La normalità di adesso

Chiusi all'interno delle nostre zone gialle attendiamo che Mario Draghi ci indichi finalmente la via per uscire da questo stallo derivato dalla pandemia e della crisi si governo.
Ci sforziamo di lavorare coi nuovi ritmi, con chiusure settimanali imposte da Roma, come si potrebbe semplificare, con stipendi misti a ore e giorni di cassa integrazione.
E ci sforziamo che tutto vada avanti verso una normalità futura ora che di normalità non c'è che un accenno. Qualcosa.
Tracce di ritmi normali che mancano, cominciano a mancare in maniera più o meno insopportabile.
Cominciano a mancare dopo un anno quasi di lockdown, coprifuoco, aperture chiusure alternate più o meno lungo tutto lo stesso periodo.
Ad ogni cambio di colore della zona di appartenenza, ormai consolidato il colore giallo alternato all'arancione ed al rosso, inevitabilmente nelle città grandi e piccole, nei paesi si crea una ressa piccola o grande, di persone, concittadini, purtroppo educati e non.
Si crea "nel passeggio", nelle zone della movida, dello shopping, anche senza per forza di cose comperare.
È una reazione esagerata certo, che non aiuta la prevenzione, in alcuni casi si evidenziano (le immagini si stampa e social sono a volte impietose in questo senso) atteggiamenti sbagliati, esagerati appunto, volgari.
Ci si ritrova all'improvviso assembrati in spazi all'apparenza ampi, che ampi non sono, che rappresentano un potenziale pericolo per la nostra salute (non solo di chi affolla tavoli, plateatici, strade e negozi, ma anche per gli operatori di negozi, bar, locali presi d'assalto), che diventano, spazi e persone, formidabile veicolo di contagio del virus. 
Eppure è un atteggiamento almeno in parte comprensibile. Certo, in piccola parte, ma comprensibili.
C'è voglia, senza distinzione d'età, di riappropriarsi della propria vita, di quella normalità che fino ad un anno fa magari maledicevamo. Di riprendere ritmi, abitudini, fastidi anche, che scandivano le nostre giornate, quelle del prima. Perché inevitabilmente siamo le generazioni del prima e del dopo pandemia, anche se un dopo preciso ancora non c'è.
Esageriamo con il voler incontrare persone, amici, colleghi uscendo dallodioso smartworking che lega il dipendente al luogo di lavoro senza soluzione di continuità.
Incontriamo gli amici, i compagni di scuola per dire finalmente che è una giornata normale sia pure nella normalità di adesso che comporta un distanziamento sociale pesante da accettare nonostante sia un atteggiamento familiare. Ci si vede distanti e con la mascherina ben addosso anche se molti sembrano usarla come accessorio.
Sono tante cose che non vanno bene, che ci fanno fare un passo avanti e due indietro, in attesa del primo DPCM del nuovo presidente del Consiglio, ma che nascono per lo più dall'esasperazione, dalla mancanza di socialità, di vecchi amici e nessun problema o solo problemi piccoli e visibili.
È venuto a mancare un momento importante ai maturandi, un momento straordinario di socialità, conoscenza, confronto agli studenti di tutte le età, il caffè coi colleghi di lavoro, trovarsi con gli altri pensionati al parco e semplicemente osservare la vita che muove i suoi passi quotidiani.
La normalità di adesso è una condizione difficile da accettare, che spaventa e fa arrabbiare ma è una reazione naturale anche il corriere all'aria aperta, cinque minuti o un'ora.


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