Ad ogni DPCM la cosa che più si nota è che vengono trattati, studiati e valutati quindi, argomento diversi fra loro ma considerati degni di un decreto.
Il tanto atteso DPCM di Natale ha visto finalmente la luce regolamentando anche per noi cene, cenette e cenoni, quanti commensali far sedere al nostro desco per la gioia finalmente di mamme e suocere che riposeranno un po' di più avendo meno persone da sfamare.
E in ordine sparso Conte ci ha concesso di prendere una camera in un albergo nel nostro comune di residenza, da cui non possiamo spostarci, e rinchiusi nella stessa ordinare il cenone "da asporto".
Ha autorizzato la fuga da conviventi e fidanzati, ma bloccato lo spostamento fra regioni perché effettivamente si esce dal comune.
E per Natale, San Silvestro, coprifuoco più lungo di due ore che anche il lancio in cortile di una micetta può essere dannoso.
E non si scia, non di può, però dopo il 6 gennaio si, perché l'Epifania il DPCM se lo porta via, si sa.
E si rientra a scuola, in presenza del 75% per non perdere l'abitudine alla cara didattica a distanza che crea più miopie che bravi studenti.
Un DPCM che non ha detto nulla, che inchioda le categorie più colpite come attività ricettive e ristorative all'immobilismo e all'impossibilità di lavorare, perché non tutti possono svolgere un corretto servizio di take away, ma questo alle varie task force che vivono attorno al Palazzo è evidente che sfugge, così come l'economia nazionale non ruota solo attorno alle grandi industrie, ma anche e forse soprattutto attorno ai piccoli e medi artigiani, al turismo. Certo si è sbagliato in estate più di un conto ma non può essere solo colpa della leggerezza degli italiani, che da sempre in fondo seguono il capobranco.
E nel DPCM impacchettato come un regalo di Natale, fra inviti a restare gravi pochi parenti, fra le mura di casa, lontani da tutto e da tutti, non c'è nessun riferimento a quei settori che erano e sono tutt'ora in ginocchio, sia pure per motivi diversi: trasporti, sanità e scuola.
Sono sempre questi tre i tasti dolenti dei DPCM che Conte ci propina sempre volentieri a quanto pare.
I trasporti non sono stati potenziati, le corse non sono raddoppiate e in alcune realtà mancano gli autisti. E che si fa allora? Si blocca tutto, si tiene in stallo un intero settore che ha ricadute su gran parte dell'economia. E se le aziende locali non hanno uomini e mezzi, su tutto il territorio il trasporto privato è fermo per lo stesso DPCM, che vieta gite, convegni, spostamenti. L'uomo comune chiederebbe di precettare questi mezzi fermi nelle autorimesse, una mossa che consentirebbe anche al privato di rimettere in moto la propria attività e ai trasporti di dare un servizio nuovamente validi ai cittadini.
E invece questo è solo il ragionamento dell'uomo comune che l'uomo di governo non lo considera.
Non va meglio nella sanità, lasciata in balia di se stessa quando la prima ondata dell'emergenza si era ridotta. C'è stata fretta di smantellare gli spazi dedicati al Covid-19, di non assumere nuovo personale, di lasciare in fondo le cose com'erano, figlie di scelte scellerate venti anni fa quando l'Italia si è ritrovata a fare i conti non più con un solo sistema sanitario (sua pure viziato da evidenti pecche organizzative e non) ma con venti, tutti slegati fra loro.
In pieno lockdown c'è stata la corsa ad allestire per mezzo di cooperative aree, spogliatoi, reparti per l'emergenza e in estate le stesse cooperative hanno reimpacchettato ogni cosa, come se niente fosse.
E ora che le ambulanze fanno lunghe code fuori dai pronto soccorso, che le terapie intensive si riempiono, e poi si svuotano ma non è mai specificato nella triste conferenza delle 18 il vero motivo, che il primo soccorso viene in alcuni casi erogato in strada, a bordo della propria auto, tutto è nuovamente risistemato, con personale sempre più esiguo per una simile emergenza.
Ma tutto questo il ministro Speranza sembra non coglierlo, la Sanità stessa pare a volte non accorgersene e nei DPCM si pensa a dare più aperture ai negozi per i regali che personale alle strutture sanitarie, più spazio ai runner e alle uscite con animali che all'aspetto sanitario.
Un po' triste, molto spia di quanto impreparato e improponibile sia ormai questo governo.
L'ultimo tasto dolente lasciato una volta di più allo sbando è il mondo dell'istruzione che coinvolge non solo i bambini, i ragazzi ma anche personale docente e non, messi in difficoltà da questo nuovo modo di lavorare così lontano dall'essere giusto, corretto, istruttivo.
Ad inizio anno i genitori hanno firmato un protocollo d'intesa con le scuole di ogni grado, cercando in questo modo di prevenire ogni forma di contagio anche involontario fra quanti frequentano gli istituti scolastici.
Bene, non era presente in nessuno dei vari DPCM estivi questo aspetto e ogni dirigente scolastico si è fatto carico di informare le famiglie e di ricevere il protocollo debitamente firmato mentre dal dicastero dell'istruzione si focalizzavano sull'importanza estrema dei banchi a rotelle. Mentre si indirizzavano sui banchi tutti gli sforzi politico ed anche economici nessun altro altro sforzo per aiutare gli stessi comprensori scolastici è stato fatto come se fosse un compito solo del dirigente gestire eventuali casi di contagio. Al tempo stesso nessuno dal dicastero dell'istruzione ha cercato una collaborazione col dicastero della sanità per creare subito, anche su carta un protocollo sicuro ed efficace per evitare diffondersi del contagio e anche di qualche paura infondata, anzi, Asl e scuole si sono ignorate da.subito, fin da quando i primi giorni di scuola i casi di contagio si moltiplicavano.
I DPCM hanno regalato a tutti i protagonisti del mondo scuola un'altro periodo grigio di didattica a distanza.
E le Asl? Le Asl se sorgevano casi di contagio rimandavano al dirigente scolastico che rimandava all'Asl, che invita, tutt'ora a fare il tampone gratuito solo al positivo e gli altri che con il positivo hanno avuto contatti a rivolgersi eventualmente a strutture private. O salomonicamente a rimanere tutti in quarantena volontaria a casa, incurante delle lezioni perse, delle ore di lavoro non retribuite dei genitori.
Non una riga su tutto questo è stata declamata da Conte nell'ultima comparsata televisiva come se scuola, trasporti e sanità non stessero vivendo autentici momenti di crisi.
Però la messa di Natale si, quello in uno strato laico è addirittura un argomento che ha la precedenza su tutto il resto.
Della conferenza del premier in fondo il momento più toccante è quando si pigia il tasto per cambiare canale.
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