Il 9 dicembre sto guardando distratto la televisione, è sera, il lavoro è alle spalle. Scrivo sul taccuino e osservo lo schermo; la tv è sintonizzata su uno di quei canali "all news".
Mentre scrivo mi informo, leggo i sottopancia, quelli mi interessano.
La prima volta che passano non leggo, o fingo di non vedere. Leggo quasi di sfuggita il nome, Paolo Rossi, o meglio Paolorossi tutto attaccato per chi ha la mia età.
Aspetto che il sottopancia termini il giro e ricominci, lo rileggo, rileggo le parole dopo.
Chiudo il taccuino e mi tolgo gli occhiali, mi copro gli occhi con una mano.
"Papà chi è il numero 20?"
La partita era di pomeriggio, io avevo caldo, i calciatori dentro lo schermo anche, mio padre in poltrona sorseggia la sua birra Dreher ma sembra perdere la sfida col caldo.
"È Paolo Rossi, gioca nella Juventus, io però avrei portato Pruzzo."
Non so beneî interpretare la frase di mio padre ma non rispondo, ho otto anni e il calcio è un mondo che sto conoscendo da poco.
Paolo Rossi, maglia azzurra numero 20.
Dentro l'ingombrante catodico in bianco e nero vedo uno stadio pieno "in ogni ordine di posto", 44mila persone diranno le cronache e i telecronisti.
Io indosso una t-shirt bianca con disegnato un arancio che ride ed ha un pallone sottobraccio; Naranjito, la mascotte di quel mondiale, il mondiale di Spagna '82.
Mi strofino gli occhi per la notizia che continuo a leggere ogni volta che il rullo sottopancia la riporta in evidenza.
"Dobbiamo vincere, fare tanti gol papà?"
Mio padre annuisce con la testa e mi spiega il senso della partita che a Barcellona, allo stadio Sarriá, sta per iniziare.
Il caldo del 5 luglio 1982 è afoso, pesante, si incolla addosso come una seconda maglia, più spessa.
Manca davvero poco a Natale, fa buio presto, prestissimo e luminarie a parte, lo stesso Natale sembra impaurito dalla pandemia che ci ha colpiti in quest'anno nero.
Cerco altre notizie sul Televideo. Le trovo.
Mi appoggio al divano.
Lo schienale del divano mi si incolla alla schiena, guardo fisso lo schermo, ma non riesco a stare fermo; piego una gamba, poi l'altra, mi allungo in avanti, ritorno a schiacciarmi contro lo schienale. Son passato solo quattro minuti nel caldo iberico. Mio padre osserva silenzioso, lui il calcio sembra studiarlo.
Mi ha detto che questa è la seconda fase del mondiale, che la prima ci ha regalato il passaggio del turno pur giocando male senza mai vincere.
Obietto che allora non abbiamo mai perso appellandomi inconsciamente ai miei otto anni.
"È vero, ma bisogna anche vincere ogni tanto."
L'affermazione rimane a mezz'aria.
Mi continua a spiegare che il 29 giugno abbiamo battuto l'Argentina, che è la squadra campione in carica, per 2-1 con i gol di Tardelli e Cabrini, due giocatori anche loro della Juventus.
"Ma il numero 20 non ha mai segnato?"
Lo trovo strano, lo vedo che corre, cade e si rialza. Lo trovo mingherlino per resistere a tutte le botte che prende.
"No, purtroppo no. Anche i giornali dicono che era meglio Pruzzo ma gioca nella Roma anche se è il capocannoniere..."
Sbuffa mentre me lo dice, non capisco, avrò modo di analizzare per conto mio questa sua affermazione.
Mi concentro con le mie mmagine grigie che arrivano dal Sarriá di Barcellona; i brasiliani tre giorni prima hanno battuto ed eliminato gli argentini del campione Maradona, capisco da solo che chi vince passa il turno.
Leggo bene il lancio di agenzia, poche parole.
Il telecronista racconta, parla disegnando immagini, iperbole; "Cabrini passa a Conti, Rossi di testa, gol! Italia in vantaggio!".
Il numero 20, il numero 20, quello mingherlino di testa ha fatto gol, stiamo vincendo ed è solo il minuto numero 5.
In panchina il signore con la pipa osserva, ripensa agli insulti, agli schiaffi non solo morali ricevuti, osserva.
"Papà!!!!"
Mio padre sorseggia soddisfatto un altro po' di birra Dreher.
"Bisogna stare attenti!"
Ma glielo vedo negli occhi azzurri che Rossi al posto di Pruzzo per lui sta diventando una scelta giusta.
L'avversario è un rosario di campioni, molti dei quali già in Italia, altri che li raggiungeranno nel giro di un lustro.
Passano pochi minuti, sette per l'esattezza e Socrates, dottore a tutti gli effetti infila la palla fra Zoff, il nostro portiere, e il palo sinistro. Pareggio.
L'uomo con la pipa fuma.
Mi agito disperato sul divano, sono sudato come se fossi sul prato del Sarriá anche io.
"Troppi anni fermo..."
È uno sbuffo di rabbia che allega anche una bestemmia. È un gesto di rabbia del papà che capirò, pure questo, con gli anni.
L'Italia che tanto bene aveva fatto al mondiale di Argentina nel '78 con il quarto posto finale, in Spagna ci arriva opaca, frustrata dallo scandalo scommesse esploso nel 1980 che ha costretto ai box per due anni proprio Paolo Rossi. È rientrato giusto in tempo per il mondiale in terra iberica, atteso e difeso da Bearzot, l'allenatore che fuma la pipa in panchina.
Lo osservo magro, con la grande maglia azzurra sudata. Aspetta.
Spengo la tv un po' più triste e ripenso agli album di figurine, allo scambio con quelle doppie, alle maglie che i calciatori ora cambiano quasi ogni estate e a come era bello allora avere anno dopo anno lo stesso giocatore con la stessa maglia.
Al minuto 25 il romanista Cerezo, movenze disneyane stile Pippo, davanti alla propria area effettua un passaggio corto che viene intercettato da Rossi, fino a quel momento lontano e vigile come un rapace. La palla lo cerca in fondo, si appoggia al suo piede, si fida. Siamo di nuovo in vantaggio, il tabellone e il telecronista dicono 2-1, esulto.
Esulta anche papà, ora sorride.
"Ma varda ti!"
"Guarda un po'!" è quanto di meglio riesce a dire per ammettere che forse Bearzot ha fatto bene a portare Rossi in Spagna.
L'intervallo serve anche a me, ho sete, ho fame, ho fretta di scendere giù in strada e dire alla mamma che stiamo battendo il Brasile, che Pol papà mi ha detto essere fortissimo.
Si riprende dopo un quarto d'ora, papà in poltrona, io sul divano, gli azzurri sul prato del Sarriá.
Zoff alza muri, saracinesche; le sue mani stringono qualsiasi cosa passi per la sua area anche quando i tifosi hanno già le mani fra i capelli.
Giochiamo bene è la sentenza di mio padre, io salto sul divano ogni volta che i brasiliani si presentano vicino la nostra area. Tardelli e Cabrini difendono bene le fasce ma cadono nel tranello carioca di Junior, giocatore poi del Torino, che li lascia sul posto e serve al romanista Falcao libero davanti alla porta.
"Noooo!"
Sono disperato come l'intervento impercettibile dello Zio Bergomi, diciottenne baffuto da sembrare appunto uno zio che ha rilevato l'infortunato Collovati, che spiazza quel tanto Zoff e consente ai brasiliani di pareggiare nuovamente.
Ora inizia un'altra partita, dura, viva.
Rossi segue la palla, l'estro di Bruno Conti che è italiano di Nettuno ma sul prato del Sarriá sembra un carioca in maglia azzurra.
Ad ogni palla che i brasiliani ci rubano papà soffoca un "dai" fra i denti.
Io seguo lui e seguo la partita.
Mi scrive sullo smartphone mio figlio, quello più piccolo che ha dieci anni, mi chiede se ho letto qualche notizia.
Rispondo di sì, lui ha la stessa passione per il calcio che ho io.
Al minuto 74, sei minuti dopo il pareggio avversario, l'allampanato Cerezo mette una palla in calcio d'angolo, l'unico che metteremo a referto in quella partita.
Rossi ha le mani sui fianchi, le narici allargate, il caldo opprime più dei difensori brasiliani. Vedo Gentile seguire come un'ombra Zico, che ha la maglia strappata, Falcao prendere posizione e Conti prepararsi a calciare il calcio d'angolo.
Batte.
La palla è intercettata dal brasiliano Oscar che l'allontana.
Rossi rimane in area di rigore a seguire l'azione e a prendere le distanze dal portiere Valdir Peres.
Tardelli recupera il pallone e calcia con tutta la forza che può, come virtualmente fanno tutti i tifosi degli azzurri sulle tribune del Sarriá, come vedo istintivamente calciare nel vuoto del salotto mio padre. La palla va verso la porta, Valdir Peres è in posizione ma non ha considerato la variante del numero 20.
Paolo Rossi corregge con un tocco che sa di velluto la traiettoria quel tanto che basta per superare il portiere e fare uscire dalla gola degli italiani il più bello degli urli di gioia.
È 3-2 per noi.
Abbraccio papà, papà abbraccia me, corro alla finestra ad urlarlo alla mamma ma lei lo sa già, le finestre del vicinato sono le gradinate del Sarriá, ci siamo tutti.
"Però sto Paolo Rossi, iera ora!"
Era ora, lo dice severo ma è contento mio padre.
La gara è quasi terminata quando Oscar regala l'ultimo brivido ma Zoff al minuto 89 salva sulla linea e nasconde la palla fra le sue mani grandi.
Fra la sorpresa generale, della stampa, dei tifosi, di mio padre, abbiamo vinto il girone più difficile del mondiale. Io sono sceso in strada con mio fratello e gli amici e la bandiera tricolore che la mamma dopo la vittoria con l'Argentina ci aveva cucito.
È festa, sono felice, lo siamo tutti, ho quasi le lacrime dalla felicità.
Gli occhi mi bruciano un po', Paolorossi tutto attaccato come fu un tempo per Gigiriva, con la discrezione con la quale ha giocato, vinto e vissuto se n'è andato per sempre, sconfitto dalla malattia.
È una doccia fredda per tutti, appena dopo il saluto ad un altro campione, quel Diego Maradona sconfitto dagli azzurri nel Mundial spagnolo.
Dopo il pomeriggio del Sarriá Paolo Rossi segnerà ancora, in semifinale con la Polonia e poi in finale con la Germania allora Ovest e con la Coppa del Mondo porterà a casa il titolo di capocannoniere del torneo e poi a dicembre sotto l'albero di Natale troverà il prestigioso Pilone d'oro di France Football.
Lascerà la Juventus dopo aver vinto in Europa, giocherà nel Milan verso la fine della carriera ma le ginocchia di quel numero 20 così mingherlino decideranno per lui e diranno stop dopo una doppietta nel derby di San Siro ed una parentesi ancora nell'Hellas Verona.
Un carriera di silenzio, di rispetto, cadute e risalite e rispetto e gratitudine.
Paolorossi da Prato o da Vicenza, Perugia o da Torino, ora rincorre il dottor Socrates e Diego El Diez su un campo di gioco più vasto.
Paolorossi che rimane il mio numero 20 di quel torrido 5 luglio 1982 quando avevo otto anni e grazie a Pablito stavo per diventare Campione del Mondo.
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