Tanto tuonò che cadde

Tanto tuonò che cadde.
E mai caduta forse fu più annunciata, anche se a ben guardare sa di caduta lieve, con qualche livido che può dare più fastidio di altri, all'ego certamente, ma nulla che possa impedire di riprendere il cammino.
Anche se questa caduta è ambientata nel nostro Parlamento quindi in una sorta di cilindro magico dal quale estrarre i peggiori conigli.
Buoni però per tutte le occasioni.
E sono colpi di magia per nulla gratuiti per il Premier, che volenti o nolenti avranno un loro prezzo, indispensabile a questo punto per superata l'effetto della rottamazione mai riuscita.
Danni lievi forse si perché forse qualcosa si riesce tenere in piedi, a non fare cadere nuovamente il governo; danni lievi anche se a malincuore per il Premier che dovrà cedere qualcosa (ovvio che si parla di ministeri) in cambio della fiducia.
Ma a chi? 
A quelli che la stampa, la politica, sempre vivaci ad etichettare pensieri e movimenti, chiamano ora "responsabili", fino a qualche giorno fa ombre impercettibili in Parlamento, forse anche allo stesso Conte ed allo stesso Renzi, rottamatore incauto.
Sono quei politici e politicanti di lunghissimo corso, che nonostante tutto hanno attraversato le Repubbliche, gli smottamenti politici (per tutti o quasi prevale il luogo comune che il partito di nascita non esiste più o si è ritrovato con le generalità cambiate dal tempo), apparentamenti e crisi.
La caduta che può lasciare addosso al governo Conte qualche livido lieve ha la sua cura in questi "responsabili", chiaro esempio di highlanders politici, che stanno salendo quasi compatti verso il Colle, rispondendo all'appello discreto del preside Mattarella (aveva avvisato con timidezza l'inizio del suo ultimo anno di presidenza durante il discorso di fine anno, quasi a chiedere cortese "fate i bravi", ma in Italia la poltrona sposta gli equilibri) issando più nei ricordi che nei vessilli, i colori di vecchi partiti quasi dimenticati: DC, Psi, Ppi, coi volti quasi scoloriti di De Mita, Mastella, Castagnetti, Nencini, D'Alema, Cesa e Tabacci.
Ironicamente gli stessi volti e politici che il buon Matteo da Firenze voleva rottamare e invece lo hanno travolto nella sua incapacità politica.
Palesata non solo ora che dietro lo scudo di Italia Viva fa cadere, forse, quasi, forse no, il secondo governo Conte, ma già ai tempi del referendum per riformare la nostra Costituzione (esattamente quello che se perso lo avrebbe visto sparire dal palcoscenico politico), quando perse sia lo scontro in tv con De Mita e poi alle urne.
Adesso che siamo in crisi come nazione per colpa di una pandemia malgestita, subdola, aggressiva, il governo che cade, che viene fatto cadere non ci serviva, né ci serviva come fosse Citrosil il rientro di una certa getontopolitica più che responsabile addirittura indispensabile.
E tutto questo correre verso il Colle avviene mentre il giovane rottamatore improvvido e l'avvocato del popolo discutono su quali numeri lunedì, se sarà lunedì a questo punto, possono vantare in Parlamento, se fiducia sarà o saranno dimissioni.
Un clima di grande confusione con vecchi leoni della politica in auge e una destra alla finestra, pronta ad alzare la voce appena le prime crepe affioriranno. 
Quindi allora si alzerà, nuovamente, l'urlo "alle urne", forse per dare un senso alle scuole ormai vuote.
Elezioni che ora a Recovery Fund diventato Recovery Plan approvato sembrerebbero l'ennesimo schiaffo in viso a noi popolino.



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