Storia di L.

L. osserva il piccolo maltesino correre e saltare nell'area di sgambatura per i cani del parco.
È seduto come altre mattine sulla solita panchina di metallo verde, esposta sempre al sole anche quando l'aria è quella di inizio autunno.
Il piccolo cane corre, scarta di lato ogni tanto, sembra rotolare e cadere; esce dalla sua area e vi rientra subito. Rimbalza quasi contro il trolley liso colore grigio e riprende la sua corsa con la lingua di fuori.
L. lo osserva senza dire nulla, come spesso gli accade.
Osserva il parco vivere, mamme con bambini, nonni, cani. Guarda lo scivolo giallo del castello, un bambino scende ridendo. Contento.
L. parla, si porta le mani alla bocca. 
Il sole passa attraverso la grande vetrata che di affaccia sulla strada ricoperta di sampietrini.
Il signor V. pulisce le affettatrici, sistema vassoi, bicchieri, coltelli. Il sole autunnale di inizio ottobre entra dalla vetrina a tradimento e scopre piccole tracce di polvere posate qua e là. Il signor V. mette in ordine il negozio, guarda la strada. Quell'angolo di città è vivo, nonostante la crisi, nonostante l'ora. Il suo negozio vende forniture alberghiere e per la ristorazione.
Il sole entra di traverso, il signor V. sa che qualcuno entrerà, un ricambio di attrezzatura dopo la stagione estiva, i preparativi per quella invernale ormai prossima a partire. Apre la valigia con i grandi coltelli da cucina posandola sul ripiano in vetrina.
L. si alza dalla panchina di metallo verde, si porta una mano fra i capelli, fa caldo, li butta all'indietro. Pensa che forse dovrebbe tagliarli. Il sole scalda più del dovuto, il piumino blu lo fa sudare, si ripara sotto l'albero al centro della piccola piazza a fianco del parco. Sposta il trolley colore grigio, liso e vi appoggia il piumino. Lo piega in due e cammina, gira attorno all'albero.
Il castello con lo scivolo giallo è alle sue spalle.
Fa un giro tondo attorno all'albero, si porta una mano alla bocca, si ferma, dondola, riprende.
Il maltesino è seduto sulle zampe posteriori, con la testa chinata di lato lo osserva.
Il signor V. regola la tenda veneziana della vetrina e butta un ultimo sguardo alla strada, pensa che molti dei sampietrini davanti al suo negozio dovrebbero essere sostituiti.
Con questo pensiero stravagante si sposta verso l'ufficio, anche se c'è il sole la contabilità richiede una nuova controllata.
L. ha in mano un panino, una rosetta piccola, appena sfornata. Si siede su un'altra panchina di metallo verde e l'addenta. La caviglia sinistra prude, si gratta con violenza. Li c'era il braccialetto, che sei geva troppo forte la caviglia. 
Gratta più forte, anche se ora il braccialetto non c'è più.
Il maltesino richiamato dalla padrona si allontana.
L. osserva il castello ora vuoto, vorrebbe riposare un po', sa che adesso non può. C'è troppa luce, troppa gente. Osserva il trolley grigio tutto l'uso, dentro c'è la coperta.
Anche quando il sole autunnale riscalda con me in estate.
Il campanello distorce un suono forse troppo scuro, quasi fastidioso. 
Il signor V. alza lo sguardo verso l'ingresso, giusto il tempo per vedere la porta chiudersi. Si alza dalla sedia così da vedere chi è entrato.
È un signore piccolo, coi capelli scuri, si salutano. Il signor V. chiede se può essere di aiuto.
Il cliente ringrazia, boffonchia qualcosa. V. si avvicina incuriosito, il cliente è molto centimetri più basso di lui, dondola su se stesso. 
"Scusi, non ho capito, posso esserle d'aiuto?"
Il cliente si porta una mano alla bocca.
Il sole passa attraverso le aperture della tenda veneziana, allunga le ombre, riscalda.
Il cono di luce muove una miriade di granelli di polvere.
L. si sposta verso la galleria, si mette al riparo dal sole fuori stagione. Li continua a camminare, da un lato all'altro della galleria, da parete a parete. Risponde all'apparenza distratto agli avventori del piccolo bar, al titolare della tabaccheria; L. è di casa ormai in galleria da diversi anni. Un lustro passato troppo in fretta. Cammina a piccoli passi, come a misurare distanze e profondità, parla fra sé e sé. Non ha più sonno, il fresco della galleria stempera anche la sonnolenza.
V. si scusa ma non ha capito la risposta, chiede se può ripetere.
Il cliente cammina a piccoli passi verso uno scaffale con attrezzature per macchine da caffè e la vetrina. Sembra misurare lo spazio entro cui muoversi.
V. chiede di fare attenzione, che potrebbe urtare qualche articolo e farlo cadere col rischio di farsi male. Il cliente boffonchia, si passa una mano fra i capelli, dondola su se stesso. Si sposta verso la vetrina.
Il signor V. vede lo sguardo del cliente incupirsi per chissà quale pensiero, vede che si posa sulla valigia lasciata aperta poco prima.
"Le posso fare vedere qualcosa?"
Prende tempo, il signor V., cerca di spostarsi verso l'ingresso.
Il cliente fa due piccoli passi, in sequenza, sembra sorridere, ancora due passi.
Il sole proietta un'ombra di luce tratteggiata sulle tende veneziane e un cono di luce dove non trova ostacoli. Il signor V. vede una pioggia di posta avere muoversi nell'aria, un turbine di pulviscolo riflettere la luce, non vede il cliente fare altri due piccoli passi, solo la polvere.
L. vede le prime ombre della giornata allungarsi, non ci sono più cani nell'area di sgambatura, neanche bambini. Il castello adesso sembra essersi spostato in un angolo buio del parco, solo lo scivolo giallo in penombra è visibile.
Afferra da terra il trolley grigio e un sacchetto di carta con quello che sarà la sua cena.
Pensa L.a com'era la sua vita prima, prima del buio. Non ricorda molto, lampi di saloni grandi, piastrelle bianche alle pareti e finestre alte fino al soffitto. Ricorda l'odore di disinfettante, altre persone attorno a lui dondolare sulle loro sedie e una ragazza giovane, mai la stessa, che chiedeva loro di parlare, ascoltava e scriveva.
Ricorda scene simili, la dicitura SERT in rilievo sulla placca di ottone appena varcava il cancello.
Quanti anni aveva la prima volta? Sedici? Si, sedici. Poi i ricordi sono frammenti di uno specchio rotto, ricordi intermittenti di scene sempre uguali. L'autobus per tornare in città, le lunghe ore a camminare prima di rincasare.
V. osserva la polvere agitarsi nel cono di luce, un riflesso violento; il dolore di quel riflesso lo lascia senza fiato. 
Il cliente saltella quasi ridendo, ricorda un furetto, è veloce, il signor V. lo vede farsi grande, quasi enorme davanti a lui. Poi sente la forza di gravità attirarlo verso il pavimento, la polvere che smette di ballare e si posa, il campanello distorto della porta che si apre e si richiude. Una voce, due, il sole di ottobre che tramonta.
L.addenta il secondo panino della giornata, seduto sotto la torre del castello, coperto dal piumino e da una trapunta lisa e sudicia. È a casa, quando il sole tramonta lui rientra. Sento le ultime auto, una sirena, coppie, via via rumori più lenti e soffusi, poi il silenzio e di stende.
Aveva una casa, non ricorda dove. Ricorda che era la sua stanza era piccola, con un letto a castello, ricorda che la divideva con altre due persone.
L.corre verso un punto indefinito della città, corre, non saltella, non ride, ha un ghigno, lo vedono tutti, ma lui corre. Ha qualcosa in mano, delle voci che lo rincorrono, la testa che gli scoppia.
Ha qualcosa di appiccicoso in una mano, caldo, ferroso, nell'altra uno di quei grandi coltelli da cucina. Corre, non sa dove andare, corre.
V.sente qualcuno che gli parla, mani che lo aiutano, vede attraverso la nebbia un'ambulanza, il suo interno poi si addormenta. Ha dolore allo stomaco, non ricorda perché brucia così tanto.
L.entra in un negozio ha paura, parla, urla, vede un bambino piangere stretto alla mamma, si gira, divise, divise e pistole non sa cosa fare, piange, vuole solo parlare con la ragazza che lo ascoltava al SERT. Crolla, lascia cadere il coltello, il sole è tramontato.
Si addormenta ricordando quanto il braccialetto alla caviglia gli desse fastidio, quanto quella sua camera così piccola lo facesse sentire a casa. Era a casa anche quando parlava con la ragazza.
Poi gli hanno detto che andava bene così, che non era più necessario parlare con nessuno, che poteva uscire con il suo trolley.
V.è uscito dall'ospedale con una cicatrice sulla pancia, la paura negli occhi. È tornato al negozio, non più da solo, riprendendo il suo posto in ufficio, alzando tutta la tenda veneziana.
L.si addormenta a fatica, è arrivata la notte, non come l'altra volta però. Si addormenta col rumore delle ambulanze in lontananza e l'umidità della notte addosso.



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