Che paese siamo?

Che paese siamo?
Siamo un paese che aspira a diventare potenza, a sedere da protagonista al tavolo dei grandi.
Giustamente è il pensiero immediato che tutti abbiamo guardando semplicemente il Belpaese, che bello lo è davvero ma spesso ce ne dimentichiamo.
Lo guardiamo spettatori disinteressati ed annoiati, con critica e distacco come in realtà tante volte accade quando una cosa è nel tuo quotidiano.
Tralasciando per un momento l'emergenza Covid-19 che non si ferma e alle volte sembra che alle tante task force incaricate dal governo i dati e la realtà "sulle strade" sfugga di mano, il Belpaese rischia il collasso strutturale, colpito da eventi metereologici imponenti e inaspettati.
I segnali ci sono sempre, sono quelle che la stampa chiama "bombe d'acqua" ma si cerca sempre di farli sembrare casi isolati, che non hanno strascichi.
Poi succede, ciclicamente succede, che impazzisce il cielo, che come tanti Asterix la paura più grande si avvera e il cielo ci vada sopra la testa.
Succede che piove, che si alza il vento, senza distinzione fra mare e montagna, città o pianura.
Succede che da dentro le case armiamo i nostri smartphone e iniziamo a filmare coni d'aria, chicchi di grandine, neve fuori stagione. Noi filmiamo e la natura fa il suo corso, con o senza di noi che nel 2020 ci ritroviamo, dopo rigorosamente dopo, a fare i conti con il nostro territorio giovane, si, l'Italia è giovane, instabile e vivace.
Osserviamo inebetiti la devastazione che il clima ci impone senza essere capaci di fermare né acqua, né vento.
Imprechiamo e aspettiamo che dopo arrivano le troupe, i servizi al tiggì e fare partire il tam tam politico.
Saranno gli argini che non vengono sistemati?
Saranno i soldi che mancano?
I soldi ci sono, ci sono sempre in questo territorio fragile chiamato Italia ma manca il collegamento, una linea diretta semplice fra Governo centrale e le amministrazioni locali, che vivono, fanno vivere le loro zone.
E dovrebbero prevenire questi disastri con manutenzione ordinaria degli argini, dei tombini, alvei, boschi. In parole povere devono avere cura del territorio in cui vivono.
E avere cura del territorio non è solo prendersela a cose fatte con lo Stato, di cui per inciso essi stessi fanno parte, e sono una parte importante, ma anche bloccare prima, che c'è sempre un prima, un punto di partenza, l'abuso che l'uomo, il privato cittadino compie contro lo stesso territorio.
Le località colpite dall'emergenza meteo ormai sono conosciute, Liguria, Piemonte, Friuli Venezia Giulia, e purtroppo conosciute sono anche le immagini di case, palazzine, villette, trascinate via dalla forza di fiumi e torrenti che erodono il terreno su cui posano e le fanno sparire nelle acque fangose.
Rimane appunto il fango, quello peloso delle polemiche e del rimpallo delle colpe e quello della furia delle acque.
Ci sono palesemente abusi edilizi in una villetta costruita sull'argine di un fiume o sul terreno di una golena, ma prima ancora c'è la burocrazia che consente la cosa "tutt'al più dopo (il dopo che ritorna sempre) si regolarizza con il condono", e piange con una corona di fiori le eventuali vittime. 
Nel frattempo si sgretolano investimenti pubblici e privati, ponti (che hanno resistito secoli e secoli e sono sopravvissuti a guerre) e fiducia nel fatto che l'Italia un giorno possa sedere al tavolo dei grandi perché è criticabile il Governo ma è palese che le Amministrazioni Locali hanno, e alcune lo stanno facendo ancora, lavorato male, ad occhi chiusi sulle reali esigenze e problematiche locali.
Ad oggi, dopo il weekend drammatico del Nord Italia, non abbiamo posto, non possiamo averlo.
Non lo meritiamo perché siamo incapaci di prenderci cura di noi stessi, delle nostre cose.


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