La misura della distanza

Sto provando a misurare da giorni la distanza che passa dalla Pasqua passata al ritorno ad una vita più normale, solamente un po' più normale.
Ogni giorno le misure sono diverse, lontane fra loro per variabili che sfuggono alle previsioni anche se pesando l'aria attorno a noi sono visibili, tangibili.
La voglia di essere normale si scontro con l'anormalità della situazione quotidiana, diventata quasi una stasi senza via di uscita.
Una strada chiusa, segnalata male, che si allunga sempre più.
Con la Resurrezione di Nostro Signore non abbiamo avuto la pace, anzi, si è arrivati allo scontro fisico superando la fase delle battaglie dialettiche, quasi che la festività nel mezzo della pandemia avesse permesso di "fermare le bocce", respire a fondo e ripartire, caricando a capo chino.
Non in senso lato, non usando metafore più o meno colorite, no, mettendo in piazza, in tutti i sensi, la protesta fisica, quel "costi quel che costi" che in fine dei conti buona parte dei connazionali sta pensando, partite Iva e dipendenti, categorie spesso legate una all'altra da stretta collaborazione professionale.
Il luogo scelto per certificare quanto la misura sia colma e quanto la distanza fra blocco provvisorio e cessata attività sia ormai minimo è stato, e non poteva non esserlo, Roma, la capitale.
Di più.
Montecitorio, dove ha sede e vive la politica nostrana, nelle cui stanze che si affacciano sulla piazza omonima vengono prese le.dexisioni che riguardano la collettività, noi.
La protesta di ambulanti, gestori di palestre, ristoratori è sfociata nello scontro fisico fra manifestanti e forze dell'ordine ma non poteva essere altrimenti; cariche di alleggerimento che hanno portato ad un ferito e a qualche fermo, proteste che nonostante qualche costume ad effetto che richiamava la protesta americana di Capitol Hill in coda alle elezioni presidenziali Usa (lo sciamano Jake, il copricapo cornuto e l'invasione del Senato), sono state contenute nel limite ovviamente della situazione esasperata di entrambe le parti in causa (la pandemia, le chiusure, gli atteggiamenti insofferenti esasperano chi protesta ma anche le forze dell'ordine questo è bene chiarirlo). 
Il fatto che all'attenzione generale sia salito più un anonimo, fino a quell'istante, operatore emiliano con addosso o colori della bandiera tricolore e un casco con le corna, spiega anche come si debba forzatamente esagerare per poter essere ascoltati.
E questo certifica come la distanza si allunghi, si dilati oltre i limiti del buonsenso, politico e non. Si manifesta per il dissenso, per "alzare la voce" e far valere sacrosanti diritti che la pandemia ha reiteratamente nascosto, leso.
Adesso si manifesta per fame, una parola che ha lo stesso effetto di un fendente.
Perché ci si trova dentro un buco nero, il famoso cul de sac che sovente si usa a metafora.
Lo sanno anche le forze dell'ordine che questo tipo di assembramenti non sono figli di "no vax", "no mask" e quanti altri no si vogliano esternare.
Non verrà sottovalutato l'effetto mediatico di questa manifestazione capitolina perche è la spia rossa che si accende in plancia di comando, quella più pericolosa del malcontento. Malcontento che anche fra gli scranni di governo non deve passare inosservato, non deve passare nel silenzio e dilatare a dismisura una distanza che ci sembra già oggi insormontabile.
Ci prepariamo mentalmente per ora, ad assistere ad altre situazioni del genere, come già successo in altre città del paese, con altre categorie coinvolte, comunemente messe in ginocchio dalla stasi nazionale.
Fa male constatare come ci sia chi questo dissenso lo fomenta, lo cavalchi, salendo sul carro dei manifestanti issando questa o quella bandiera di partito, di movimento. È un male tutto nostro, tricolore, che evidenzia come la distanza fra chi "butta tutto in politica" e il popolo che sta alla base sia enorme, quasi che i primi vivano una situazione diversa, personale e isolata dal resto di concittadini.
Ecco, quella della presenza di colori partitici alla manifestazione è il dato preoccupante, più ancora degli scontri perché insinua il dubbio che gli stessi scontri non rappresentino la voce della protesta delle categorie più in difficoltà ma siamo la voce dei partiti, il braccio di quei movimenti che spesso agiscono nell'ombra.

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