Il calendario segna un giorno che non sono sicuro sia quello corretto, né penso lo sia l'anno impresso sopra.
Semplicemente non può esserlo.
Tutti gli orologi attorno a me segnano la stessa ora da un po' di tempo.
Mi guardo attorno, stupito, a volte infastidito.
L'orologio si è fermato da un anno a questa parte, e la spinta ad uscirne che provavamo la scorsa primavera ora non c'è più.
Guardi porzioni di volti che potrei conoscere, forse, forse anche non conosco.
Rimprovero i soliti, i soliti indisciplinati, no-vax, no-mask, no-brain, che ti fanno bestemmiare oltre la protezione della mascherina, ti fanno incazzare, il sangue amaro e rovinano quanto di buono racchiude una qualunque giornata lavorativa in epoca Covid, mascherati, igienizzati e molto arrabbiati.
Riguardo l'orologio, che segna la stessa ora di sempre, il calendario che da un anno a questa parte segna sempre lo stesso giorno e mese, da un anno.
Quasi come tutto l'ululare sinistro delle sirene non fosse servito, sovrastato dai balconi, dalla musica.
Come se la colonna mldi mezzi militari fosse partita nella notte senza fine di Bergamo per un viaggio senza meta, né ritorno, ma che non "fosse affare nostro".
Fermo immagine che colpisce alla bocca dello stomaco del cuore lontano un anno esatto.
Un anno fa è esattamente ora, adesso, che la mareggiata di ricordi ci ha riportato vicino termini fastidiosi da pronunciare e ricordare: DAD, sanificazione, recrudescenza, zona rossa.
Ci accorgiamo che ora non è più voglia, anche legittimato, di normalità ma superficialità, ignoranza, le stesse tristi qualità che ti fanno entrare negli spazi chiusi senza usare quella venede bottiglietta di gel sanificante che ti saluta da tutti gli ingressi dei pubblici esercizi, senza indossare una sacrosanta mascherina salva vita, la tua e la mia.
Guarda il calendario, le lancette di tutti gli orologi immobili sul loro tempo e vedo insieme una strada buia che non sa dove finire.
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