Ho visto un Re

Ho visto un Re, che sedeva sul suo trono, parlare.
Parlava alla nazione, quello che credeva essere il suo popolo. 
Quel popolo stranito, stropicciato, affannato dai giorni cupi in cui era finito.
Il Re parlava, a giorni prestabiliti, in modo che la gente tutta potesse avere tempo di prepararsi ed ascoltare.
Erano messaggi tetri, cupi, per lo più parlavano di privazioni, restrizioni, dolore. Da mesi ormai.
Ma forse questo aspetto al Re, a questo Re, poco interessava; parlava, esternava, ora con il volto mascherato, ora no, su quali fossero i comportamenti corretti da tenere dai suoi sudditi.
Perché il Re parlava, certificava cosa andava bene, come farlo e con chi.
Non si accorgeva il Re, e con lui ad onor del vero, tutta la sua strampalata corte di sodali, di relegare in un angolo del mondo i nonni del suo popolo, quella memoria storica di colpo accusata per editto di essere l'anello debole della comunità. Via, all'angolo quindi, costretti per decreto, per odioso acronimo, ad auguri solitari, a chiedere aiuto alle forze dell'ordine solamente per scambiare gli auguri con un po'di calore umano.
E per odioso acronimo il Re che parlava da dentro le TV ha privato l'altra generazione importante del suo regno ferito, gli studenti tutti, del contatto umano con i compagni di classe, di corso, dell'esperienza dell'ultimo anno, quello della maturità che ti fa chiudere la porta sul primo step di vita, del confronto coi docenti, delle gite. Nulla.
La strampalata corte di sodali ha dato peso alle parole anche dei giullari di corte che guardando il Re parlare si sono sentiti legittimati a dire la loro come oracoli improvvisati.
Niente scuola quindi, tutti, docenti e studenti, attorno ai pixel delle loro device casalinghe, rigorosamente, che il Re e la sua corte non hanno pensato a mandare aiuti in questo senso a scuole e famiglie.
Ho visto il Re parlare, puntare il dito contro bar, negozi, ristoranti, caravanserragli di origine varia ed anche ambigua; pontificare con l'avallo dei fedelissimi vassalli contro le categorie professionali più provate, già in ginocchio, non per genuflessione di riverenza.
A rete unificate il nostro Re ci ordina, impone col ghigno del gringo cattivo, di starcene chiusi in casa, scordandoci di avere famiglie, famigliari, vite che comprendono anche momenti di convivialità.
Invita a restare in forzata solitudine e a sperare nel taumaturgico vaccino, arrivato sul suolo patrio con tanto di scorta militare, davanti e dietro il furgone. 
Annunciati in diretta TV, diretta social, arriverà il Vaccino day, si potrebbe abbreviare in Vday, non fosse che riporta a un altro Re presto dismesso dalla pletora di sodali invidiosi al ruolo di giullare, come un tempo lontano.
Davanti alle news tutto il gregge aspetta le buone nuove del vaccino, senza vedere fra le righe che ora, adesso, oggi le dosi sono poche e sarà gennaio a portare le dosi più numerose.
Il Re lo sa e all'urlo del "decido io" (usato in altri contesti, certo, ma molto simile al De Richiamo "lei non sa chi sono io) getta fumo negli occhi e spera forse nell'immunità di gregge tanto ben spiegata nelle lunghe "conferenze delle 18" nel buio periodo del lockdown generale.
E a ben pensare sarebbe questa una logica conseguenza per noi popolo caprone che già sembriamo comportarci come un gregge.
Ho visto un Re.
Ho visto soprattutto un Re piccolo, senza la corona, che non tutte le teste sono adatte.


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