Qualcosa mi è sfuggito, decisamente.
Assolutamente deve essere così perché ora che sto sfogliando il giornale mi rendo conto che il bandolo della matassa l'ho perso, probabilmente quando la matassa mi è caduta.
Perché deve certamente essere caduta per essere così aggrovigliata.
Lavoro, a giorni alterni, saltando come in una partita di un nuovo Twist (il gioco in scatola dove incrociavi mani e piedi su un tappeto con più colori fino a che, inevitabilmente cadevi quasi attorcigliato su te stesso), senza capire infine che colore ha la mia giornata, se mio padre può passare per un caffè o un saluto ai nipoti.
A volte mi addormento giallo modello Simpsons e mi sveglio arancione, colore Naranjito (pochi sapranno chi è...) o addirittura rosso, sprofondo rosso, cosicché nulla si compie.
Mentre riavvolgo a fatica la matassa, è pesante però e mi sfugge, osservo il vicinato silenzioso ma presente dietro finestre e porte, del resto nel nostro caleidoscopio personali i colori impongono di star nascosti, l'isolamento per dio, per dirla al Direttore Conte Lobbiam.
Osservo colombi stanchi del cielo e delle piazze tutti per loro così completamente privi di briciole che si appoggiano gonfi sui davanzali osservando me che osservo loro.
La matassa è ingarbugliato, di lana pesante, quella che punge la pelle; il bandolo ricordo che era in mano ad un leguleio prestato alla politica che arrivava dalle Puglie e poi l'ha fatta cadere, un po' per distrazione, per l'emozione di tenerla finalmente fra le mani, un po' per diversivo, per non farci capire il colore, quello con la C grande, altisonante. E sul più bello alla matassa un signore toscano ha dato un altro calcio per lanciarla più lontano ancora, verso figuri strani, tristi quasi che aspettano oltre il muretto.
Aspettavano un pertugio forse dentro il quale entrare con forza e finto vigore, forse attirati dall'odore dei soldi, anche se "pecunia non olet", che "absque argento omnia vana", molto probabilmente quelli che questo mastodonte frastagliato che chiamiamo Europa sta lasciando cadere nelle tasche dei suoi cittadini.
E dal buio sono usciti figuri dimenticati, tutti accomunati da tristi sconfitte elettorali che ora vorrebbero solo uno scranno, uno soltanto, per rimpastare la ricetta del prode leguleio delle Puglie e dire finalmente, senza il consenso dei concittadini "Eccoci, vi abbiamo salvato!", ma da chi penso, mentre stringo un lembo di questa matassa e incrocio lo sguardo di un corvo che mi ricorda ironicamente uno dei figuri usciti dal muretto.
Mi scappa il senso di quello che leggo, vedo, sento e ascolto.
E leggo, vedo, sento e ascolto tanto.
Mi sfugge all'alba del nuovo anno il balletto di numeri che vengono snocciolato ogni giorno su malattia, malato, contagi, contagiosi, vaccini, furgoni e cargo DHL pronti in consegna, come un Amazon qualunque.
La matassa la raccolgo ma rimane confusa, come un comizio mal riuscito dall'altra parte dell'oceano, uno di quei comizi in cui si invoca Dio, la nazione, le mamme e i padri fondatori e qualcosa sfugge di mano, scappa fra urla e braccia alzate e assalti all'arma bianca verso il marmo bianco, armati di bastoni, pistole, aste per i selfie, rivoluzionari 2.0.
E dal comizio esce l'immagine di un fantoccio colorato, spettinato quasi, ironicamente triste, appeso alle decisioni del suo vice e di un emendamento che se passasse ne certificherebbe l'incapacità.
Rimango ancora ad osservare i palazzi silenziosi; lascio la matassa a terra e prendo il televisore per cambiare canale alla TV. Passa la voce del leguleio, del toscano perdente, del fantoccio colorato, tutte insieme, come se il mondo con la pandemia fosse diventato uno solo, grande, ammalato e confusamente strambo.
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