Bertagnin per cena

"Stasera femo el bertagnin, cussì to papà xè contento!"
Programma per la cena del venerdì, quella più agognata perché l'indomani il papà non lavorava e ci si poteva sedere a tavola con quella tranquillità che gli altri giorni non c'era.
Il sabato era diverso, eravamo tutti più tranquilli, il venerdì no, era il traguardo agognato dal papà tutta la settimana.
E dopo l'affermazione della mamma iniziava nel sottoscala di casa la preparazione della cena.
Bertagnin, non baccalà o stoccafisso, bertagnin.
Meno nobile forse degli altri due ma forse per questo più gustoso.

Il merluzzo è un pesce dalla struttura fisica massiccia capace di raggiungere facilmente la lunghezza di un metro e mezzo, color verde o marrone.
Nuota nelle acque fredde muovendosi in grandi banchi vivendo nutrendosi di altri pesci.

La tavola sulla quale la mamma preparava il bertagnin era sempre quella di formica verde eletta ormai a tavola si servizio per tutti i piatti fatti in casa.
Ogni ingrediente aveva il suo spazio sulla superficie del tavolo, la piccola terrina di plastica bianca con dentro la farina appena più in alto del piatto vuoto al centro. A sinistra il sale e il pepe sempre vicini e sempre assieme. Nel mezzo il lievito e una tazzina da caffè mezza rotta "da lavoro" con dentro un uovo.
Solo la pentola coi bordi alti e annerita dal tempo e dalle cotture passate era pronta sul gas, già riempita con l'olio per friggere.

Preparo la mia postazione spolverando il piano di lavoro in acciaio, mi basta inserire la spina della friggitrice ad aria e programmare tempo e temperatura e farla riscaldare quindici minuti.
Preparo anche il il bertagnin, poco, solo per me, quasi una mono porzione ma per stasera basta così.
Mentre l'elettrodomestico che avrebbe fatto inorridire mia mamma fa il suo dovere io sistemo in una ciotola di plastica riciclata, secondo i dettami green del mondo, un uovo, poco più di un etto di farina e un po' di acqua. Ci aggiungo un pizzico di sale e pepe, sempre assieme, e del lievito. Lavoro il composto per ottenere una pastella non troppo morbida.
La lascio riposare quindici minuti, giusto il tempo che ai scaldi la friggitrice ad aria.
I pezzi di bertagnin sono stesi, separati, sopra un canovaccio, coperto da un altro canovaccio così che si asciughi per bene.

Delicatamente mia mamma versava sale, pepe, lievito e uovo nella terrina con la farina, mescolando con una forchetta dai rebbi lunghi e storti il composto dal basso verso l'alto.
Il bertagnin era messo ad asciugare avvolto stretto in uno strofinaccio.
Apriva lo strofinaccio e altrettanto delicatamente afferrava un pezzo di bertagnin e lo faceva roteare con la forchetta storta nella pastella; con l'aiuto di un'altra forchetta passava veloce il pezzo di pesce pastellato e lo lasciava cadere con dolcezza nell'olio bollente.
Riparandomi gli occhi da eventuali schizzi osservavo i pezzi galleggiare nella pentola annerita in un mare di bolle giallastre il cui sfrigolio riempiva la cucina.

Il merluzzo non è pesce mediterraneo, vive lontano, dove fa più freddo. Nuota vicino le acque islandesi e canadesi e la sua lavorazione inizia subito appena pescato, con le reti o con le palamite, le lenze lunghe con all'estremità gli ami.
È un pesce carnoso e per questo sui pescherecci in mezzo all'Atlantico viene eviscerato e gli viene tolta la testa. Il resto della lavorazione, come l'estrazione della lisca dorsale verrà fatta a terra; si apre e si sala lasciandolo così per circa tre settimane.
E qui il merluzzo cambia il suo nome, a seconda della lavorazione. Diventa baccalà quando è sotto sale e stoccafisso quando è essiccato, e pure bertagnin per noi veneti, ma pure per i toscani livornesi e genovesi.
Il bertagnin deve il suo nome forse ad un importatore livornese di nome appunto Bertagnin, forse genovese addirittura dato il nome che porta lo stesso piatto lungo i locali dei carruggi, che importando il merluzzo nelle repubbliche marinare del Mediterraneo lo presentava a terra cotto nella maniera povera che conosciamo oggi.

Non ho più la forchetta dai rebbi lunghi e storti ma una pinza da cucina che mi fa sentire un cuoco provetto. Con quella afferrò i pezzi bianchi di bertagnin e li passo velocemente nella pastella e subito nel cestello della friggitrice. Ripeto la stessa azione per tutti gli otto pezzi della mia quasi mono porzione.
E ascolto. 
Il silenzio dentro il quale ascolto le parole di mia madre che con gli occhi grandi mi guarda e spiega:
"Gira svelto, non stà lassarlo tanto in tell'oio che sinò el se brusa!"
Ha ragione, nell'olio bollente va girato veloce, così si evita di bruciarlo. Deve essere dorato non abbronzato.
Manca lo sfrigolio dell'olio arrabbiato, sostituito nella mia cucina da una canzone di Renato Zero, da bravo sorcino.
Mentre le parole di "Amico" rimbalzano fra le pareti della cucina preparo un piatto teso con sopra un foglio di carta per fritto. Non abbiano il vino bianco come il papà e la mamma ma una meno prosaica bottiglietta di acqua naturale.
La friggitrice ad aria suona, mi dice che ha finito; estraggo tutti i pezzi, uniformi nella pastellatura. Troppo, ecco.
La mamma usava l'olio di semi di girasole, la pastella era irregolare, con le bolle sulla superficie, brutta da essere bella da vedere e mangiare.
Il profumo però mi dice che è bertagnin anche il mio, che profuma di buono e di mamma.
Prima di mettere il piatto in tavola aggiungo un pizzico di sale, poco "che el xè lù tanto saeà".
Mai esagerare col sale col merluzzo.
Mi siedo, si siedono anche il papà e la mamma in un'altra tavola, con un'altra tovaglia, solo il sapore fortunatamente è lo stesso.
Sorrido.

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