Ciao piccolina,
anche se non sei più tanto piccola, anche se i giorni passati sono tanti e non tutti belli.
Sono passati volando sulle nostre vite come aerei che avevano troppa fretta di andare.
E il cielo è rimasto sempre lo stesso.
Lo stesso sole.
Ti scrivo per uscire da questo silenzio lungo così tanti anni che quasi ne ho perso il conto.
No, in realtà so quanti giorni, mesi e anni sono passati ma per motivi che ho faticato ad accettare ho finito per convincermi che fosse giusto così.
Così come?
Colorando le giornate di tinte scure, serie, tristi.
Da un certo punto in poi però perché la vita ci ha portati su due rette parallele che sono corse veloci seguendo la loro direzione senza intersecarsi mai.
Io di qua, tu di la.
Ma dove?
Lontani, in due città distanti e diverse. Per volontà di nessuno di noi due ma che entrambi abbiamo finito per subire.
E questo piccola mia è stato il mio errore più grande.
Un errore che si è fatto via via più pesante nella tua assenza, nella mia assenza nei tuoi confronti, specie quando le domande si sono fatte più pesanti, grandi, inevitabili.
Chissà che capelli hai, che canzone avresti cantato a scuola per Natale.
Cose grandi e cose piccole.
La festa del papà, il tuo compleanno; non sei mai andata via dalla mia testa, meno che meno dal mio cuore, ho sempre cercato una foto tua negli angoli di casa mia, che non è mai potuta diventare nostra, anche solo mia e tua.
E ti ho pensata sempre, in ogni istante delle mie giornate, che alcune volte sono volate via veloci come tanti aerei nel mio cielo.
E ho chiuso tutto in una scatola di legno, colore scuro come sono i tuoi occhi, i tuoi capelli che ho sempre immaginato lunghi, mai corti.
Dentro ci ho messo tutte le lettere che ti ho scritto in questi anni, nei giorni che non per nostra scelta abbiamo scelto di vivere lontani.
Una al mese e le ho chiuse tutte con un pezzetto di nastro colore arancione, come un sole che si prepara a rinascere ogni giorno.
Le ho messe li fingendo di spedirtele, fingendo che tu le leggessi.
Fingendo, appunto, ecco il mio errore piccola mia.
Fingendo che andasse bene così, che questa situazione si sistemasse da sola, senza farmi sopraffare dal rancore.
Ho scritto e messo via, chiedendomi magari cosa ti avrebbero raccontato di me, che idea ti stavi via via facendo di me, del tuo papà.
Come tutti gli anni ottobre mi porta una vena troppo pesante di malinconia e il mio mondo si dipinge di grigio.
Mi sono sempre chiesto chi ti avrebbe aiutato a nuotare per bene, tu che fra le mie braccia a pochi mesi sembravi un pesciolino rosso curioso della vita, che bigliettino avresti disegnato per la festa del papà e se un giorno li avrei visti, magari con te.
Ho finito col convincermi che forse andava davvero bene così anche dove vivi tu, lontano.
E tutto mi è sembrato difficile.
E ho messo via tante cose diverse fra loro, fingendo di mettere via te.
C'è un baule, con gli orsacchiotti disegnati sui lati, che ho lasciato sempre chiuso; l'ho aperto ogni dieci giugno solo per metterci dentro un altro pacchetto.
Il tuo compleanno.
Un pacchetto ogni anno, a volte due, avvolti di carta colorata, coi pupazzetti e con tanti cuori, perché di te anche adesso non so molto, non so bene quali gusti hai.
Ne ho messi anche due, tre, quattro alla volta perché nulla era mai abbastanza.
E ogni undici giugno il baule l'ho richiuso.
E riportato in camera, quella che sarebbe stata la tua, che sarebbe stata il tuo studio, la tua stanza per vivere vicino a me i tuoi giorni.
Qualcuno ha deciso per noi ogni cosa, anche questo silenzio che in questi anni è diventato un ruggito.
E mentre ascolto dallo schermo del mio PC la tua voce piccola di bambina scrivo un'altra lettera e ti chiedo scusa per essermi fermato così lontano da te, per tutto questo tempo.
Mi manchi sai piccola mia, e ora questa lettera te la mando davvero perché nel mio accidentato cammino ho trovato chi mi ha fatto vedere quanto io voglia stringerti ancora fra le mura braccia.
Il tuo papà.
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