva di Redmond.
Non il padre però, no, lui sa che il fisico del figlio è integro, che uno stop non può significare la fine della corsa.
Lo incita a provare con altri sport, a non ascoltare la medicina sportiva.
Dereck prova col basket e riesce a vestire nuovamente la maglia della nazionale britannica.
Dereck è vivo, si sente vivo e vive grazie alla sua volontà.
Scrivo un biglietto al medico che ne aveva sentenziato la fine della carriera e dopo il basket prova con il rugby con il quale arriva a giocare in prima divisione.

Dereck Redmond ha in fondo realizzato i suoi sogni, cambiandoli e modificandoli quando il destino si è fatto avverso.

La sua esperienza sportiva lo aiuterà anche nel dopo, nel seguito della sua vita. Diventerà oratore motivazionale, consulente tecnico della Federazione britannica di atletica leggera e icona dello sport dal lato umano grazie al filmato di Barcellona'92.
Passerà in pubblicità e negli spot del Cio regalando a Dereck Redmond quel successo olimpico che solo su pista manca.


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