Il 10

Piove su Napoli, una di quelle domeniche in cui il cielo si scorda del Golfo, del sole e rovescia sulla città scrosci di pioggia.
È il 3 novembre 1985 e anche se piove il campionato di calcio si disputa lo stesso, anzi per gli appassionati la pioggia rende un incontro più affascinante.
E la partita in programma al San Paolo di Napoli è di quelle che il bravo cronista definirebbe "di cartello": Napoli-Juventus. Maradona contro Platini.
Sono gli anni in cui il calcio italiano è Campione del Mondo, la Serie A è "il campionato più bello del mondo" e da noi vengono tutti, ma proprio tutti i calciatori più forti e bravi, assieme a qualche vero bidone.
Maradona e Platini, una classe forse inarrivabile anche oggi che di idoli il pallone ne sforna ad ogni stagione, ma non solo; Rummenigge, Falcao, Zico, Boniek, Dunga, Elkjiaer, tutta gente tosta, astuta e forte che prima e dopo l'Italia collezionerà titoli su titoli.
La stagione 1985-1986 porta al mondiale messicano, tutti i calciatori quindi hanno come obiettivo esserci, disputare una stagione da protagonisti per vivere poi l'estate a Mexico '86.
La Serie A inizia il suo torneo sotto l'egida della Juventus di Giovanni Trapattoni e della Roma di Eriksson. Appena dietro c'è il Napoli già di Diego Maradona, che il presidente Ferlaino ha posto al centro del mondo partenopeo per portare sul Golfo lo scudetto tricolore.
La Juventus inizia forte, trascinata dai suoi campioni arriva al 3 novembre 1985 a sfidare il Napoli forte di otto vittorie su otto.
Ma il Napoli, Maradona, non si fermano a questi particolari, alla freddezza dei numeri.
Se i bianconeri da Torino scendono carichi di vittorie e campioni, Platini, Laudrup, Tacconi e un'infinità di altri al seguito, i partenopei si affidano alla classe forse sottovalutata di Eraldo Pecci a centrocampo, in mediana alla foga di Salvatore Bagni, alla difesa di ferro di Bruscolotti e Celestini e alle parate spesso coi piedi di Garella.
E a Maradona.
L'allenatore è un bravissimo Ottavio Bianchi ma il poter schierare l'argentino in mezzo al campo fa quasi passare il mister in secondo piano.
Maradona appunto.
Colpo di mercato del duo Juliano-Ferlaino per portare finalmente in pianta stabile il Napoli fra le grandi del campionato.
Portato via dai chiaroscuri di Barcellona gli hanno apparecchiato il Golfo per farlo sentire a casa.
Presentato in un caldo pomeriggio partenopeo il 5 luglio 1984, Maradona da subito si è preso Napoli, non solo il club ma la città stessa. Ha palleggiato leggero con ogni cosa, piccola o grande, senza staccarla mai dal proprio piede, anche quando, fredde statistiche alla mano, è stato il calciatore più picchiato in un torneo, si picchiato, perché solo così ne potevi fermare la danza.
La caviglia malconcia di Barcellona a Napoli ha ripreso a danzare, ad accarezzare la palla e a regalare alla sua città meraviglie irripetibili.
Il 3 novembre 1985 il Napoli è una squadra in divenire, pronta ormai al salto di qualità.
Maradona è in campo, saluta Platini, suo omologo bianconero, francese, più naturalmente distaccato e spaccone.
L'argentino non è bello da vedere, piccolo, baricentro basso, tarchiato, ma non importa. Non è una sfilata di moda, è calcio e spesso i suoi interpreti più aggraziati sono sgraziati ma micidiali come la preda che imbroglia il predatore, sfuggendogli.
Piove quella domenica, è la nona giornata di campionato, il San Paolo celebra il suo rito pagano gremendo in ogni ordine di posto la chiesa pagana; il Dio da venerare è piccolo, riccio e accarezza la palla.
La partita è dura ma viva nonostante il campo pesante; la difesa juventina non perde di vista Maradona che scivola, stoppa, cade e si rialza.
Partita maschia direbbe il bravo cronista, partita vera.
Il risultato è fermo sullo zero a zero, il risultato perfetto direbbero alcune correnti di pensiero ma la perfezione è un dettaglio e spesso i protagonisti non lo sanno, non lo vogliono sapere e decidono di testa loro.
Diego Maradona decide al minuto 72 che è il momento.
Diego rotola sul fango del San Paolo sotto i colpi della difesa bianconera, Platini assiste da lontano, troppo pesante il terreno per la sua pur perfetta danza.
L'arbitro dell'incontro al minuto 72, il signor Redini di Pisa, fischia un'inconsueta punizione a due nell'area juventina.
Per l'esattezza sul versante destro dell'area di rigore. Non esattamente da dove si inquadra bene la porta.
Il portiere bianconero si nasconde quasi dietro il palo, urla, indica con la mano ai suoi compagni in barriera dove spostarsi.
Lui è Stefano Tacconi, portiere bello e scanzonato che col club bianconero vince tutto il possibile e para anche la luna.
Decide, l'area è il suo regno, di posizionare sei giocatori in barriera.
Piove, che il cielo se ne infischia del Golfo.
Si discute; sulla palla ci sono Pecci e Maradona che parlano, guardano e devono decidere come calciare quella punizione impossibile. La difesa per ovvi motivi di spazio non può essere posizionata ai tradizionali 9 metri e 15 cm ma è un muro invalicabile a soli 5 metri dal pallone, un nulla. È come calciare direttamente sui piedi avversari. 
È fisica.
La discussione prosegue per un minuto poi il signor Redini di Pisa fischia, non si può più parlare. Dal momento in cui la palla sarà in movimento il tempo per calciarla sarà breve, minimo.
Pecci tocca la palla a Maradona che compie solo due passi verso di lei, la accarezza con l'interno del piede. La accarezza dolcemente facendola alzare sopra i due juventini che lasciano subito la barriera e in un lampo sono addosso all'argentino.
Troppo tardi. 
La palla supera la barriera, Tacconi prova a parare anche questa luna, che appare troppo lontana. Il portiere vola, la palla morbida entra in rete appena sotto la traversa, nell'angolo dell'estremo difensore.
Gol, rete, capolavoro, una pennellata da galleria d'arte.
Esplode lo stadio, i compagni di squadra di Maradona, il vigile urbano in servizio dietro la porta bianconera, i raccattapalle, Napoli.
Al minuto 72 la partita si chiude, una rete così non ne consente altre.
Sarà per tutti e per sempre la punizione impossibile, contraria alle leggi della fisica.
Ma come la pioggia se ne infischia del Golfo, spesso il calcio se ne infischia della logica e della fisica.
Questo è il mio ricordo di un grande, che ha deciso di cercare altri prati dove palleggiare.
Ha fatto altro nella sua carriera ovviamente, ha vinto molto, spesso motivando i suoi compagni di squadra, ha segnato di mano, seminando intere difese, non importa se inglesi o belghe o italiane, ha vinto, lasciato impressi nelle memorie capolavori di balistica e di istinto.
Questo è Maradona.


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