Vaccini, UE e Brexit

Domenica 31 gennaio, piove dalla sera prima.
È l'ultimo dei giorni della Merla, i più freddi dell'anno, si dice.
È l'ultimo giorno di un mese che ci ha portati a cambiare colore di appartenenza sulla scorta dei dati sull'indice RT (il parametro in uso per dirci sostanzialmente quante persone può contagiare una sola persona) in mano alla ormai famigliare Cabina di regia del Ministero della Sanità, spiazzandoci più di una volta per la scelta di colore anche in senno alla UE, che a questo punto potrebbe sdoganare pure il rosso pompeiano di fantozziana memoria.
Ironia a parte la situazione non è facile, da interpretare per "gli addetti ai lavori" né per noi che aspettiamo loro comunicazioni.
Come se non bastasse a complicare un gennaio freddo e devastante l'Europa intera fa i conti con le dosi di vaccino delle tristemente note case farmaceutiche Astrazaneca, Moderna, Pfizer-Biontech, via via decurtate in fase di consegna, frutto di contratti firmati (sempre in senno alll'Europa ovviamente) con una faciloneria degna di una trattativa fra vecchi mediatori.
È da chiarire in questo caso, parlando di Astrazeneca dove sta la verità per capire le cause di questi ritardi, se sono valutati eventualmente nel contratto omissato reso pubblico dalla UE della Von der Leyen o se questo venga "interpretato" dal colosso anglo-svedese (termini per altro leggibili, noti e ahimè appunto interpretabili riportate dagli stessi accordi) a proprio vantaggio vista la promessa di poter produrre miliardi di dosi annunciata in fase di firma contrattuale, ma che poi ha "farcito" lo stesso documento con aggiunte che ne rendono la comprensione un labirinto. A contorno dell'interpretazione contrattuale su dove fisicamente produrre il vaccino (per contratto su territorio UE o considerato ai fini produttivi, ad esempio Regno Unito post Brexit, tale) c'è la speculazione che questa pandemia fomenta in senno alle case farmaceutiche che hanno ormai chiara la composizione del vaccino anti Covid.
Se da un lato in Europa, geograficamente parlando, da domani primo febbraio un paese può dire no all'esportazione dei vaccini dall'altro ci può essere un paese, ad esempio l'India, subcontinente asiatico, che dai laboratori, ad esempio Astrazeneca, produce il vaccino per il proprio fabbisogno e per terzi, rivendendo al doppio il prodotto ai paesi più poveri del sud del mondo.
Sfumature forse da geopolitica economica ma comunque non nuove, non sconosciute alla Commissione Europea in sede di trattativa contrattuale che fra le mille sfumature di quest' momento storico difficile non ha considerato quanto la Brexit (appunto lo scontro al confine fra Irlanda del Nord e Dublino) potesse avere ricadute sul resto del continente. I vaccini secondo Londra prodotti nel Regno Unito non possono uscire dai confini anche se esiste un pezzo di carta controfirmato dalle parti.
Appare chiaro che i vertici della casa farmaceutica hanno riempito gli accordi di bugie, forse promettendo "mari e monti" per un mero ritorno economico anche se la UE si è premunita di dichiarare che per Astrazeneca questo è un contratto "no profit", cioè che coprirà solo i costi vivi. Abbastanza paradossale vista la speculazione della stessa casa farmaceutica in altre parti del mondo, come accennato in precedenza.
Una prova questa da cui la Commissione Europea non ne esce bene, in cui si nota una certa leggerezza dannosa come sempre per i cittadini europei.
Noi italiani che ci attacchiamo alle comunicazioni della Cabina di regia e al commissario Arcuri aspettiamo, attendiamo, chiedendoci se con l'ultimo giorno della Merla se ne andranno freddo ed incompetenza.

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